Rane e lumache

Giornata Nazionale di rane e lumache

La storia di rane e lumache viaggia su binari paralleli: entrambe erano da sempre catturate in natura e nei secoli sono state l’unica fonte di proteine per larghi strati della popolazione.

Le lumache

Le lumache erano tenute in grande considerazione sia dai Greci che dai Romani – abili allevatori – che le nutrivano con mollica e sapa e foglie di alloro, considerandole un cibo di lusso. Nonostante ciò, si potevano trovare anche nelle osterie frequentate dai ceti popolari, dove se ne servivano per aumentare le vendite di vino perché, raccontano le cronache dell’epoca, chi mangiava molte lumache beveva anche molto vino.

Narra Plinio che, a seguito della numerosa richiesta di lumache, un certo Fulvio Lippino nella sua proprietà di Tarquinia creò dei vivai destinati ad allevare lumache di differenti razze: in questo modo poteva tener separate le bianche “che nascono nella campagna di Rieti”, le illiriche “caratterizzate da una grandezza straordinaria”, le africane “molto feconde” e le non meglio identificate soletane, “ricche di molta fama”.

L’idea fu ben presto adottata e copiata e per poterne disporre a piacimento si allevavano le lumache in recinti vicino a casa, chiamati “cocleari“.

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Un suggerimento intrigante su come cucinarle arriva da Apicio, grande cuoco dell’Impero che, nel celebre “De Re coquinaria”, consigliava di tagliare l’opercolo (il guscio della lumaca) per farle risvegliare e di nutrirle per un solo giorno di latte e sale, continuando successivamente con il solo latte e pulendole dagli escrementi ogni ora: quando fossero ingrassate al punto da non poter essere più contenute nel guscio, era il momento di friggerle e di condirle con il garum (una salsa liquida di interiora di pesce e pesce salato) mescolato al vino.

Chiusa la parentesi romana, l’utilizzo delle lumache in quanto cibo godereccio e prelibato inizia piano piano a scemare, pur restando sempre nelle abitudini alimentari fra le popolazioni rurali e montane, le quali non hanno mai smesso di raccoglierle nei campi dopo i primi acquazzoni primaverili o autunnali elaborando in ogni regione ricette spesso uniche.
Negli ultimi decenni la riscoperta dei cibi della tradizione ha rilanciato anche il consumo delle lumache e i tabù gastronomici ad esse correlati si sono affievoliti, tanto che, con la nascita dell’elicoltura moderna – l’allevamento a ciclo biologico completo per sopperire, attraverso una produzione gestita e controllata, la diminuzione e la mancanza del prodotto – c’è stata una crescita costante dei consumi: si è passati da un volume di 20.000 tonnellate di vendita (nel 1980), ad una stima di 320.000 tonnellate nell’anno 2000.

I modi per cucinare le lumache sono svariati: con la salsiccia, con i funghi porcini, alla milanese con le acciughe salate, il burro, un cucchiaio di farina e la noce moscata; persino con il latte, panna, burro, Parmigiano e noce moscata; in umido con i carciofi, con le patate e i porri e con altri ortaggi.
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Una nota comune, però, in quasi ogni regione è la ricetta delle lumache in umido, ricette simili ma diverse da famiglia a famiglia. Avendo le lumache una consistenza particolare e il gusto deciso e marcato della terra, sono quasi per regola cucinate con l’aggiunta di qualche sapore forte come il peperoncino e la cipolla, al sugo, con l’alloro o altre erbe aromatiche.
E questo è il bello della diversità della cucina italiana: spesso le differenze, infatti, non sono riconducibili ad un determinato luogo, ma alle persone che abitano i luoghi.

Le rane

La rana è un anfibio anuro presente in Italia in molte varietà e la più comune è la Rana esculenta.
Durante tutto il Medioevo le rane erano associate al mondo della stregoneria, ma questo non era certo un motivo sufficiente per non diventare, nei secoli, una preziosa risorsa alimentare per il mondo contadino e per chi per chi non poteva affrontare il costo della carne.
Con leggi scritte, nei secoli passati, i Signori consentivano ai propri mezzadri di catturare le rane negli stagni e nelle terre circostanti per sfamare le loro famiglie. A quell’epoca i campi e i canali erano popolati da tantissime rane che molto spesso, per la povera gente, erano l’unica fonte di proteine di origini animali. Oggi le rane sono spesso un piatto di nicchia, raro e a volte molto costoso.

I piatti a base di rane sono tipici delle zone in cui ci sono le risaie. La cucina piemontese, ad esempio, è ricca di piatti a base di questo piccolo anfibio, soprattutto nelle zone intorno a Novara e Vercelli in cui abbondano le coltivazioni di riso.
Anche le zone di Verona e Ferrara non sono da meno: basta pensare alle numerose sagre in cui vengono proposte prelibatezze a base di rane che soddisfano anche i palati più raffinati.

La presenza delle rane nelle risaie è sempre stata incentivata, essendo questi animaletti degli “insetticidi” naturali. Avevano una doppia funzione: durante il periodo di crescita e raccolta del riso proteggevano le piantagioni dagli insetti nocivi, e quando le risaie venivano svuotate erano pronti per finire nelle padelle dei contadini.

Ai giorni nostri, con l’avvento di nuove tecnologie e soprattutto con l’utilizzo di pesticidi in modo massiccio, le piccole rane sono andate via via scomparendo. In primis a causa della scomparsa della maggioranza degli insetti, poi per la ragione che, avendo la pelle molto sottile, sono delicatissime: i pesticidi passano attraverso i pori della cute rendendole non solo non adatte al consumo, ma addirittura uccidendole.

Oggi la maggior parte della carne di rana consumata in Italia proviene dai paesi balcanici, soprattutto dalla Romania, dall’ex Jugoslavia e dalla Turchia, dove la rana rappresenta ancora una buona fonte di reddito.
Il commercio delle carni di rana è regolamentato da normative CEE e prevede che le carni possano essere vendute dopo aver privato l’animale delle interiora. Sui banchi delle pescherie arrivano animali pelati e puliti, normalmente congelati. La parte che il consumatore italiano predilige è quella delle cosce.

Dal punto di vista nutrizionale la carne di rana non ha controindicazioni: le sue carni sono tenere, delicate, praticamente prive di grasso, ricche di ferro e con proteine altamente digeribili.

Le rane sono le protagoniste di numerose ricette tradizionali. La più famosa direi che sia il risotto piemontese alle rane, ma le possiamo trovare dorate e fritte, in guazzetto, cotte con aromi e spezie per accompagnare paste all’uovo fatte in casa.
A Ferrara, addirittura, esistono tortelli e tortellini che hanno come ripieno il gustoso anfibio.

Siccome quella odierna è una giornata speciale, in cui si celebrano due alimenti che accompagnano i pasti degli italiani da molti secoli, vi lasciamo due ricette tradizionali delle nostre famiglie: lontane dal punto di vista geografico, ma accomunate dalla passione e dall’amore con cui tutti i giorni preparano il cibo per i propri cari.

Lumache alla calabrese

Ingredienti per 4 persone:
1 kg circa di lumache vive
1 kg di pelati o passata di pomodoro
1 cipolla
Olio extravergine d’oliva
Aglio
Origano secco
1 peperoncino
Sale q.b.
Preparazione

Innanzitutto le lumache vanno spurgate (o, in alternativa, compratele già spurgate): mettetele vive in un cesto col coperchio, con insalata e mollica di pane bagnata o crusca e lasciatevele due giorni.
Sciacquatele quindi in acqua e sale e ripetete l’operazione varie volte, finché non faranno più schiuma.
Fate bollire una grossa pentola con l’acqua e appena inizierà il bollore buttateci dentro le lumache, facendole sbollentare per circa 20/25 minuti. Scolatele, sciacquatele sotto acqua fredda e lasciatele da parte.

Mettete in una grossa pentola l’olio, l’aglio, la cipolla e il peperoncino e fate rosolare bene.
Versate la passata di pomodoro (o i pelati se preferite), salate il necessario, unite l’origano essiccato, portate a bollore e lasciate insaporire una decina di minuti prima di aggiungere le lumache.
Fate cuocere almeno per un paio d’ore, eventualmente aggiungendo dell’acqua calda se il sugo si ritira troppo. Più cuoceranno e più saranno saporite!

Rane fritte

Ingredienti per 4 persone:
1 kg di rane (solo la parte inferiore)
100 g di burro
2 cucchiai di farina
3 cucchiai di olio extravergine di oliva
Prezzemolo q.b.
Limone a spicchi
Sale e pepe q.b.
Preparazione

Disossate le coscette, lavatele e asciugatele accuratamente.
Salate e pepate e infarinate, togliendo l’eccesso di farina.
Versate in una padella l’olio e il burro e cuocete le rane fino a quando saranno dorate e croccanti.
Mano a mano che sono pronte, mettete le coscette su un foglio di carta assorbente.
Regolate di sale e servite subito cospargendo le rane con il prezzemolo tritato e il limone tagliato a spicchi.

Fonti:

http://www.alimentipedia.it/carne-di-rana.html
http://www.istitutodielicicoltura.com/
http://www.earmi.it/ricette/lumache.htm#lor
http://www.taccuinistorici.it/ita/news/antica/salumi-carni/Storia-lumache-in-tavola.html
http://italiasquisita.net/it/posts/dallallevamento-a-come-cucinarle-le-lumache
http://www.accademiaitalianacucina.it/it/content/storia-della-lumaca
http://www.micelisnail.com/lumache-in-umido-nelle-varie-regioni/
Risorse naturali dell’Appennino: La lumaca –  di Graziella Picchi

Partecipano come contributors:
Betulla Costantini, Lumache al Barbera
Daniela Ceravolo, Lumache al sugo: tra ricordi d’infanzia e sapori calabresi
Sara Grissino, Lumache in Umido

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