Il riso lombardo

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Quando, prendendo le strade che a sud della provincia di Milano si addentrano nella campagna verso Pavia, ci si trova circondati da ettari di campi allagati è il segno che la primavera è iniziata e che il riso sta per essere messo a dimora.
Ci sono giorni in cui il cielo è terso e si rispecchia nelle acque delle risaie. Il confine tra cielo e acqua è segnato da una sottile striscia di terra che divide un campo da un altro. Nelle giornate piovose, invece, tutto diventa grigio e non si distinguono più i colori dei papaveri, dei cespugli di rosa canina, della camomilla. Aironi dalle lunghe zampe planano per riposarsi e ristorarsi nelle acque delle risaie: uno spettacolo emozionante.
Questo è un periodo breve. In poche settimane, quando le piantine di riso iniziano a crescere, l’azzurro specchio d’acqua si trasforma in una distesa verde. Col trascorrere dell’estate le risaie diventeranno distese gialle e poi color ambra: sarà arrivato settembre e significherà che le spighe di riso sono mature ed è il momento del raccolto.

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In Lomellina (zona compresa nella provincia di Pavia) la coltivazione del riso prese piede nel XV secolo e da lì si estese nel resto del Nord Italia. Prima di allora il riso non era molto diffuso, tanto che veniva venduto a caro prezzo dagli speziali insieme allo zucchero, riconoscendogli doti più medicinali che nutritive vere e proprie. Furono i Duchi di Milano, dando prova di lungimiranza, a promuoverne la coltivazione nelle terre paludose e praticamente improduttive tra il Po e il Ticino.
In breve, come attestano alcuni documenti relativi alla Tenuta Villanova, vicino a Cassolnovo (Pavia), le risaie divennero più produttive dei campi di grano. Nel 1475, in uno scambio di doni e cortesie tra la corte di Milano e quella di Ferrara, pare che Ludovico il Moro abbia inviato a Ercole d’Este dodici sacchi di riso, pensando, evidentemente, che il riso avrebbe attecchito bene anche nelle terre del suo futuro suocero (Ludovico e la giovane figlia di Ercole, Beatrice d’Este, si sarebbero sposati nel 1491).
In pochi decenni il riso si trasformò da ricercatezza aristocratica a cibo per i poveri. Nel corso dei secoli divenne via via indispensabile per il sostentamento dei contadini e per l’economia delle zone vicine a Pavia.

Gran-Tour-dItalia-Lombardia-risoIl riso è un ingrediente versatile e si presta a preparazioni dolci e salate, si può mangiare asciutto o in brodo, caldo o freddo e anche riscaldato. È facile quindi pensare che, grazie alla fantasia e alla buona volontà delle massaie, sia da sempre stato abbinato a tutto ciò che la campagna e l’orto mettevano a disposizione: dagli asparagi alle foglie del papavero e altre erbe selvatiche, dai fagioli alle zucchine e alle zucche; senza contare i formaggi, le rane e i pesci di acqua dolce.

Intorno al microcosmo della risaia – fatto di sei mesi di duro lavoro da maggio a ottobre – hanno sempre ruotato feste, amori, danze, socialità, lotte sindacali, fatiche e dolori. Fino a che, intorno al 1980, la tecnologia ha pressoché soppiantato completamente il lavoro manuale, mettendo fino anche all’epoca delle mondine, le lavoratrici stagionali delle risaie.

Per molto tempo i semi adoperati in Italia provennero da incroci spontanei. Nel XIX secolo vennero selezionate diverse varietà. Le più coltivate in Lombardia sono: Originario; Balilla; Vialone nano; Maratelli; Marchetti; Ribe e Sant’Andrea; Arborio, Baldo, Roma e Carnaroli. Il 60% del Carnaroli di tutta Italia si coltiva in Lomellina; infatti in questa zona le riserie sono moltissime.

Per esempio la Riserva San Massimo a Groppello Cairoli (Pavia), dove viene prodotto e confezionato riso Carnaroli al 100%, sebbene, per legge, possano essere vendute sotto la dicitura Carnaroli altre varietà di riso molto diffuse in Italia come il Roma, l’Arborio, il Baldo. Queste varietà infatti appartengono alla stessa categoria del Carnaroli, i risi Superfini, ma sono meno pregiate. Nella Riserva San Massimo (riconosciuta dall’Unione Europea come sito di interesse comunitario a protezione speciale dal 2004 grazie all’eccezionale livello di biodiversità) la terra coltivata a riso è un terzo di quella a disposizione e l’acqua per le risaie proviene da ben quarantaquattro fontanili. Passeggiando nella riserva, oltre a godere del panorama delle risaie, si possono incontrare daini e caprioli e moltissime altre specie di animali.

Fonti:
A. Alberici – La tavola del Gran Pavese- Franco Muzzio Editore

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