La quaresima e il digiuno delle Sante Anoressiche

Si è conclusa la Quaresima, il lungo periodo durante il quale, per accogliere meglio il messaggio di rinnovo e di rinascita, ci si astiene dal cibo e, in taluni casi, dal “piacere della carne”.
Le quaresime di bimba cattolica mi rimandano alle raccomandazioni della bisnonna Virginia, in cui quasi ossessivo era il richiamo all’osservanza dei precetti cristiani: mi veniva raccomandato non solo di non mangiare la carne (per quanto il mio aspetto fisico effettivamente emaciato suggerisse tutt’altro) ma anche di rinunciare volontariamente a qualcosa di particolarmente gradito, di goloso. Sarei diventata così “più forte nel resistere a tutte le tentazioni”, della cui natura, ovviamente, non ero ancora a conoscenza.
Il digiuno non è una pratica esclusivamente cristiana ma è in questa religione monoteista, così fortemente misogina (ma non certamente nelle scritture), che assume un connotato tutto particolare, direi rivoluzionario: il controllo del proprio corpo, vilipeso ed oggetto di scandalo, attraverso una forma di digiuno estrema, l’anoressia che, fin dal Medioevo, ha dato luogo ad un fenomeno molto particolare ovvero quello delle Sante Anoressiche.
 
In tutte le religioni, a partire dai riti pagani e contadini pre-cristiani fino al volontario allontanamento dei maschi della tribù degli Xerentes per un intero ciclo lunare, l’arrivo della Primavera coincideva con la purificazione dell’organismo attraverso un arco di tempo in cui ci si dedicava alla meditazione ed alla preghiera (in quanto la forzata mancanza di cibo non avrebbe consentito di svolgere le normali attività quotidiane); Gesù di presentò al mondo dopo quaranta giorni trascorsi nel deserto, Buddha e Maometto vennero illuminati dopo un periodo di digiuno e le pulizie di primavera non solo altro che la traslazione dell’eliminazione di ogni forma di farina e lieviti dalle dispense, che avviene all’interno delle comunità ebraiche. Un periodo di tempo ben definito, per ricaricare corpo e anima e poi si ritorna alla vita normale, scandita da altri riti e dal trascorrere delle stagioni.
 
 
Ma per le sante anoressiche il digiuno non aveva mai fine perché era solo attraverso di esso che l’opposizione iniziale da parte delle famiglie, della comunità e dei padri confessori diveniva stupore e rispetto. Nel Medioevo le rinunce e le torture al proprio corpo non venivano considerate come pratiche irrispettose verso quanto donato dal Creatore ma come una modalità quasi esclusiva di accesso al divino. 
Nella Genesi l’uomo viene forgiato da Dio mentre la donna era la semplice derivazione sviluppata da una costola e le sue forme tondeggianti e così diverse da quelle maschili si pensava fossero autoprodotte. E se non le aveva prodotte Dio non potevano che essere farina del competitor più conosciuto, l’Angelo decaduto. E quindi esecrabili, da temere, da condannare.
 
L’unico modo di riappropriarsi della propria volontà e autodeterminazione non poteva che avvenire attraverso il controllo del proprio corpo: un controllo ferreo, assoluto. La privazione del cibo comportava anche l’assenza delle mestruazioni ovvero quel sangue “magico”, temuto e per questo considerato impuro (Levitico) che comunque indicava fertilità e l’atto di potenza più incredibile, quello di generare la vita. Il corpo diveniva così invisibile, non più fonte di tentazione e degno di unirsi solo con Gesù, lo sposo divino.

Anche la Chiesa annovera in uomini dei santi che hanno fatto della privazione del cibo e della manifestazione delle stigmate il simbolo di un’unione totale con il divino, moltissime furono le sante anoressiche e, durante tutto il Medioevo fino all’inizio del Rinascimento, si presume che metà delle donne che divennero sante manifestarono forme estreme di anoressia. E solo il corpo di alcune di esse venne mummificato e esposto in teche, ad esempio di tutta la comunità. Le immagini che le hanno descitte nel tempo, create da pittori e sculturi, rimandano donne quasi completamente velate e coperte, con in mano un fiore o un ramoscello di ulivo (che Santa Teresa utilizzava per indurre il vomito e accogliere l’ostia in un momento di intima unione con Gesù) e un libro, ad indicare la totale dedizione alle Sacre Scritture, mentre l’espressione è di estasi, quasi di piacere, con lo sguardo a fissare il Divino che solo loro, e grazie agli immani sacrifici, erano in grado di vedere.
 
 
Le sante più famose sono sicuramente Santa Caterina da Siena, che con San Francesco scelse la via della donazione totale e dell’ascesi, e Santa Teresa d’Avila, nobildonna spagnola che divenne anche Dottore della Chiesa e che aiutò a riformarla in un perido storico di grande tensione, creando l’Ordine della Carmelitane Scalze.
 
La privazione del cibo come esperienza mistica e quindi come mezzo silenzioso per urlare il desiderio di affermare la propria volontà in un mondo che, da questo punto di vista, continua a restare ostinatamente sordo.
 
Anna Maria Pellegrino, www.lacucinadiqb.com
 

5 commenti

  1. Questa riflessione è non solo ben fatta e rispettosa, ma anche toccante. Oggi giorno non si parla più di casi di mistica ma di DCA, disturbi del comportamento alimentare che conducono alla distruzione del proprio corpo non per accogliere un nutrimento spirituale ma per esprimere un disagio profondo che non trova altro modo di essere comunicato. (Resta il fatto che Teresa d’Avila ,nonostante i digiuni ,è stata una grande viaggiatrice e fondatrice di dozzine di monasteri, una riformatrice, una donna di grande temperamento. Una vita affascinante. Farebbe rabbrividire molte donne moderne 😉

  2. Senza dubbio toccante, fa riflettere sulla storia dei nostri popoli, su come si viveva, su come si affrontava la privazione del cibo per dimostrare la propria volontà. Un editoriale 10 e lode. Buona Pasqua, Eolo

  3. Un argomento di cui si parla ancora troppo poco: il rapporto cibo-corpo. Rintracciarne le espressioni nel corso della storia ci permette di comprendere molto anche rispetto a ciò che accade oggi. Se pensiamo che spesso le anoressiche si identificano e rifugiano in gruppi segreti, vere e proprie sette, in cui si venera la dea Ana (dell’anoressia), ecco che torna il senso di continuità tra privazione del cibo e appartenenza “religiosa”.
    Bellissimo articolo.

    1. Benvenuta Giovanna e grazie per le tue parole: Ci sarebbe davvero molto da dire su quanto la nostra mente, e il nostro passato storico, sono in grado di modificare, anche in maniera drammatica, il nostro presente.

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