L’etica che non c’è

Ovvero, dell’abusata usanza di farsi delle domande e darsi delle risposte.

E’ quasi quotidiano il susseguirsi di interventi che propongono o, meglio, ripropongono all’attenzione dei, forse non tantissimi, lettori interessati più al costume (e al malcostume) che alla sostanza delle cose, alcuni dei temi quali la professionalità, l’etica, l’indipendenza (quantomeno di giudizio) dell’attività dei food blogger.
Quasi che questi temi riguardassero solo i food blogger e non anche, per molti versi e probabilmente in misura anche maggiore, il mondo del giornalismo enogastronomico e non, sia che si tratti dei grandi media che del giornalismo cosiddetto “minore”, spesso al confine e di confine tra carta stampata, media tradizionali e web.
Proprio la creazione dell’AIFB sembra aver costituito il pretesto, o l’elemento scatenante se preferite, di una sorta di crociata a senso unico, che sembra avere lo scopo di screditare sul nascere questa iniziativa, sollevando perplessità e dubbi apparentemente innocui, sino a sostenere, come recentemente ci è capitato di leggere, che vi sarebbe una sostanziale incoerenza tra l’asserzione della natura di associazione non a scopo di lucro dell’AIFB e la possibilità che i e le food blogger che vi si riconoscono, traggano da tale loro attività un qualche guadagno (sarebbe, con il dovuto rispetto e scusandoci per l’accostamento forse un pò ardito, ma è giusto un esempio, come se L’Associazione Italiana Pasticcieri si volesse attribuire una finalità lucrativa perché i professionisti che vi sono iscritti traggono un guadagno da quella che è, appunto, la loro professione).
Tante sono le domande che ci vengono poste. Proviamo allora a rispondere alle più significative
  • Costituire un’Associazione di Food blogger, quando le altre categorie discutono sull’opportunità di mantenere attive figure obsolete quali l’Albo o l’Ordine, non è un’operazione anacronistica?
No. O meglio: non più anacronistica di quanto non sarebbe acquistare per la prima volta un capo invernale, mentre i nostri amici discutono se valga ancora la pena di indossare o meno la pelliccia.
Si stanno confondendo due realtà del tutto diverse.
Associazione è altro da Albo o da Ordine: questi ultimi presuppongono infatti l’esistenza di una professione riconosciuta, dal che discendono varie regole che vincolano gli appartenenti a determinati comportamenti e non ad altri.
L’Associazione, invece, presuppone una categoria, non necessariamente professionale, ed ha di conseguenza una più ampia sfera di libertà nella regolamentazione. Considerato che l’accusa di anacronismo è riferita in buona sostanza ai vincoli a cui sono sottoposti gli iscritti agli Ordini professionali, questa non è una questione che riguarda le Associazioni e di conseguenza neppure l’AIFB.
  • Perché non avete un codice etico?
Perché siamo coerenti con quanto appena detto.
L’Associazione nasce “dal basso”, per un’iniziativa personale che ha coinvolto undici food blogger che da anni si confrontano su tematiche condivise e che si riconoscono in scopi e contenuti che sono gli stessi elencati tra le finalità dell’AIFB. E nasce per raccogliere sotto gli stessi obiettivi una categoria che si esprime attraverso il mezzo di comunicazione più libero che esista. Al comportarsi secondo un elenco di regole, cioè, preferiamo l’agire secondo i principi che discendono dagli scopi che intendiamo perseguire e dalle modalità con cui ci prefiggiamo di farlo: è una scelta che riteniamo più rispettosa della specificità della figura del food blogger, oltreché più in sintonia con il nostro sentire, che non è gerarchico, ma paritario. Ma non per questo abbiamo le idee confuse, anzi…
  • Dichiararsi Associazione senza fini di lucro e contemplare fra i soci food blogger che accettano di collaborare con aziende dietro compenso non è contraddittorio?
… a proposito di idee confuse: un conto è l’Associazione, un altro sono i soci.
In primis, l’Associazione è una persona giuridica, mentre i food blogger che vi aderiscono – e che non agiscono in nome e per conto dell’Associazione – sono persone fisiche. Di conseguenza, è l’Associazione in quanto persona giuridica ad essere senza fini di lucro, non i singoli soci che, nell’esercizio dei loro diritti personali, quando cioè non sono ufficialmente incaricati di rappresentare l’Associazione, hanno piena libertà di fare quello che vogliono, persino di esigere di essere pagati in cambio del loro lavoro.
  • Così facendo, non vi esponete al rischio di pubblicità occulta?
Fateci capire: se un giornalista scrive un articolo su un produttore presso il quale si reca spesato e pagato, fa informazione. Mentre se un food blogger scrive un post, magari sullo stesso produttore, presso il quale si reca magari a proprie spese e senza percepire alcun compenso per il proprio lavoro, fa pubblicità occulta?
E se lo fa invitato dallo stesso produttore che ha invitato il giornalista, si rende colpevole di un qualche comportamento censurabile, quasi che non fosse il fatto in sé a rilevare ma chi lo pone in essere, con, per lo stesso fatto, una condanna dell’uno, il food blogger, ed un’assoluzione preventiva dell’altro, il giornalista.
…e poi qualcuno si chiede se ci fosse davvero bisogno di fondarla, questa Associazione…
Che altro dire?
Basterebbe leggere lo Statuto che ci siamo dati per capire che non è il frutto dell’improvvisazione bensì il risultato di mesi di confronto e puntualizzazioni.
Il “chi siamo” e il “dove vogliamo andare” si evince proprio tra le righe di tutti gli articoli sottoscritti, ed ora abbiamo un motivo di ulteriore impegno e responsabilità che ci anima nella gestione ed organizzazione dell’Associazione (impegno che ognuno di noi apporta a titolo assolutamente gratuito, per quanto sia pleonastico sottolinearlo), ovvero la fiducia e l’entusiasmo di tutti coloro che hanno deciso di unirsi a noi in quella che crediamo essere l’inizio di una nuova cultura del cibo.
Anna Maria Pellegrino – Presidente AIFB

19 commenti

  1. Bellissimo articolo e risposte veramente azzeccate a cui farò sicuramente appello se mi vengono rivolte domande del genere! Grazie Anna Maria!

  2. Bell’articolo, interessante e pieno di spunti da usare quando si viene additati (troppo ultimamente) senza motivo. Mi piace soprattutto la questione del rapporto con gli Albi/Ordini, che odio in quanto mi coinvolge personalmente in quanto architetto.
    Non difendo a spada tratta il mondo di noi food blogger, le magagne ci sono ovunque, ma la continua ricerca di screditare, magari chi spesso lo fa davvero solo per passione, è alquanto triste.

  3. Probabilmente mi si dirà che sono di parte, ma “dal basso” e “di pancia” ho condiviso questo progetto, ho letto lo statuto e ho deciso di associarmi. Sono una foodblogger da anni, da prima che diventasse un fenomeno di costume, sono un granello di sabbia nel mare. Scrivo perchè mi piace scrivere, parlo di cucina, di una cucina casalinga, senza pretese, racconto la cronaca di una quotidianità fatta di famiglia e incontri intorno ad una tavola. La mia riflessione è una, da sempre l’unione fa la forza, unendo intenti, passioni, conoscenze, idee, non si fa male a nessuno, preferisco sinceramente che venga “associata” l’idea foodblogger=appassionato piuttosto che foodblogger=in cerca di profitto. Sfatiamolo questo mito, non esiste nessuno che campa facendo il foodblogger! Scrivendo “come si fa la frittata di patate” pensate veramente che ci si paghi l’affitto o la bolletta della luce?? Siamo seri via!
    Cosa da fastidio? Che abbiamo pensato di fare gruppo, di unire i granelli di sabbia e iniziare a spianare una bella spiaggia accogliente?
    Ale

  4. Un bellissimo articolo in cui mi rispecchio! Ogni punto che hai toccato meriterebbe un’approfondimento. Son certa che non mancheranno i momenti di scambio e di approfondimento soprattutto verso il ‘mondo là fuori’ che osserva tra lo spaventato ed il divertito il fenomeno bloggers. Un saluto a tutti/e, Simona

  5. A mio parere modesto, ci si accanisce contro i foodblogger perchè tacciati di ignoranza e presunzione: che senso ha avere uno spazio in rete dove pubblicare una comunissima frittata di patate. E come si permettono costoro a parlare di cibo, se fanno tutt’altro mestiere. E’ questo che spiazza molti criticoni dei food blogger, che siamo solo persone che amano il buon cibo, e ognuno, nel proprio spazio, è libero di intendere questa affermazione come vuole. Non c’è presunzione o ignoranza nel voler tenere un diario online dove annotare le proprie ricette, siano esse banali o ricercate, e se ci si ostina a non volerlo accettare, pazienza!

    1. Ma Benedetta Parodi ce l’ha un blog? No, perché visto che anche lei fa un altro mestiere e che invece viene pagata fior di quattrini per un programma che insegna a comprare tutto già bello e pronto, senza nemmeno stare attenti a quello che c’è dentro a queste cose belle e pronte, dovrebbe proprio averlo e non essere pagata affatto!!! 😉

  6. articolo e risposte perfette! Condivido tutte le risposte appena scritte. io credo che i “professionisti” ci critichino perchè hanno paura di perdere il loro scettro e gli altri….perchè c’è tanta gente che non ha altro modo di vivere se non criticando gli altri, solo per invidia. in fondo è lo specchio dei nostri tempi: chi ha iniziativa, si sforza a creare qualcosa di nuovo, o a salvaguardare l’immenso patrimonio che abbiamo, è sempre mal visto, disturba.

  7. Bellissimo articolo che dovrebbe mettere a tacere menti intelliggenti. Gli stolti che vorranno continuare a “dire male” lo faranno ancora; l’importante è aver messo i puntini sulle i.

  8. Parafrasando un vecchio detto, l’AIFB logora chi non ce l’ha: leggo solo molta invidia in queste polemiche senza costrutto.
    Grandissima Anna Maria per la puntualità, professionalità e ironia con cui hai risposto.

  9. Sarebbe importante poter leggere gli articoli in cui l’associazione viene criticata. Comunque generalmente la storia insegna che non si critica l’elemento che realmente costituisce il problema (lo scopo fi lucro, l’impreparazione dei blogger, e le altre cose citate). Il vero motivo per cui in genere si dà contro qualcosa deve restare non dichiarato. Io credo che sia proprio l’essersi uniti in un’associazione, poiché tutti vedono che il mondo dei foodblogger rappresenta un luogo di consapevolezza, di conoscenza, di persone che prendono in nano le decisioni di come vogliono gestire i propri consumi (alimentari). Un consumatore consapevole spaventa. Se poi questi consumatori si uniscono, allora sì che diventano una forza. Pericolosa.
    Sono felice che si parli di questo, tutti insieme.

  10. Dalla prima all’ultima parola:concordo pienamente. Fare Associazione non significa star con due piedi in una scarpa, anzi, semmai è il contrario. In Associazione si porta se stessi, in termini di contributi-laddove richiesti- e si riceve IDENTITA’. Altra cosa sono gli Albi (e qui si potrebbe aprire una parentesi infinita…). Ma voglio accogliere le critiche fatte alla Nostra Associazione in chiave costruttiva, come un incoraggiamento a migliorare la MIA personale adesione. Sonia Conte, tessera n.84 (non so perchè risulti anonimo:)

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