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Il ricettario ufficiale di Netflix
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Pubblicazione: 23/04/2016
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Ambasciatrice Daniela Sippi per il Calendario del cibo Italiano -Italian Food Calendar
Pan meino o pammeino, panigada, pan dei poveri, pan de mej o de mei, pan melghino… Sono tutti i nomi del pane dolce tipico lombardo che, per tradizione si preparava il 23 aprile, giorno dedicato a San Giorgio.
Come indica il termine mei, dovrebbe essere preparato con farina di miglio, ma dal ‘700 circa lo si confeziona miscelando solo farina di grano e farina di mais. È venduto in panetteria o dai pasticceri sotto forma di focacce rotonde, schiacciate, scarsamente lievitate, cosparse di fiori di sambuco essiccati (la paniga). Si conservano bene per qualche giorno, in credenza, e sono ottime per la prima colazione, servite con panna liquida o latte.
Viene ancora confezionato da alcuni fornai, ma, in prevalenza, da industrie dolciarie specializzate in pasticceria fresca; un’altra delle modifiche all’antica ricetta, infatti, è l’introduzione del lievito per dolci al posto di quello di birra, che lo trasforma in una sorta di biscottone.
Il pan de mei originale è morbido e si scioglie quasi in bocca. Sa di burro e di zucchero, è brunito in superficie e, mangiandolo, si incontrano i granelli più grossi della farina gialla che lo rendono piacevole al palato. I fiori di sambuco gli conferiscono un aroma ed un profumo unici.
COSA VUOL DIRE “MEJ”?
Mei o mej in lombardo significa miglio, l’antico cereale con cui fino al 1600 si panificava per penuria di farina bianca.
Il miglio, panicum miliaceum, era coltivato in epoca romana in tutta la penisola; nel Medioevo rappresentava il cereale principale e si utilizzava anche per la polenta.
Mentre il frumento e la segale venivano usati per la vendita o i baratti e per il necessario per la famiglia, il miglio, cereale più povero, veniva macinato ed usato per il pane: ne risultava un pane dolciastro, da mangiare caldo, poiché raffreddandosi induriva. Ecco che il pan de mej, in Lombardia, risulta il pane più consumato e, per ammorbidirlo, lo si bagnava con il latte o con la panna, che non mancavano grazie agli allevamenti di bovini della regione.
La preparazione del pane coinvolgeva tutta la famiglia; con i resti dell’impasto e la raschiatura del piano di lavoro, aggiungendo un po’ di zucchero, uova e i fiori di sambuco si facevano dei dolci per far felici i bambini, il pan de mei appunto. Un dolce che viene da lontano tanto da entrare nella leggenda.
LA LEGGENDA DEL PAN DE MEJ
Vi sono due leggende che sono alla base della nascita di questo pane dolce aromatizzato al sambuco.
La prima riguarda una battaglia: Felice Cunsolo narra nei suoi libri la leggenda dell’ uccisione del brigante Vione.
Il feroce brigante, un certo Vione Squilletti, nel XIV secolo, batteva la campagna milanese a capo di una banda di malfattori, rapinando i viandanti e taglieggiando i contadini. Stanco di sopportarlo, Luchino Visconti, signore di Milano, mandò contro il bandito uno squadrone di armigeri. Malfattori e soldati si scontrarono il 23 aprile 1339 in un luogo che, in seguito, prese nome dall’uccisione del temuto brigante. Da lì a poco apparve su un muro, vicino a dove avvenne lo scontro, un dipinto raffigurante San Giorgio, impegnato nell’uccisione di un drago, con la scritta “qui morì Vione”. Le storpiature del tempo trasformarono quella zona in “Morivione”.
Il quartiere Morivione è situato nella zona sud di Milano ed è noto per essere la zona dove, in un recente passato, ovvero sino all’immediato dopoguerra, tradizionalmente i milanesi andavano a festeggiare San Giorgio, bevendo latte e mangiando il pan de mej.
I contadini festeggiarono i soldati liberatori offrendo loro la panera, ovvero la crema di latte raccolta per affioramento, e il pan de mej. Ricorreva in quel giorno la festa di San Giorgio: da lì ebbe origine la consuetudine (oggi purtroppo persa) di consumare questo dolce nella ricorrenza della festività del Santo, che cade appunto il 23 aprile.
La seconda leggenda risale al XIX secolo: San Giorgio, il cavaliere che sconfisse il drago, infatti, è il protettore non solo degli eserciti, ma anche dei lattai. Il 23 aprile a Milano era proprio il giorno del rinnovo dei contratti del latte tra mandriani e lattai.
Nella tradizione alpina le mandrie salivano all’alpeggio nel giorno di San Giorgio, guidate dai bergamini, mandriani appiedati, che prendevano il nome dalle valli bergamasche dove si compiva la transumanza. Prima di partire per l’alpeggio con le loro mandrie, i bergamini stipulavano i contratti con i lattai, celebrando l’avvenimento con solenni mangiate di panna, nella quale intingevano il pan de mej aromatizzato con i fiori di sambuco, sbocciati in quel periodo dell’anno.
Chi era San Giorgio?
La maggior parte delle informazioni su San Giorgio giunte fino ai giorni nostri sono legate alla leggenda che lo lega al drago, ma esistono anche delle varianti locali.
La prima leggenda è ambientata in Libia e si trova nella “Legenda Aurea”, scritta da Jacopo da Varazze nel XIII secolo, contenente storie sulle vite dei Santi, libro tuttora usato per poter interpretare il significato dei quadri religiosi.
In Libia vi era un luogo con un lago nel quale abitava un feroce drago, a cui gli abitanti della zona davano in pasto pecore per placarne l’appetito. Terminate le pecore, furono costretti a sacrificare giovani fanciulle, fino a quando fu il turno della principessa locale. San Giorgio, innamorato della giovane, accorse per salvarla: convertì al Cristianesimo tutta la popolazione, unico modo per liberarsi del drago, e riuscì a trafiggerlo con la sua spada.
La seconda leggenda, contenuta nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani”, scritto tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300 da Goffredo da Bussero, è sostanzialmente identica alla prima, ma ambientata sulle Prealpi brianzole e ha tra i protagonisti anche il sambuco. Quando Giorgio intervenne per salvare la principessa, questa era legata ad un sambuco e quando il giovane gettò al drago delle focacce dolci per distoglierlo dalla sua preda, alcuni fiori di sambuco vi caddero sopra. Grazie all’effetto calmante e sedativo dei fiori, il drago si lasciò ammansire da Giorgio, che ne approfittò per decapitarlo e liberare la sua principessa.
Cosa è il sambuco?
Il sambuco è un arbusto delle Caprifoliacee (Sambucus nigra), dal fusto ricco di midollo bianco, leggero e compatto e considerato comunemente infestante perché appena reciso si rigenera; per questa ragione il sambuco è ritenuto l’albero della rinascita ed è legato al ciclo della vita e della morte. Cresce nei boschi, in campagna o nelle periferie delle città, ha fiori bianchi dall’odore penetrante, riuniti in grandi “ombrelli”; i frutti sono piccole bacche nero-violacee. Fiori e frutti sono usati, sin dal tempo dei Latini, per preparare tisane e alimenti. Nella tradizione lombarda, con i fiori, oltre ai dolci, si prepara una sorta di focaccia salata, impastata con strutto e sale, che pare sia diretta erede delle frictelle de sambugo e delle frittate già descritte nei ricettari padani del Medioevo, e che ancora si preparano, specialmente nelle zone alpine. I frutti, da soli o miscelati a frutti di bosco nella proporzione del 50%, sono ottimi per preparare confetture, ma esistono confetture anche fatte con i fiori, associati a mele. Dai fiori si ricava anche un ottimo sciroppo.
RIZETA : Ul “Pan da mej”
A ga vor un pugn da levàa, cumprà in dal prestinèe; al sa impasta cun la farina da furment e anca quela da furmentuniin, acqua e saa quantu basta; quant l’è ben impastaa, al sa lassa lievità par ben tre o quatr’üür, al sa baslota e al sa infurna; dopu un para d’üür a l’è ben cott e prufumaa!
Anna Gosetti della Salda, nel suo libro “Le ricette regionali italiane”, riporta ben tre ricette: la versione originale, la ricetta dei meini fini (con più farina bianca e poca farina di mais fine) e quella dei meini greggi (con tanta farina gialla e poca farina bianca).
Io vi propongo quella originale, tuttora usata da molti panettieri milanesi.
Ingredienti:
200 g di farina gialla fine
150 g di farina bianca
100 g di farina gialla a grana grossa
150 g di burro
100 g di zucchero semolato
15 g di lievito di birra
Poco latte
3 uova
3 cucchiaini di fiori di sambuco essiccati (si trovano in erboristeria)
Zucchero vanigliato
200 ml di panna liquida per servire
Preparazione:
Mescolare insieme le tre farine (in ciotola o sulla spianatoia, a piacere), aggiungere un pizzico di sale, un pizzico di fiori di sambuco, lo zucchero semolato, le uova e il burro fuso.
Mescolare con cura ed unire il lievito già sciolto in un pochino di latte.
Impastare gli ingredienti insieme unendo, se necessario, altro latte; quindi fare una palla, metterla in una zuppiera, coprirla e lasciarla lievitare per un’ora in un luogo tiepido.
Trascorso questo tempo, ungere una placca da forno e spolverizzarla con farina. Fare con la pasta delle pagnottine lievemente schiacciate di circa 10 cm di diametro e metterle sulla placca, tenendole distanziate fra loro perché cuocendo tendono ad allargarsi.
Cuocere i pani con un po’ di zucchero a velo e fiori di sambuco sopra, a 190° per circa 30 minuti.
Bibliografia:
http://www.ininsubria.it/san-giorgio-varese-festeggia-con-il-pan-meino~A10960
http://www.imujj.com/DIZ/PROVERBI/MODI_DI_DIRE_PANE.htm
http://www.anticacredenzasantambrogiomilano.org/cucina/panmejn.htm
http://www.ersaf.lombardia.it/servizi/buonalombardia/Prodotti_fase03.aspx?ID=149
http://www.buonalombardia.regione.lombardia.it
http://www.cavalliegare.it/il-cavallo-nellarte/55-san-giorgio-e-il-drago.html
http://www.5wmagazine.com/2014/04/11/il-pane-di-san-giorgio/
Anna Gosetti della Salda “Le ricette Regionali Italiane” Casa Editrice Solares – sesta edizione
Partecipano come contributors:
Elena Broglia – Pan de mej o pan meino
Sara Sguerri, Pan De Mej: Pane Dolce Milanese con Farina di Mais e Fiori di Sambuco
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Meraviglia,MERAVIGLIA!!!! finalmente, la ricetta GIUSTA del dolce che ha accompagnat le mie merende di bambina. Tipico, tipicissimo delle nostre zone, in tempi recenti mi sono rifiutata di mangiarlo: lo trovi fatto solo di farina gialla, oppure tipo brioche, oppure troppo morbido, e quel che è peggio, senza il sambuco he invece è la sua nota distintiva. Grazie, perchè con la storia e la ricetta mi hai fatto riassaporare i momenti in cui la nonna ic portava dall’amica fornaia, nella strettoia del paesino, e ci prendeva i “pan meini” di merenda.
Alessia – myiummy.it
Grazie a te Alessia per il commento! Meritano davvero di essere provati nella versione originale.
Grazie per avermi fatto conoscere questa preparazione, così semplice eppure così meravigliosamente buona. Per la prima volta ho cucinato una ricetta a ridossissimo della sua GN, quindi stamattina ho potuto ancora gustarmi questa prelibatezza per colazione! 🙂
Grazie a te per aver provato e gustato questi panini dolci.
Bellissimo articolo cara Daniela, Grazie!
Tiziana
Grazie Tiziana.
davvero avvincenti tutte queste leggende, dopo tutto un dolce della tradizione non poteva che avere una storia così… complimenti per il bell’articolo e per una ricetta d’eccezione!
Grazie Elena.