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Il ricettario ufficiale di Netflix
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Pubblicazione: 15/04/2019
Dopo aver conosciuto i grandi bianchi campani, torniamo a parlare di vino focalizzando la nostra attenzione sui rossi. Regione tra le più affascinanti del lungo Stivale, territorio facente parte della Magna Graecia la Campania è ancora oggi una terra dalle molteplici sfumature e spesso dalle innumerevoli contraddizioni. Diverse le località note nel periodo greco come Pithecussae, Cuma, Partenope, Posidonia, Ercolano, Pompei, le ultime due distrutte con l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. che le rese famose in tutte il mondo anche per la morte dello scrittore Plinio Il Vecchio che si avvicinò alla montagna fumante perché curioso, proprio in quel periodo, stava scrivendo un’opera sui fenomeni atmosferici e naturali.
Etruschi, Sanniti, Romani, barbari, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Borboni… Troppe le occupazioni di questo suolo che ancora oggi offre panorami mozzafiato, storia, cultura e un’enogastronomia che rende la realtà campana tra le più famose al mondo. Già nel periodo romano era noto il vino Falerno celebrato dagli scrittori del periodo, probabilmente originario nella zona del casertano. Era necessario spillarlo solo nelle migliori occasioni. Tra i suoi estimatori emergono l’epigrammista Marziale e il gastronomo romano Apicio.
Oggi le cantine della regione sono in continuo aumento sia per l’alta qualità sia per l’agricoltura che restano uno dei punti di forza del Belpaese. Tra i vitigni a bacca rossa è da citare il Piedirosso considerato autoctono, detto Per’ e palummo per la forma della rachide i cui pedicelli degli acini appaiono simili alle zampe di un colombo. Le province che lo ospitano sono Avellino, Napoli, Salerno e le isole di Capri e Ischia. Diverse le Doc che lo contengono. Vitigno vigoroso la cui maturazione avviene i primi giorni di ottobre. Offre al calice sensazioni di frutti rossi, prugna, ciliegia e spesso sfumature di tabacco, cuoio, chiodi di garofano. In bocca regala una buona dose di tannini spalleggiati da una discreta acidità.
Credits immagine: Gianmarco Tirico [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]
Quando, però, si parla di Campania il re resta l’Aglianico, uva a bacca rossa invidiata anche dai produttori di Barolo. Ancora oggi incerta l’etimologia della parola. La maggior parte della gente parla di ellenico ovvero greco proprio da far risalire alla colonizzazione dell’VIII secolo a. C. . Sarà l’uva proveniente dall’Eubea? Si tratta della varietà elvola di cui narra Plinio il Vecchio o hellenicus era l’aggettivo che si utilizzava per intendere un modo di creare il vino diverso da quello graecus? Ancora con l’aggettivoἀγλαός (aglaos) ci si riferiva al colore splendente e non molto scuro di acini appetibili? Queste sono alcune delle teorie che rendono l’uva più affascinante e di conseguenza il suo vino.
Aglianico del Taburno (Benevento; Aglianico 85%) e Taurasi (Avellino; Aglianico 85%) sono le Docg che lo rappresentano. Attecchisce anche in Basilicata, nella zona vulcanica del Vulture (Potenza) dove le declinazioni del bouquet si moltiplicano. Tante le cantine che oggi lo producono e soprattutto esportano… Antonio Caggiano che con un suo calice vince l’Oscar del Vino; Mastroberardino precursore dei tempi; Feudi di San Gregorio conosciuti in Europa; Luigi Tecce forse il più fedele alla tradizione… Ognuno di loro assieme ad altri rendono l’Italia unica ed esemplare nella sua infinita biodiversità.
Credits immagine di testata: Marc Benedetti da Pixabay
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