Visitare le necropoli di Tarquinia e Cerveteri

Visitare le necropoli etrusche
Ph. credits: Roberto Romano

Le necropoli etrusche di Tarquinia e Cerveteri, inserite nel 2004 nel patrimonio dell’Unesco, sono la testimonianza di una delle società antiche più affascinanti che si sono sviluppate in Italia, prima dell’ascesa e della definitiva affermazione di Roma. Ma parlare di etruschi e non aver visitato i loro luoghi simbolo significa non rendersi conto del loro lascito culturale.

A Tarquinia si distinguono le bellissime tombe della necropoli di Monterozzi, con oltre 2000 ipogei censiti dalla fondazione Lerici, la cui valenza artistica è data dalla presenza degli affreschi. Le tombe affrescate sono circa 200. Si pensa che l’ispirazione per questo tipo di modello sepolcrali vada ricercato nella tradizione funeraria del vicino Oriente (Salamina di Cipro), così come si crede che i minerali impiegati per colorare le tombe provengano sempre dall’Asia minore. 

Tra le tombe più significative quelle del Guerriero, della Caccia e della Pesca, delle Leonesse, degli Auguri, dei Giocolieri, dei Leopardi, dei Festoni, del Barone, dell’Orco e degli Scudi. 

È possibile sia visitare il Museo Nazionale Etrusco di Tarquinia, all’interno del rinascimentale Palazzo Vitelleschi, sia fare delle escursioni guidate nel centro storico della città, ai siti archeologici etruschi o all’ottocentesca villa Bruschi Falgari, all’interno di un parco, poco fuori dal centro abitato.

A Cerveteri la necropoli della Banditaccia è la più estesa, con oltre 400 tombe a tumulo e a dado, disposte lungo una via “sacra”. All’interno si possono trovare delle ricostruzioni perfette delle case dei defunti scolpite nel tufo, come anche i letti funebri, stucchi e particolari dipinti come nella tomba dei Rilievi. Questo ha permesso di ricostruire usi e vita quotidiana degli etruschi. Si può visitare il Museo Archeologico Cerite. Nei dintorni è da segnalare per la sua bellezza, il castello di Santa Severa.

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Tomba dei leopardi. Ph. credits: Roberto Romano

Le origini degli etruschi

Dibattuta ancora oggi tra gli storici è l’origine del popolo etrusco. Le ipotesi al riguardo sono varie: 

  1. La provenienza dall’Asia Minore, nel contesto più ampio di flussi migratori 
  2. Popolazione autoctona della penisola italiana
  3. Insediamento di popolazioni su una struttura economica e sociale già esistente

Il passaggio e lo sviluppo della civiltà etrusca si ha quando i piccoli villaggi sparsi nel territorio si raggruppano e formano le città, governate da famiglie benestanti. Nasce la dodecapoli, alleanza delle 12 città di stato di Arezzo, Chiusi, Caere (Cerveteri), Cortona, Volsinii (Orvieto), Roselle, Tarquinia, Veio, Vetulonia, Perugia, Volterra, Vulci.

Per gli etruschi un carattere distintivo era il ritualismo (disciplina etrusca). Praticavano l’antica dottrina divinatoria dell’aruspicina: predicevano il futuro attraverso il fegato degli animali, del volo degli uccelli e dei lampi e tuoni. Davano molto valore all’orientamento secondo i punti cardinali e soprattutto una forte attenzione ai numeri. Ogni città aveva tre porte, tre templi.

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Ph. credits: Roberto Romano

La cucina degli etruschi

Purtroppo non sono arrivati testi scritti quali le Tuscae Historiae, ben note ai Romani che sono andate perse. Pertanto i principali elementi per la ricostruzione della storia e della vita quotidiana etrusca ci vengono dagli scavi archeologici e dalle testimonianze iconografiche: oggetti che sono stati rinvenuti nelle tombe o in scavi di abitati, nonché le pitture funerarie delle tombe dipinte di Tarquinia che restituiscono un’immagine significativa dei banchetti e degli usi culinari.

L’errore che molto spesso si fa è di equiparare la cultura gastronomica etrusca a quella romana di Apicio. Ma gli etruschi, anche se erano stati inglobati nella civiltà romana, mantennero degli usi propri in fatto di gusti e alimentazione.

Ma allora dove cucinavano? 

Non è mai stato rinvenuto un ambiente dedicato alla cucina o un ambiente dove c’era una canna fumaria, sia nelle capanne arcaiche, sia nelle domus che erano sprovviste di canne. Sicuramente quando potevano cucinavano all’aperto, anche se ci sono scavi che hanno evidenziato come esistessero ambienti interni per cucinare.

Venivano utilizzati bracieri simili a quelli dei giorni nostri e addirittura alcuni con ruote per il trasporto e con coperchi (Vedi il Museo Etrusco di Villa Giulia – Roma). Esistevano sostanzialmente tre tipi di fornelli, provvisti ognuno di relative varianti: il tipo più antico era di forma cilindrica e munito sulla superficie superiore di una piastra forata e, sulla parte inferiore, di un’apertura per l’alimentazione del fuoco. Verso la fine del VII sec. a.C. compare un secondo fornello semicilindrico, a forma di ferro d cavallo, con tre parti sporgenti verso l’interno per sostenere la pentola. C’è infine un ultimo modello, simile a una piccola botte aperta per appoggiarvi il recipiente per la cottura e, in quella inferiore, adibito per il carico del combustibile. 

Molto utilizzata la cottura diretta sul fuoco, tra dei coppi accoppiati. Oppure si mettevano gli alimenti su un piano di coccio o bronzo, poi ricoperto con un coperchio a campana e intorno accostavano la brace (in Abruzzo ancora c’è la pratica di cuocere sotto “lu coppo”), ma  si utilizzavano più spesso spiedi e graticole per arrostire.

Gli utensili da cucina, oltre ai coltelli, erano calderoni, pentole, tegami e padelle, mortaio, colini, coperchi, mattarelli, rotella per pasta, mestoli, cucchiai, grattugia, coperchi e bacinelle. Le padelle erano utensili domestici adibiti a contenere i cibi in fase di cottura, chiamati anche pàtere o bacinelle, di cui esistono diverse varianti a seconda del modo in cui risultavano forgiati, a orlo o ansa. La medesima classe di recipiente si trova replicata a partire dal III secolo a.C. nella cosiddetta “ceramica a vernice nera”, che ispira le sue forme a prototipi di vasi in metallo, ottenendo così contenitori a un costo inferiore di quello raggiunto dagli originali.

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Ph. credits: Roberto Romano

Cosa mangiavano gli etruschi

Nel periodo più antico l’alimentazione base della maggioranza della popolazione era costituita da cereali, principalmente frumento, farro, panico e orzo. Il farro era usato sia in farina che intero: in farina facendo la puls, una sorta di polentina; intero cotto insieme ai legumi o con aggiunta di verdure. 

Gli etruschi usavano una sorta di pane, che si distingueva da quello prodotto dai Romani per l’assenza di sale e di lievito. Infatti gli etruschi non saleranno mai il pane, un uso che ancora oggi sopravvive e connota la Toscana, l’Umbria e la provincia di Viterbo, e la panificazione era o con pasta acida o con fermentazione.

Soltanto più tardi, i grani più raffinati (frumenti), provenienti dalle terre di conquista (Egitto), cominciarono a sostituire questo cereale nelle mense dei benestanti e nel II secolo a.C., con l’avvento dei panettieri greci, che fecero conoscere ai Romani il pane lievitato, il frumento divenne il grano più usato.

Tra le verdure, le principali erano bietole, cicorie, aglio e cipolla, rape e porri, finocchi e cardi, carciofi e carote selvatiche. Basi immancabili di zuppe e minestroni erano le lenticchie, i ceci, i fagioli, le fave, gli asparagi selvatici, i funghi e i tartufi. Solo le cipolle e le fave erano mangiate in scarsa quantità da crude, mentre le classi agiate le mangiavano esclusivamente cotte. La frutta esisteva e ne facevano largo uso: castagne, pere, sorbe, noci, melograni, mele, fichi, more e uva. 

In Etruria, la religione e la cucina si incontrano spesso ed è così che quasi tutte le piante sono dedicate a divinità: il mirto a Tarun, l’alloro a Febo, il nocciolo a Fillide, la vite a Phuphuluns (il Bacco dei Romani). A Priapo, con il suo culto fallico, si dedicano latte e focacce.

Ma l’Etruria è principalmente terra del vino. La coltura della vite è conosciuta dal IX sec. a.C. Il temine latino VINUM non deriva, come si potrebbe erroneamente supporre dal greco, ma dall’etrusco UINOM. Il vino bevuto era talmente forte che era necessario allungarlo con acqua e miele, o aromatizzarlo con timo e rosmarino. A volte veniva aggiunto il formaggio.

Si ritiene che gli Etruschi siano stati i primi a produrre e bere birra, per via degli scambi commerciali con gli Egiziani. La bevanda fermentata era poco alcolica e veniva chiamata Pevakh. La scoperta archeologica avvenuta nel 1995 a Poombia (in provincia di Novara), in un territorio anticamente abitato dalle popolazioni liguri, ha portato alla luce un antico vaso, perfettamente integro, del VII sec. a. C. e appartenente all’alveo proto celtico nella cultura di Golasecca, con i resti di una bevanda fermentata all’orzo e, cosa ancora più sorprendente e significativa, luppolata.

Nella Maremma laziale l’habitat naturale era ideale per l’allevamento. Abbondante era la selvaggina: cinghiali, cervi, caprioli, capre selvatiche, lepri, l’antico bue selvatico (Bos Taurus Urus), volatili terrestri e acquatici. Erano mangiati anche corvi, ghiandaie, tassi, spinose (istrici), ghiri, che allevavano in appositi orci bucherellati (glirarium). Le testuggini erano molto apprezzate, ne sono state trovate in gran quantità negli scavi dei centri abitati.

Erano allevati pecore e maiali, spesso allevati semibradi nei boschi ricchi di ghiande e incrociati con i cinghiali (ancora oggi nel viterbese è famosa la porchetta alla finocchiella e a Tuscania la zuppa con la pecora). Gli Etruschi erano bravi caseari, cagliavano con il caglio naturale proveniente dalla pianta del fico o del cardo.

Quali sono i cibi che sono arrivati fino a noi? 

  • Zuppe con piselli, fave, lenticchie, farro, orzo
  • Acquacotta senza patate e pomodori 
  • Minestra di castagne del viterbese,
  • Minestra con la bietola, con la cicoria
  • Frittate con carciofi, asparagi, tartufi,
  • Il castagnaccio di Firenze, 
  • Necci (crespelle) con farina di castagne ripiene di ricotta e miele, 
  • Testaroli 
  • Pane di miglio 
  • Le uova sode ripiene di formaggio e miele 
  • Formaggio cotto o fritto, 
  • Torte ripiene di formaggio 
  • Agnello cacio e uova 
  • Corata d’agnello
  • Fegatelli di maiale
  • Sbroscia, una zuppa di pesce di lago senza patate e pomodori
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Cavalli alati. Ph. credits Roberto Romano

Come visitare la necropoli 

Per informazioni  

https://www.comune.cerveteri.rm.it/turismo-e-cultura

Come arrivare a Cerveteri

In Auto
Autostrada Roma-Tarquinia (A/12)
In Treno
Linea Pisa – Grosseto – Civitavecchia; stazione di Marina di Cerveteri 

Come arrivare a Tarquinia

In Auto
Da Roma: autostrada fino a Tarquinia
Da Grosseto: Aurelia in direzione sud
Da Viterbo: Superstrada Viterbo- Civitavecchia fino a Monte Romano
In treno
Linea Pisa – Grosseto; stazione a 3 km con collegamento di bus urbani 

Bibliografia:

  • M.Torelli, Storia degli Etruschi, Bari 2007
  • M. Cataldi, Tarquinia, Roma 1993
  • M. Pacciarelli, Dal villaggio alla città. La svolta proturbana dal 100 a.C. nell’Italia Tirrenica, Firenze 2000
  • S. Grasso, Gli Etruschi, tra cultura e cucina, 2014
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Mitra. Ph. credits: Roberto Romano

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