Il grano duro: caratteristiche e utilizzo

grano duro

Il grano duro, anche se giovane rispetto ad altri, è un simbolo indiscusso delle nostre tavole. Ma conosci realmente le sue proprietà, le caratteristiche e soprattutto il suo corretto uso in cucina? Questo articolo ha lo scopo di dissipare i tuoi dubbi e le tue incertezze sull’ argomento e di farti conoscere più a fondo uno dei principali grani italiani.

Il grano duro, chiamato tecnicamente Triticum durum, è una pianta erbacea della famiglia delle graminacee diffusa principalmente nell’area mediterranea e medio- orientale. Contrariamente a quanto si possa pensare, è un grano molto giovane le cui prime tracce risalgono al IV secolo a.C. anche se la sua origine è legata ad un altro grano molto più antico, il Triticum urarto originario della Turchia.
Molto prima della nascita dell’agricoltura, tra i 300.000 e i 500.000 mila anni fa, il triticum urarto fuse il suo genoma con quella che venne definita un’erbaccia, l’ Aegilops speltoides, dalla quale nacque un ibrido chiamato Triticum dicoccoides, conosciuto semplicemente con il nome di farro selvatico.

Circa 11.000 mila anni fa, l’uomo iniziò a dedicarsi alla manipolazione del farro selvatico, per dar vita al farro coltivato, importantissimo per l’alimentazione dell’uomo. Le continue mutazioni di questo cereale portarono alla nascita del Triticum Durum, il grano duro per l’appunto, il più importante grano coltivato in Italia.

In passato la pianta del grano duro poteva raggiungere anche il metro e mezzo di altezza durante la sua maturazione.  Ma la forza delle intemperie riusciva a piegare il fusto fino al terreno umido e ciò causava la formazione di muffe e il deterioramento della pianta. Fu per questo che verso la metà del XX secolo, alcuni studiosi diedero vita ad altre varietà di grano duro, alcune incrociate anche con il grano tenero, ottenendo fusti più corti e resistenti.

Nonostante queste modifiche il luogo e il clima dove il grano duro viene coltivato, restano di fondamentale importanza: predilige le zone con clima caldo e secco, terreni argillosi e con un’ ottima capacità drenante. Ecco perché in Italia le zone di maggior interesse per la coltivazione del grano duro sono quelle meridionali, come la Puglia e la Sicilia.

La differenza tra grano duro e grano tenero

Una delle domande più comuni in materia di grani e farine, è quale sia la differenza tra grano duro e grano tenero. Le differenze sono tante e anche sostanziali.

La spiga del grano duro ha delle reste lunghe, il chicco “o cariosside” giallo brillante ha una forma allungata e spigolosa, è molto solido e resistente allo schiacciamento; inoltre è ricco di proteine vegetali e carotenoidi che hanno un’azione antiossidante.

La farina che otteniamo dalla sua lavorazione è la semola, caratterizzata da granuli grossi di colore giallo ambrato. Più ricca di fibre, proteine e glutine rispetto ad una farina di grano tenero, assorbe una maggiore quantità di acqua e ha un alto potere saziante.

Commercialmente, la farina ottenuta dalla macinazione del chicco dopo l’abburattamento ( la setacciatura graduale del chicco macinato per ottenere farine di diversa finezza) subisce una suddivisione dettata dalla quantità minima di ceneri e proteine presenti su 100g di prodotto:

  • la semola ha una struttura granulosa a spigolo vivo, ripulita da impurità e sostanze estranee, presenta il  0,90% massimo di ceneri e il 10,50% di proteine;
  • la semola rimacinata presenta più proteine della semola, il 12% con il 0,90% di ceneri;
  • il semolato ottenuto dopo l’estrazione della semola, può presentare tra il 0,90% e 1,35% di ceneri, con 11,50% di proteine;
  • il semolato integrale ha una struttura granulosa a spigolo vivo. A differenza delle altre semole, non subisce nessun abburattamento. E’ libero da impurità e sostanze estranee, può contenere dall’ 1,40% a 1,80% di ceneri e 11,50% di proteine;
  • la farina di grano duro ha una struttura più fine, non granulosa. Libera da impurità e sostanze estranee può contenere massimo 1,70% di ceneri e 11,50% di proteine.

 

La spiga del grano tenero si presenta con delle reste molto più corte, quasi inesistenti, il chicco ambrato ha una forma tondeggiante ma molto più fragile. La caratteristica più importante di questo chicco è la sua composizione, suddivisa in tre elementi importantissimi: crusca, endosperma e germe.  Dopo la sua lavorazione otteniamo la farina 0 e la 00, composte principalmente da endosperma, e la farina semi-integrale e integrale composte da crusca, germe e endosperma.

Principalmente le farine ottenute dal grano tenero hanno meno proteine e assorbono meno acqua rispetto a quelle del grano duro ma l’impasto ottenuto ha una buona estensibilità ed una tenacia medio bassa.

Queste farine hanno un largo uso in cucina e sono adatte per qualsiasi tipo di lievitato: pane, pizze, brioche o dolci in genere, fino alla pasta ma prettamente all’uovo. Da non dimenticare anche il loro uso nella realizzazione di creme, besciamelle e salse varie.

Dalla lavorazione del chicco di grano tenero e dal suo successivo abburattamento, secondo la presenza minima di ceneri e proteine presenti su 100 g di farina, otteniamo la seguente suddivisione commerciale:

  • la farina 00 ha una consistenza molto fine e il suo colore bianco candido è dovuto all’eliminazione di tutti i componenti del chicco durante la fase di abburattamento. Ecco perché ha una presenza minima di ceneri, il 0,55% e di proteine, il 9,00% ;
  • la farina 0 è meno raffinata della 00 e include una piccolissima quantità di crusca. Le ceneri presenti salgono a 0,65%  e le  proteine a 11,00%;
  • la farina di tipo 1: possiede una maggiore quantità di crusca e di germe di grano, rispetto alla 0. Le ceneri arrivano allo 0,80%  e le proteine al 12,00%;
  • la farina di tipo 2 o semi integrale: contiene quasi tutte le componenti del chicco. È una farina che ha ottime caratteristiche nutrizionali ed è più facile da lavorare rispetto ad una farina integrale. Contiene lo 0,95% di ceneri e il 12,00% di proteine;
  • la farina integrale: contiene tutte le parti del chicco perché non subisce nessuna raffinazione ed è la più completa dal punto di vista nutrizionale. La presenza delle ceneri può variare dall’ 1,30% all’1,70%, invece le proteine rimangono stabili al 12,00%.

Gli utilizzi del grano duro

Solitamente si pensa che dal grano duro si ricavino solo le farine, in realtà viene spesso usato come cereale in purezza sia per la produzione di birra sia in cucina per la preparazione di piatti tradizionali.

Si deve agli Etruschi l’antica pratica della produzione della birra, che portarono con sé quando si stabilirono a Roma. Una bevanda fermentata che in origine veniva realizzata con diversi cereali in base dai quali prendeva il nome: “sikaru” per quelle d’orzo, “Kurunnu” quelle prodotte con il farro spelta, l’antenato del grano duro.

Nell’antica Roma la birra era considerata in origine una bevanda prettamente femminile e per il popolo. Questa discriminazione si pensa sia nata dal fatto che le donne la usassero durante la gravidanza per aumentare la produzione di latte e per la realizzazione di prodotti di bellezza.

Gli uomini prediligevano il vino, che per il suo sapore più forte e corposo era ritenuto più “maschile”.

Con il passare del tempo però sia gli uomini sia gli imperatori romani si ricredettero sul consumo della birra, diventandone dei consumatori abituali. Nel 83 d.c. Agricola, un governatore britannico trasferitosi a Roma, aprì quello che venne definito il primo pub italiano.

Dai tempi degli Etruschi vi sono stati grandi passi avanti e la continua evoluzione tecnologia e la ricerca hanno portato oggi alla realizzazione della prima birra prodotta al 100% con malto di grano duro.

Ma l’uso del grano nella sua interezza non si limitò alla produzione di birra: grazie ai suoi nutrienti e all’alto potere saziante i romani lo usavano come base per le loro minestre. Ancora oggi il grano continua ad essere la base di alcune minestre o zuppe calde della tradizione gastronomica italiana, come ad esempio la zuppa salentina di grano cotto e pomodoro, o di insalate fredde e calde.

In epoca moderna, il grano iniziò ad essere usato anche come ingrediente principale per alcuni dolci diventati simbolo della tradizione italiana, tra questi vi è la pastiera napoletana o la cuccìa di Santa Lucia. In qualsiasi modo si voglia usare il grano duro come base della propria pietanza bisogna ricordare che il processo di lavorazione può essere un po’ lungo: occorre almeno una notte di ammolla in acqua e la cottura può raggiungere anche le due ore. In alternativa è possibile acquistare il grano già cotto e pronto all’uso.

Utilizzi della semola di grano duro

In cucina le farine ricavate dalla macinazione del grano duro sono molto utilizzate poiché consentono di ottenere un impasto malleabile e tenace, anche se poco estensibile, e sono quindi adatte alla panificazione e alla produzione di pasta sia a livello commerciale sia casalingo. Ma è anche importante ricordare che le diverse granulosità e composizioni di una farina di grano duro, una semola o una semola rimacinata, le rendono adatte ad usi differenti:

La semola di grano duro di colore giallo intenso è la più granulosa. Adatta per la produzione della pasta fatta in casa poiché ricca di sapori e profumi, tiene bene la cottura la rende il prodotto  più digeribile. Anche il semolato si presta benissimo per la  preparazione della pasta fatta in casa ma non è adatto ai lievitati poiché non tiene le lunghe lievitazioni. A tal proposito però, il Maestro Giorilli, incita al tentativo ed afferma: “se si ha la necessità di panificare con della semola, create una biga e miscelate la farina di semola con il 50% con una farina di forza”.

La semola rimacinata, a differenza della semola di cui sopra, subisce un ulteriore processo di macinatura risultando al tatto meno granulosa e più fine, ed ha un colore più chiaro. La sua composizione si presta alla produzione di lievitati come pizze, focacce e pane: ne sono un tipico esempio il pane di Altamura e il pane di Matera. Con la semola rimacinata possono essere realizzati anche dolci e biscotti. È possibile utilizzarla anche per la produzione della pasta, ma con un risultato di qualità inferiore poiché la pasta tende a scuocere e risulta anche meno digeribile.

Anche la semola integrale e la farina di grano duro, che hanno una granulosità più fine, sono adatti per la panificazione. Come per la semola rimacinata, una pasta realizzata con queste farine renderebbe il prodotto meno resistente alla cottura e più difficile da digerire.

Per fare il punto della situazione ricordo che a dettare l’uso in cucina delle farine ricavate dal grano duro, è la loro granulosità:

  • le farine di semola più granulose sono adatte alla pasta
  • le farine di semola meno granulose sono indicate per la panificazione

É doveroso far notare che il semolino che spesso troviamo sugli scaffali, sia in un formato grossolano che più fine, è ricavato dalla macinazione dei cereali di grano duro, ma non è uno sfarinato. Questa tipologia di prodotto viene utilizzato principalmente per la preparazione di minestre, gnocchi alla romana, ma anche dolci tradizionali come il migliaccio napoletano.

Le varietà più famose di grano duro

Le varietà di grano duro in Italia sono tante e ogni anno ne vengono create di nuove con lo scopo di ottenere piante sempre più resistenti alle condizioni climatiche. Ci sono però grani duri che persistono nel tempo e che per convenzione vengono chiamati grani antichi. Sono varietà di grano duro appartenenti ad un territorio specifico e che nel corso del tempo hanno mantenuto il proprio codice genetico, senza subire alcuna manipolazione da parte dell’uomo.
Generalmente più alte di quelle moderne, ognuna è caratterizzata da colori e forme proprie oltre che da proprietà nutritive e organolettiche differenti.

Tra i grani antichi più famosi troviamo:

  • la Timilìa o Tumminìa, che insieme al Margherito o Bidì diffusi nel sud Italia, sono ideali per il pane e hanno un indice glutinico inferiore al 60%, a differenza dei grani moderni dove supera il 90%. La farina di Timilìa è anche ricca di vitamine del gruppo B e di sali minerali come ferro, potassio e zinco e ha un’alta presenza di fibre. Un prodotto tipico realizzato con questa farina è il pane nero di Castelvetrano;
  • il Russello è uno dei grani duri più antichi e viene coltivato in Sicilia.  Ha un’ottima quantità di glutine ed è adatto sia per la panificazione che per alcune produzioni di pasticceria come i biscotti;
  • il grano duro Khorasan, conosciuto soprattutto con il nome Kamut (marchio depositato nel 1990 dalla Kamut International) ha un glutine molto destrutturato, quindi molto più digeribile;
  • la varietà Saragolla che venne importata nel IV secolo dall’Egitto da una tribù nomade. Fino all’800 era tra i grani più pregiati d’Abruzzo e grazie alle sue caratteristiche viene considerato il Kamut italiano.
  • Senatore Cappelli si coltiva soprattutto al sud. Questa varietà fu selezionata agli inizi del XX secolo dall’agronomo Nazareno Strampelli e venne così chiamata in onore del senatore del regno Raffaele Cappelli, che aveva donato all’agronomo una parte dei suoi terreni per la sua ricerca. Questa varietà di grano duro possiede due grandi qualità: un basso contenuto di glutine e di zuccheri e una ricca presenza di magnesio, potassio, calcio, zinco e vitamine del gruppo E e del gruppo B. Luce, sole, poca acqua e poca mano d’opera, sono gli elementi essenziali per la crescita di questa varietà di grano. Dal grano duro Senatore Cappelli si ricavano farine e semole ideali per produrre pasta, pane ma anche dolci e lievitati.

Se hai trovato interessante questo articolo e vuoi approfondire le tue conoscenze sulle farine e sull’arte bianca non perdere gli articoli della rubrica “Farina del nostro sacco”.

2 commenti

  1. Per scrivere così in dettaglio su questo argomento denoti l’impegno, l’interesse e la passione profuse in qualcosa che ti coinvolge in prima persona e coinvolge chi ti legge, come penso anche chi ha la fortuna di conoscerti di persona. Grazie per il dono di questo contenuto; possa suscutare tanto interesse in molti che hanno a cuore una “buona vita” radicata in quella grande e meravigliosa biodiversità che ci circonda a dispetto di chiunque (per pigrizia, ignoranza o oscuri interessi) la vorrebbe annichilire se non cancellare.

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