La trippa

Pubblicazione: 29 Marzo 2016

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GIORNATA NAZIONALE DELLA TRIPPA

Ambasciatrice Sabrina Tocchio per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Prima di diventare l’ambasciatrice della giornata nazionale della Trippa non avrei mai immaginato il mondo di ricette, di appassionati e di artisti che si nasconde dietro a questa frattaglia. Grazie a questo incarico, invece, mi sono resa conto che la trippa evoca infinite ricette, con altrettante varianti regionali, tecniche di cottura, abbinamenti, e, oltre alla cucina, esistono veri e propri “cultori della Trippa” che l’hanno celebrata in misteriose confraternite, e con le forme d’arte più disparate: dalla pittura, alla letteratura, alla poesia (a questo proposito consiglio la lettura di “Troppa trippa”, di Indro Neri, Neri Editore, Firenze 1998, 192 pagine). Tra i lavori più curiosi in cui mi sono imbattuta, ecco gli scatti di alcuni artisti (tra cui la celebre Pinar Yolacan), che hanno realizzato una serie di bizzarri “abiti di trippa”.

Le diverse consistenze, i panneggi e le morbidezze della stoffa/trippa che vediamo utilizzati in maniera inusuale in queste fotografie, sono un’ottimo spunto per tornare alla cucina, e chiarire le diverse tipologie di “trippa” che di solito troviamo nelle nostre macellerie di fiducia. Con Trippa si intendono i prestòmaci dei ruminanti, ovvero le tre cavità poste tra l’esofago e lo stomaco propriamente detto, deputate ad alcune funzioni di predigestione degli alimenti. Questi prestòmaci sono il rumine (la parte a forma di sacco più grande, detta anche trippa, croce, crocetta, pancia, trippa liscia o busecca), il reticolo (o cuffia, un piccolo sacco con aspetto globoso, detto anche cuffia, nido d’ape, bonetto o beretta) e l’omaso (di forma ovoidale tappezzato internamente da una mucosa composta da lamelle, da cui derivano i diversi nomi: millefogli, libro, centopelli o foiolo). In alcune regioni d’Italia però, come in Lombardia, è considerata trippa anche la prima parte dell’intestino tenue del vitello e del bue, meglio detto riccia (ricciolino o francese), un nastro di ghiandole particolarmente ricco che in Lazio è conosciuta come Paiata. Sempre in Lombardia, oltre alla trippa dei ruminanti si usa anche il trippino, cioè lo stomaco del maiale. Mentre invece la trippa di agnello in Italia è usata ormai di rado, o meglio, è relegata ad alcuni piatti tradizionali abruzzesi.
In ogni caso, diversi tipi di trippa che troviamo oggi in commercio sono già puliti e parzialmente prelessati. I metodi di lavaggio e sbiancamento usati per questa operazione ne condizionano notevolmente la qualità gastronomica (detergenti aggressivi, o cotture eccessivamente lunghe danneggiano la trippa). Per questo motivo, volendo preparare un’ottima trippa, è meglio rivolgersi ad un macellaio di fiducia, esperto nel trattamento di questa delicata frattaglia.
Dal punto di vista nutrizionale, la trippa è un alimento piuttosto ricco, con un contenuto elevato di proteine (16/18 %, simile a quello della carne di vitello). La sua presunta scarsa digeribilità, però, non è tanto da imputare al contenuto di grassi (4%), quanto all’abbondanza di condimenti e aromi usati per la sua preparazione. Lo stesso si può dire per le calorie della trippa -100 g di trippa sviluppano 106 kcal – valore che di solito aumenta vertiginosamente a ricetta ultimata. La nota dolente della trippa è rappresentata dalla quantità abbondante di colesterolo, ma considerando che non si mangia trippa tutti i giorni non ci si deve allarmare.

La trippa fa parte della cultura culinaria italiana: ogni regione ha la sua ricetta tradizionale, e addirittura una diversa sensibilità e apprezzamento, dovuta al variare degli usi e alle abitudini. La trippa è una presenza talmente consolidata sulle nostre tavole (e su quelle di tutto il mondo), che le ricette che la vedono protagonista sono davvero moltissime. Alcune considerano la trippa una minestra (la Busecca lombarda, la Sopa de Tripe padovana, o la zuppa di trippe napoletana), altre un secondo (la trippa alla bolognese – con Parmigiano – o quella alla Lucchese – con formaggio e cannella), altre ancora una farcitura da panino (il celebre street-food fiorentino a base di Lampredotto), e addirittura un cibo in scatola!
Da romana quale sono, cresciuta cioè in una regione particolarmente amante del quinto quarto, propongo qui la ricetta classica della trippa alla romana, pur un poco ammodernata e alleggerita. Una delle sue più antiche versioni risale a Francesco Leonardi, cuoco settecentesco di origini romane, famoso per aver servito alle mense dei potenti del mondo, dal maresciallo Richelieu alle corti di Polonia, Germania e Inghilterra. Nel suo “Apicio moderno”, tra le tante raffinatezze c’è proprio la ricetta della Trippa di manzo alla romana: “Quando la trippa di manzo sarà ben pulita e lavata, fatela cuocere con acqua, sale, una cipolla con tre garofani, un mazzetto di petrosemolo con sellero, carota, due spicchi d’aglio, mezza foglia d’alloro; fatela bollire in una marmitta a picciolo fuoco sei o sette ore, che sia ben schiumata; quando sarà cotta, tagliatela in quadretti, mettetela in una cazzarola con un pezzo di butirro, sale e pepe schiacciato, passate sopra il fuoco, aggiungeteci un poco di spagnuola e culì. Abbiate un piatto con un picciolo bordo di pane o di pasta, fate un suolo di parmigiano grattato e un suolo di trippa, e così continuate fino a tanto che il piatto sia sufficientemente pieno, terminando col parmigiano grattato, nel quale avrete cura di mescolare un poco di menta trita; ponete alla bocca del forno o sulla cenere calda acciò prenda sapore, e servite ben calda”.
Insomma, da tempo immemore, come diceva anche Giuseppe Gioacchino Belli, a Roma la trippa va mangiata di sabato e in buona compagnia. Uno dei tanti proverbi romaneschi che ben rappresenta questo gustosissimo piatto dice infatti “Giovedì gnocchi e sabato trippa”. Ma, anche un altro detto lega la capitale alla frattaglia, il celeberrimo “Nun c’è trippa pe’ gatti”! Il proverbio ha un’origine ben precisa: nel 1907, il sindaco di Roma, Nathan, per risanare il bilancio cittadino in crisi nera, depennò dalla lista la trippa che il comune acquistava per i mici del centro storico (utilissimi per eliminare i topi della città). Nathan ritenne quella spesa uno spreco e per risparmiare annunciò pubblicamente che a Roma non ci sarebbe più stata trippa per gatti, rendendo proverbiale l’espressione.

Trippa alla romana

Ingredienti per 4 persone
1 k di trippa
400 g di pomodori pelati
Una cipolla
Una costa di sedano
Una carota
Uno spicchio di aglio
Olio extravergine di oliva q.b.
Menta romana
Pecorino romano grattugiato
Sale e pepe o peperoncino

Come detto sopra, la trippa si acquista normalmente già prelessata, quindi è meglio scegliere trippa “grigia” o scura, per cui non “candeggiata” e non troppo cotta. Se possibile acquistate la trippa intera, sciacquatela e mettetela a bollire in abbondante acqua salata insieme a una carota affettata, una costa di sedano a pezzi, una cipolla e un mazzetto di prezzemolo. Fate riprendere l’ebollizione, quindi abbassate la fiamma al minimo e proseguite la cottura per circa tre quarti d’ora. Lasciatela raffreddare e nel frattempo preparate un trito con la cipolla, la carota, il sedano, e lo spicchio d’aglio. Scaldate l’olio in un tegame di terracotta e fate appassire dolcemente il battuto mescolando spesso. Affettate la trippa a striscioline e versatela nel tegame quando il soffritto comincia a prendere colore. Fate insaporire per qualche minuto mescolando, quindi unite i pelati sminuzzati, salate e pepate e proseguite la cottura per circa un’ora. Durante questo tempo mescolate spesso e unite un mestolo di brodo o acqua calda quando necessario, tenendo presente che alla fine la trippa deve essere immersa in un sugo abbondante. A cottura ultimata, versate la trippa nel piatto da portata e completate il piatto con abbondante pecorino grattugiato e foglioline di menta sminuzzate.

Pur non sempre apprezzata nell’alimentazione quotidiana, la trippa ha grandi estimatori nell’alta ristorazione. La dodicesima Edizione di Identità Golose, appena conclusa, ha eletto proprio la trippa a piatto simbolo del congresso. To Bee or not to Bee ,un giocoso reticolo colorato, opera dello chef Cristina Bowerman, ha rappresentato l’immagine dell’importante appuntamento gastronomico.
http://www.identitagolose.it/sito/it/12/13206/ricette/il-nido-dellape.html

L’idea mi è piaciuta talmente tanto che ho voluto replicare l’opera di Cristina Bowerman, adattandola alla tradizione romana. Ho condito un pezzo di cuffia con una salsa verde di mentuccia, olio extravergine e sale, una salsa di pomodoro e cipolla ristretta, e l’ho adagiata su una purea di patate e pecorino. Questa è la mia versione di “trippa alla romana” più contemporanea rispetto a quella tradizionale illustrata in precedenza.
Bibliografia:
Guarnaschelli Gotti M., Grande enciclopedia della gastronomia, Mondadori
Indro Neri, Troppa trippa, Neri Editore, Firenze 1998, 192 pagine
http://www.troppatrippa.com/arte.php
Claudio Colaiacomo, Roma perduta e dimenticata. 2013, 352 pagine: – Biblioteca Romana Newton n. 12
Alfredo Morosetti, Frattaglie, Formato Kindle.
http://www.identitagolose.it/sito/it/12/13206/ricette/il-nido-dellape.html
Partecipano come contributors:
Sabrina Tocchio, Insalata di trippa
Nieri Sonia, trippa alla fiorentina
Nadina Serravezza, Trippa alla napoletana, ricetta di mamma Pina
Claudio Aloisio, Trippa alla calabrese
Antonella Vergari, Trippa alla romana
Nicol Pini, Una trippa (quasi) tradizionale
Cecilia Mazzei, trippa toscana di Nonno Paolo
Cristiana di Paola, Aspic di Trippa

5 commenti

  1. Bellissimo articolo. Ti ringrazio per la ricchezza di particolari che mi ha aperto un mondo, di cui immaginavo la conoscenza, che adesso è più chiaro anche se sarà difficile da gustare perchè qui non si trova quella meravigliosa scelta di trippa anzi è già tanto se si trova la trippa!!!
    Grazie Manu

  2. La trippa a Trieste è molt6o conosciuta ed usata forse ultimamente dalla nuova generazione non più tante. Cucinata più o meno come la trippa alla romana ma molto molto consumata pur non rimanendo secco e poi con tanto formaggio grana. Io ho fatto tempo fa le polpette di trippa ed ho parlato appunto dei famosi 4 stomaci da cui proviene. Il foiolo è quella più usata (chiamata in modo diverso a secondo delle regioni e non solo). Hai descritto molto bene i prestomaci ma il quarto quello che mostri in foto “scuro” il maestro di coltello mi ha spiegato che è l’abomaso ‘unica cavita equivalente allo stomaco vero e proprio, quello più vicino all’intestino, ovvero la parte più scura della trippa di colore marrone e piuttosto grassa che richiama alla mente dei nastri arricciati insieme.
    Sei stata veramente brava un ambasciatrice mi congratulo con te.
    Conservo tutta la tua descrizione e anche le foto con la “trippa” veramente forti.
    Un abbraccio e buona giornata.

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