Calabria tra nettari, viuzze e scoperte archeologiche

Tra le regioni bistrattate dello Stivale spicca tristemente la Calabria. Terra per molti considerata di passaggio, a volte violentata, regina della Magna Graecia, suolo del vino e della cultura ellenica. Ha regalato natali a noti filosofi e pensatori. Non molti però si sono soffermati sui borghi della provincia ionica reggina dove è possibile camminare tra luoghi nascosti e realtà incontaminate.

Una delle cittadine più affascinanti è Bova. Presepe incastonato sulle montagne il cui nome è di origine incerta. Gregge, bue e grano sono forse le parole legate all’etimo. La località appare tra le ultime diocesi a passare dal rito ortodosso a quello latino. Interessanti il dialetto, cugino della lingua antica di Omero. Un museo contadino all’aperto dimostra quanto gli abitanti fossero lavoratori della terra. Le chiese di San Leo, San Rocco e il Santo Spirito incantano. Trasparenze sul pavimento mettono in luce piccole necropoli sotterranee, Madonne col Bambino, santi in estasi caratterizzano un’atmosfera mistica che attrae per bellezza anche i non credenti.

Sulle pendici si espandono ettari di vigne che generano bottiglie distribuite dalla Cantina Sociale di Bova. Tra le uve meno conosciute eccellono Nerello e Guardavalle. Diversi i calici e soprattutto reali i sentori e i sapori. Sembra di tornare alla gustosità di un tempo. La ristorazione ben si abbina ai nettari sebbene non sempre le strutture ricettive siano provviste di calici da degustazione, ma si sa… Si vive e si assaggia davvero come un tempo. Altro sorso particolarissimo è Lanò, blend di uve autoctone delle quali, probabilmente, in molti non conoscono l’esistenza. Qui si sfiorano profumi e sapori ancestrali. Sembra che il tempo non sia trascorso e si rimane imbottigliati proprio nel vetro che contiene l’oro scuro. Altro paese da segnalare è Gerace , copioso di vicoli, elegante nel suo stile unico tra bizantino e normanno. La cattedrale è un tesoro per molti poco conosciuto. Due i piani sui quali si erge un gioiello di 1680 mq. Portoni, viuzze caratteristiche dimostrano quanto la Calabria sia rimasta tale su molti aspetti. È possibile degustare nei locali circostanti granite di gelsi o di more.

Località che sembra essersi persa nella notte dei tempi è Ferruzzano il cui nome probabilmente significa ferro saldo. La sua ubicazione potrebbe essere stata meta, per secoli, di gente che ha cercato un luogo fortificato naturalmente, sul quale proteggersi. Negli ultimi tempi i suoi boschi sono stati particolarmente calpestati da curiosi e appassionati di vino. Sono stati rinvenuti oltre 150 palmenti, vasche non particolarmente profonde utilizzate per la pigiatura delle uve. Per secoli abbandonate, destinate ad abbeverare il bestiame o distrutte perché impedivano la lavorazione dei campi. Grazie alla loro presenza e agli studi scientifici è stato possibile, attraverso una certosina indagine sui vinaccioli, scoprire una serie di vitigni autoctoni ormai scomparsi. La Calabria sulla varietà delle uve ha il primato assoluto di tutto il Paese.

Non si può non assaggiare uno degli ori italiani ancora poco conosciuto: il Greco di Bianco (Malvasia di Lipari). Diverse le cantine che lo propongono. Giallo oro, denso, all’olfatto sprigiona sentori di albicocca secca, pesca matura, in bocca è un tripudio di sapori. I Dioscuri, Baccellieri, Maisano, Lucà, Ceratti e Capo Zefiro sono le migliori espressioni. Le cantine lavorano in modo diverso. Ciascuna ha una propria filosofia e una degustazione alla cieca sarebbe foriera di chi veramente talvolta ha raggiunto la perfezione in un semplice sorso.

Il politico francese Jean Léon Jaurès sosteneva: “La tradizione non consiste nel mantenere le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma.”

Quando l’Italia se ne accorgerà? Speriamo non troppo tardi…

 

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