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Pubblicazione: 31/05/2023
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Della serie sull’olio e grassi in cucina, oggi vi parlo dell’olio di cocco.
Entrato in punta di piedi nelle nostre case con prodotti di bellezza e cura personale (grazie alle sue naturali proprietà idratanti e protettive), l’olio di cocco è un prodotto super versatile. È stato, almeno inizialmente, un riferimento cosmetico-esotico che, dalle coste tropicali, è arrivato prima sugli scaffali di negozi specializzati, per poi diffondersi anche nella grande distribuzione, e quindi nelle nostre case.
Per quanto riguarda l’uso alimentare, è un popolare olio da cucina con diversi potenziali benefici per la salute.
Nel 2022, i paesi leader nel consumo di olio di cocco sono stati le Filippine, con circa 715mila tonnellate (che sono anche tra i maggiori paesi di produzione), seguite dall’UE-27 (Unione Europea), con oltre 615mila tonnellate. [Dati Statista.com]
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Del cocco non si butta via niente, dalle radici salendo su su fino a frutti e foglie la pianta, oltre a essere una fonte di cibo e acqua, è usata anche come riparo, combustibile, per fare mobili e decorazioni varie. Ed è dalle sue noci che si estrae l’olio.
Questa noce è il frutto commestibile della palma da cocco – la Cocos nucifera – un albero della famiglia delle palme (Arecaceae). Riguardo all’origine della pianta, pare sia nativa dell’India e Sud-est asiatico, ma si racconta anche che possa provenire della Polinesia. In tutti i casi, la leggenda vuole che le noci galleggiando si siano fatte strada nel mondo.
Fu Marco Polo tra i primi a riferire – ne “Il milione” – di questa “nux indica” già nel XIII secolo, poi menzionata da altri esploratori, grazie agli scambi commerciali effettuati lungo gli 8000 chilometri che costituivano l’allora network della Via della seta.
Bisognerà comunque aspettare qualche anno per saperne di più, con le note dell’esploratore vicentino Antonio Pigafetta, (sopravvissuto alla spedizione Magellano – Elcano del 1519-1522) che nel suo diario “Primo Viaggio Intorno al Globo Terracqueo” racconta di quanto questa pianta fosse di fondamentale importanza per i locali.
Il nome “cocco” pare derivi dalle presunte sembianze che la noce ha con la testa di “el coco” (l’uomo cattivo delle favole della tradizione ispanico-portoghese).
I frutti dai quali si estrae quest’olio sono costituiti da grosse drupe ovali (le noci di cocco appunto), questi si presentano a grappolo giusto sotto il fogliame della palma, intorno ai 30 metri di altezza.
Ogni noce è composta da una specie di mallo (la parte superficiale liscia chiamata epicarpo), sotto la quale si trova uno strato peloso (la parte fibrosa chiamata mesocarpo) che avvolge il guscio della noce (la parte legnosa detta endocarpo). Al suo interno c’è la polpa che a sua volta contiene una componente liquida: l’acqua di cocco.
Una volta aperta, dalla noce si raccoglie:
Riguardo all’estrazione dell’olio, esistono vari metodi ognuno dei quali con un suo livello di qualità. Qui alcune info sull’olio di cocco ottenuto meccanicamente.
C’è la spremitura a freddo, quest’olio si estrae pressando la polpa – tra i 40 °C e 49 °C max – in due modi: metodo “secco” o “umido”.
Ne risulta un delizioso grasso – dalle tonalità bianco-perla al paglierino – che si solidifica naturalmente, anche a temperatura ambiente (fino a 24 °C). La resa della spremitura a freddo è relativamente bassa – si ottiene meno olio per intenderci. Per le sue qualità (è più genuino) si posiziona tra i più costosi.
C’è anche il metodo a espulsione : l’olio pressato a espulsione meccanica è esposto a un certo calore derivato dall’attrito e/o vapore, e dalla pressione applicata alla polpa di cocco durante il processo di estrazione. Questo tipo di spremitura è più efficiente (in termini di resa) di quella a freddo, perché si estrae più olio.
A questo punto, osservando il nostro olio di cocco da un punto di vista qualità/impiego, la questione è: meglio raffinato o non?
Ecco alcune considerazioni importanti a proposito di quale tipo usare e per cosa.
L’olio di cocco non raffinato è la versione più genuina. È quello spremuto a freddo che non subisce ulteriori fasi di lavorazione, a parte il confezionamento. Comprate quello conservato in vetro, mi raccomando. Vediamo le sue caratteristiche:
In tutti i casi, meglio consumarlo a crudo e prodotto da colture biologiche.
L’olio di cocco raffinato è un grasso dal quale sono state rimosse impurità ed è spesso deodorato. Generalmente ottenuto dalla spremitura della copra (la polpa di cocco essiccata e più ricca di grassi), l’olio risultante può essere:
Promemoria:
Riguardo ai valori nutrizionali, la polpa di cocco è un alimento molto interessante, con un 33% di grassi, 15 di carboidrati e circa 3 di proteine. Il resto è composto da acqua, fibre (della polpa), e micronutrienti come manganese, rame, ferro, fosforo, selenio e zinco. Sarebbe quindi meglio consumare la polpa che l’olio. Ma questo vale per tutti i frutti e semi oleosi.
Dalle etichette presenti sulle confezioni si evince che è un grasso (ça va sans dire), composto per buona parte da grassi saturi vegetali – la componente che determina la consistenza solida a temperatura ambiente (24 °C max) – ma anche da monoinsaturi e polinsaturi. Spesso e volentieri non è menzionato altro.
Anche se sulle etichette si parla di 100g, pare che la dose giornaliera sia intorno ai due cucchiai, immagino quindi che lo si possa utilizzare, magari con moderazione: è comunque un grasso.
In tutti i casi, per maggiori dettagli sugli aspetti nutrizionali, meglio consultare gli esperti, le informazioni presenti online sono spesso contrastanti.
È proprio un ingrediente versatile, tanto da essere utilizzato in una gran varietà di ricette: dalle ciambelle, alle torte o focaccine, è l’ingrediente segreto in tante ricette dolci. Così come per tante salate.
Grazie al suo alto punto di fumo l’olio di cocco è adatto a preparazioni al forno (conferendo ai vari prodotti quel non so che di nocciolato e una consistenza leggermente più masticona), e può anche essere utilizzato anche per friggere, rosolare e arrostire: perfetto per patate fritte super croccanti, vari tipi di curry o verdure saltate. E, grazie al fatto che si scioglie rapidamente in bocca, risulta meno grasso-untuoso rispetto al burro.
È un buon sostituto del burro (appunto). Per torte, muffin, pane e crostate, generalmente il rapporto è di 1:1 tra olio di cocco e burro. Per una crosta friabile, assicuratevi di usare l’olio solido (a temperatura ambiente, ma non oltre i 24 C).
Per ricette dov’è previsto di montare a crema uova, burro e zucchero, potrebbe essere necessario aggiungere un tuorlo d’uovo in più per emulsionare al meglio.
Per quanto riguarda il sapore, se fosse necessario non sentire il classico aroma di cocco, basta usare l’olio raffinato e deodorato. In pasticceria è molto comune.
Una volta aperto, l’olio di cocco si conserva in un contenitore a chiusura ermetica, in un luogo fresco e al buio. Evitate di lasciarlo alla luce o vicino a fonti di calore, potrebbe andare di rancido. In caso di clima caldo, meglio tenerlo in frigorifero.
Si legge spesso che aggiungere dell’olio di cocco a frullati, caffè o tè possa stimolare il metabolismo. Non so dirvi se sia vero, io l’ho provato e ho trovato l’abbinamento molto interessante, tanto da farne un cocktail (analcolico) soprannominato coco-caffè.
Ecco la ricetta facile facile, va da sé che vi debba piacere il cocco:
In uno shaker (o bicchiere capiente), mettere:
Quindi lo si shakera (o si mescola energicamente con una forchetta), e si gusta, meglio se ancora spumoso. Nella versione estiva si aggiunge del ghiaccio.
Si potrebbe anche “correggere” con qualche goccia spiritosa, ma questa è un’altra storia.
A questo punto non mi resta che ringraziarvi per aver letto l’articolo, se siete arrivati sin qui immagino sia stato di vostro gradimento.
Continuate a seguirci e curiosate pure tra le varie categorie del sito, c’è un mondo di informazioni e storie che aspettano solo di essere lette.
Nel frattempo, la mia esplorazione nel vasto mondo degli oli vegetali continua e intanto vado a farmi un buon coco-caffè. A presto!
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