Favole da mangiare la storia di Giacomino e il fagiolo magico

Favole da mangiare - Giacomino e il fagiolo magico

La fiaba Jack and the Beanstalk– tradotta in italiano in Giacomino e la pianta di fagioli o Giacomino e il fagiolo magico – è una delle più vecchie al mondo. Il primo manoscritto è datato al 1807, ma sappiamo che veniva raccontata a voce già prima.

È una fiaba dalla trama semplice, che racconta di un mamma e di un bambino: povera gente che sopravvive solo grazie a un mucca. Quando quest’ultima comincia ad invecchiare, la mamma manda Giacomino al mercato, sperando di venderla. Ma lungo la via Giacomino incontra un uomo (un uomo speciale) che conosce il suo nome e lo convince a scambiare la sua mucca con cinque fagioli magici. Il ragazzino torna a casa soddisfatto, solo per scoprire che sua madre non lo è affatto. La povera donna si infuria e si dispera, afferra i fagioli dalle mani di Giacomino, li butta fuori della finestra e spedisce il figlio a letto senza cena.

La mattina seguente, appena sveglio, Giacomino vede una grande, grandissima pianta fuori dalla sua finestra. Allora è vero: i fagioli sono magici! Il bambino si arrampica svelto su per la pianta e arriva fino alle nuvole. Lassù in cielo c’è una strada che conduce a una casa. Vi abitano un grande orco e sua moglie. La signora orchessa ama i bambini, il marito invece se li mangia, e così Giacomino – dopo aver fatto una lauta colazione – finisce nascosto nel forno spento per nascondersi dal gigante che torna a casa e mangia per pranzo tre vitelli arrosto. Poi si addormenta: russa così forte da far tremare la casa. Ma Giacomino esce silenziosamente dal suo nascondiglio, ruba all’orco e a sua moglie un sacchetto di monete d’oro e scappa a casa, scendendo veloce giù per la pianta di fagioli. Risalirà altre due volte, sempre a rubare qualcosa di prezioso. Per impedire all’orco di inseguirlo, alla fine della storia, Giacomino taglierà la pianta di fagiolo alla radice. Lui e la mamma vivranno per sempre felici e contenti.

Origini della favola

Jack and the Beanstalk è una fiaba antica. Le prime tracce scritte sono dell’inizio dell’Ottocento da uno scrittore inglese, Benjamin Tabart, nel suo libro del 1807 The History of Jack and the Bean-Stalk. Ma già ne Il Barone di Munchhausen (1786), R.E. Raspe scrive di un fagiolo magico che, cresciuto a una velocità vertiginosa, sarebbe arrivato ad arrampicarsi fino ad uno dei corni della luna. La fiaba deve però la sua diffusione alla raccolta English Folk & Fairy Tales di Joseph Jacobs, pubblicata nel 1860. Le versioni della storia sono moltissime. Dai primi del Novecento in poi si conoscono molte altre stesure, trasposizioni cinematografiche e storie a fumetti ispirate a questa celeberrima fiaba, fino ad arrivare ad una versione di Walt Disney, un lungometraggio che sarebbe dovuto uscire nel 2019 ma è stato invece cancellato: Gigantic. Già nel 1947, tuttavia, la Disney aveva prodotto un cortometraggio con protagonisti Topolino, Paperino e Pippo: Topolino e il fagiolo magico, appunto.
Insomma, questa fiaba conosciutissima ha certamente accompagnato l’infanzia di molte generazioni di bambini.

Il valore e il significato del cibo nella favola

Come tutte le fiabe, Giacomino e il fagiolo magico, ha i suoi personaggi e i suoi archetipi. Però è soggetta a diverse interpretazioni. Possiamo infatti guardare a Giacomino come ad un eroe, un bambino coraggioso e senza paura alla ricerca della sua strada; oppure possiamo vederlo come un antieroe, un ladro, un bambino povero, privato dell’infanzia e costretto a correre terribili rischi per sopravvivere.

Come in tutte le fiabe, il cibo ha un posto d’onore: i fagioli infatti fanno la loro comparsa direttamente nel titolo. La storia si svolge su due piani (quello della casa di Giacomino e di sua madre, alle radici del fagiolo, e quello della casa dell’orco, alla sua sommità). Potremmo credere che sia Giacomino, il quale sale e scende dal fagiolo magico, a tenere insieme i piani della storia. Io però penso che non sia vero.

Penso che la protagonista sia la fame e che i due piani che osserviamo rappresentino, in un certo modo, i ricchi e i poveri di tutti i tempi e di tutte le storie. Il fil rouge che li unisce è proprio il cibo. Mentre Giacomino e la mamma vivono di niente, e sopravvivono solo grazie ad una mucca magra e vecchierella, il gigante del piano di sopra non è mai sazio. E non solo perché è grande; non è mai sazio perché è ingordo, tant’è vero che la fiaba racconta non di uno, ma di tre vitelli arrostiti per pranzo. Inoltre, a differenza di Giacomino e della mamma, che sono poverissimi, il gigante al piano di sopra è molto ricco. A casa sua ci sono sacchi di monete d’oro, una gallina dalle uova d’oro e persino un’arpa magica, anch’essa d’oro. Per cui Giacomino – astuto e senza paura – ruba, ruba senza scrupoli e a più non posso. Ruba per togliersi la fame.

La favola in chiave moderna

Ma se le cose non fossero andate così? Se noi, grandi e bambini, provassimo a inventare una nuova storia, basata su quello che sappiamo oggi e che invece, nel 1807 e prima ancora, senza aver mai letto un libro, Giacomino e sua madre non potevano sapere?

Noi sappiamo per esempio che ai bambini occorre dare fiducia, e potremmo credere che Giacomino non dicesse una bugia nell’affermare che i cinque fagioli fossero magici. Sappiamo anche molto sui fagioli: che sono fonte di proteine alternative alla carne, che sono ricchi di vitamine e che si cucinano in tutto il mondo e in molte maniere diverse. Noi, oggi, amiamo così tanto i fagioli e gli altri legumi da dedicare loro una giornata mondiale: il 10 febbraio di ogni anno.
Ricordiamoci che molte donne sono dotate di senso pratico, sono capaci di formidabili alleanze e che, talvolta, restano amiche per sempre. Dunque partiamo da questo punto della storia e continuiamo la nostra narrazione.

“Giacomino tornò a casa contento coi suoi cinque fagioli magici stretti in pugno. Certo non posso dire che la mamma fosse contenta. Suo figlio aveva barattato una mucca contro cinque fagioli! Ma Giacomino la convinse presto che aveva fatto un buon affare.
«Quell’uomo, per strada, era davvero un bel tipo», disse alla mamma. «Conosceva il mio nome e mi ha fatto promettere che avrei piantato i fagioli magici.»
«E va bene!», pensò la mamma. «Tanto disperarsi non serve. Questo ho: cinque fagioli magici. E con questo devo fare.»
Così decise di piantare solo un fagiolo e di conservare gli altri quattro. Scavò un piccolo buco nell’orto e nascose il fagiolo sotto terra. Poi mamma e bambino andarono a dormire.
La mamma non poteva certo immaginare che, il mattino seguente, avrebbe trovato una pianta di fagioli enorme, così alta da arrivare alle nuvole.
«Giacomino, sali tu – disse la mamma – io soffro di vertigini, e tu sei più leggero». Giacomino non se lo fece ripetere due volte e, in men che non si dica, si arrampicò sulle nuvole.

Ora, io so per certo che la mamma non poteva immaginare che lassù ci fossero giganti carnivori e orchesse, quindi aspettò tranquilla che il bambino tornasse. Giacomino tornò la sera un po’ scosso. Puzzava di gigante e teneva stretta una borsa di monete d’oro.
«Dove hai preso quella borsa? Non avrai mica rubato!»
Giacomino raccontò la sua storia tutta d’un fiato, quindi concluse: «Mamma, guarda, questi giganti non son capaci di cucinare. Non sanno fare altro che carne alla griglia. Il gigante poi mangia malissimo, secondo me con tutta quella carne rischia la gotta. Domani devi venire anche tu».
La mamma non era affatto dell’idea, ma non poteva permettere che suo figlio rubasse, e non voleva certo mandarlo da solo a restituire l’oro. Giacomino le aveva raccontato infatti che – ucci ucci sento odor di cristianucci – il gigante non mangiava solo vitello alla griglia, ma anche bambini.
Il giorno seguente, di buon’ora, mamma e bambino risalirono la pianta di fagioli.
«Non guardare in basso, mammina! Tieni alto lo sguardo e non aver paura, che ti ho legato a me con una corda!»
La mamma pensava che fossero belle parole, ma era contenta: la palestra di roccia che aveva faticosamente pagato ogni mese ora dava i suoi frutti, e Giacomino si arrampicava come un capriolo. Fu così che arrivarono alla casa dei giganti.
«Piacere, mi chiamo Marisa», disse l’orchessa. «Mio marito è fuori. Posso offrirvi una fetta di pane e formaggio?». Le due donne si misero presto a chiacchierare e Marisa raccontò alla mamma che i bambini le piacevano tanto ma, purtroppo, non poteva averne. Il marito infatti era sì un brav’uomo (gigante, in verità), ma mangiava i bambini, dei quali sentiva il profumo lontano un miglio. Un bel problema, pensava la mamma, ma improvvisamente le venne un’idea.

«Signora Marisa – mi scusi – ma lei ha mai sentito parlare di frutta e verdura? Si piantano i semi e crescono presto, fanno bene alla salute e sono buone. Potrei insegnarle qualche ricetta gustosa, così forse suo marito smetterebbe di mangiare solo carne. Ho giusto qualche fagiolo in tasca.»
L’orchessa Marisa aprì un grande cassetto e tirò fuori un sacchetto. «In effetti – disse – giorni fa è passato un viandante e mi ha lasciato questo sacchetto di semenza… Conosceva il mio nome e sapeva anche che Giacomino sarebbe arrivato presto.»
«Lo sa – aggiunse la mamma – che le uova di gallina sono ottime da mangiare?»
«Impossibile!», rispose l’orchessa. «La mia gallina fa solo uova d’oro, e non so più cosa farne.»
«Hmmm…Dica un po’: non sarà mica la paura a farle fare le uova d’oro?»
«Potrebbe essere, in effetti. Quando mio marito dorme, russa forte, e fa tremare la casa e il pollaio.»

Non mi dilungo oltre, perché la fine della storia ormai è evidente, ed ognuno potrà inventare il suo personalissimo finale.
Aggiungo però un ultimo dettaglio: all’orco piacque soprattutto una delle ricette che la mamma di Giacomino insegnò alla signora Marisa. La ribollita. Proprio lei: quella zuppa saporita di cavoli e fagioli che fanno in Toscana e di cui racconto anche nel mio blog. Lo lasciava davvero soddisfatto e senza acidità di stomaco; il pane senza sale non gli alzava la pressione e adorava ancor più mangiarla il giorno seguente, dopo che era stata messa a bollire ancora una volta. Così il gigante decise di inviare la ricetta di questa zuppa contadina ad un suo caro amico, un tale che aveva in animo di scrivere un libro di cucina: un certo Pellegrino Artusi

La ricetta della ribollita: zuppa contadina di Pellegrino Artusi

Ribollita zuppa di Pellegrino Artusi

La ribollita di Pellegrino Artusi credit Silvia Tavella

 

Ingredienti della ribollita 

500 g fagioli bianchi (cannellini) (secchi)
300 g cavolo nero
300 g cavolo cappuccio (o verza, o se siete fortunati, entrambe le varietà)
300 g bietole (piccole)
2 carote
1 cipolla
1 gambo sedano
2 patate (grandi)
50 g concentrato di pomodoro (o pomodoro fresco)
300 g pane toscano (a fette. Anche secco)
2 l acqua (o più)
mezzo bicchiere olio extravergine d’oliva (saporito)
sale
pepe nero
2 foglie alloro
1 ciuffo rosmarino (solo aghi ben tritati)
1 spicchio aglio (senz’anima)

Preparazione

Cominciamo mettendo in acqua i fagioli, che dovranno stare a bagno almeno sei ore. Che ci crediate o no, è poco: i cannellini infatti sono fagioli di piccole dimensioni. Sarebbe meglio, tuttavia, prevedere un ammollo più lungo, cambiare l’acqua almeno una volta e aggiungere un cucchiaino di bicarbonato.

Prepariamo un soffritto a base di carota, cipolla e sedano. Conserviamo però una carota intera, che aggiungeremo a tocchetti per regalare colore alla ribollita.

Sciacquiamo i fagioli e mettiamoli a cuocere in una grande pentola, coperti d’acqua e senza sale. Devono bollire a fuoco lento per circa un’ora. Riprendiamo il soffritto e poniamolo in una grande casseruola con le foglie di cavolo lavate, pulite e tagliate fini. Quindi aggiungiamo le bietole (sempre tagliate fini), le patate a tocchetti e la carota a rondelle. Bagniamo con un mestolo d’acqua di cottura dei fagioli, e completiamo con il concentrato di pomodoro e le foglie d’alloro.

Quando i fagioli saranno giunti a cottura, spegniamo il fuoco. Raccogliamo una metà dei legumi con una schiumarola e schiacciamoli con il passaverdura direttamente sulle verdure. L’altra metà invece resterà intera. Se l’acqua dei fagioli non è troppa (non dovrebbe) versiamo tutto nella stessa pentola in cui hanno cotto i legumi. Altrimenti togliamo qualche mestolo d’acqua, che però non butteremo via.

Continuiamo la cottura per circa un’ora, in modo che i sapori si possano amalgamare. Prima di spegnere il fuoco aggiustiamo il sale e il pepe. Quindi lasciamo riposare la minestra.

Tagliamo qualche fetta di pane senza sale e passiamolo in forno o in padella, in modo da abbrustolirlo. Se usiamo pane vecchio, questo passaggio è inutile. Quindi sfreghiamo il pane con uno spicchio d’aglio, e mettiamo le fette di pane in un tegame unto che possa andare in forno. A questo punto copriamo di zuppa, inforniamo e lasciamo cuocere (ribollire) per almeno venti minuti a 180°.

Nel frattempo tritiamo finemente il rosmarino, che aggiungeremo generosamente in superficie insieme ad un giro d’olio buono, prima di servire in tavola.

Se cerchi la ricetta originale di Artusi, la troverai al numero 58, con l’aggiunta di cotiche e cotenne. Chissà chi gliel’avrà suggerito: io non le aggiungo mai!

 

 

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