Storia della pizza: dall’antichità alla globalizzazione

pizza

La pizza, sinonimo di italianità e simbolo della convivialità tipica del Bel Paese, è senza alcun dubbio uno dei piatti più amati e diffusi al mondo.

Piatto povero ben lontano da quello che siamo abituati a mangiare oggi e le cui origini affondano nell’antichità, grazie alle migrazioni di inizio ‘900 è assurta a bandiera della cucina italiana benché fino ad allora fosse poco diffusa al di fuori della Campania.

Come tutto ciò sia accaduto è storia: una storia poco conosciuta ma affascinante e, a tratti, sorprendente.

“La storia della pizza: dall’antichità alla globalizzazione” è un viaggio attraverso i secoli tra citazioni letterarie, eventi storici e mutamenti sociali.

Un viaggio alla scoperta della pizza, dalla sua versione originaria di quasi 10.000 anni fa alla pizza napoletana così come la conosciamo oggi.

Le origini della pizza

La pizza, quale disco di pasta a base di acqua e farina cotto su una pietra rovente, esiste da sempre e in tutte le parti del mondo.

Circa 10.000 anni fa l’uomo domesticò i cereali, nacquero le farine e quindi il pane e la pizza che in origine consisteva appunto in un impasto schiacciato e cotto.

Ogni popolazione utilizzò i cereali di cui disponeva, dando così vita alla farolicchia (focaccia etrusca a base di farro), al naan in India, alle tortillas in Messico, all’injera in Africa e in Etiopia, al plakous dell’ Antica Grecia e alla pita che si mangia tutt’oggi, nelle sue varie declinazioni, nel bacino del Mediterraneo.

Tutte queste preparazioni sono accomunate non solo dagli ingredienti di base (originariamente solo acqua e farina in seguito arricchite con lievito, sale, grassi, spezie) ma anche da un forte simbolismo:

  • la forma circolare che da sempre simboleggia la vita, l’unione e la condivisione;
  • il fuoco: emblema della forza della vita ma anche simbolo di distruzione;
  • i gesti semplici e solenni di colui che dà vita alla miscela di acqua e farina e grazie all’uso sapiente del fuoco trasforma la materia: una sorta di “sacerdote” che oggi chiamiamo pizzaiolo.

L’antico rituale da cui ha origine la pizza ancora oggi affascina e catalizza l’attenzione, non a caso nella maggior parte delle pizzerie e dei ristoranti l’attività del pizzaiolo è “a vista” cosicché tutti possano ammirare la trasformazione della materia ad opera del fuoco.

Al di là dei simbolismi occorre sottolineare come la forma circolare della pizza risponda anche a un bisogno pratico: contenere il companatico.

E infatti già Virgilio nell’Eneide scrisse:

“Altro per avventura allor non v’era di che cibarsi. Onde, finiti i cibi, volser per fame a quei lor deschi i denti, e motteggiando allora: “O – disse Iulo –/ fino a le mense ancor ne divoriamo?”. 

Insomma, gli eroi dell’Eneide, dopo aver mangiato il cibo posto sul disco di pasta, affamati, mangiarono anche quest’ultimo.

pizza

Ma la sintesi più significativa del ruolo della pizza è dell’antropologo F. La Cecla che, nel suo libro La pasta e la pizza scrive:

“ Sotto tutte queste forme la pizza risponde a un bisogno immediato: l’essere allo stesso tempo arnese, luogo del cibo e cibo stesso. (…) Consente il deambulare, il portare altrove, l’offerta e la condivisione.”

Queste caratteristiche, unite ai mutamenti socio economici e alle migrazioni, hanno concorso alla trasformazione della pizza come la conosciamo oggi: il piatto più conosciuto e diffuso al mondo, che possiamo gustare a Roma o New York, a Bangkok come a Dubai; e ancora, in versione gourmet o street food.

Facciamo allora un salto in avanti nel tempo, lasciamo Virgilio e il simbolismo (che ritroveremo più avanti) e scopriamo da dove deriva il termine “pizza”.

La pizza tra etimologia e letteratura

L’etimologia della parola “pizza” è incerta e controversa: secondo alcuni deriverebbe dal greco plax: “superficie piana schiacciata” o da pita il pane morbido consumato in Grecia.

Secondo altri dal latino pinsere: “schiacciare, macinare, ridurre in polvere”. Infatti, nella cultura gastronomica italiana sono presenti numerosi ricette dal nome simile: in Veneto, Friuli e Trentino troviamo la Pinza una focaccia dolce lievitata a base di frutta secca. A Bologna la torta Pinza si mangia nel periodo natalizio ed è un rotolo di pasta frolla farcito con frutta secca o marmellata di prugne. Ecco quindi tornare l’ originaria funzione di “contenitore”.

C’è poi la tesi “germanica” secondo la quale pizza deriverebbe dal termine di origine longobarda bizzo o pizzo che significherebbe “boccone”. Termine assonante al “bit” (morso) di lingua inglese.

Il dibattito resta aperto ma vi è una certezza: la parola pizza appare per la prima volta nel X secolo, precisamente nel 977. In un contratto di locazione di un mulino nella città di Gaeta, si stabilì che il canone d’affitto dovesse essere corrisposto, oltre che in una certa quantità di grano, anche in “duodecim pizze”, ovvero dodici pizze.

La successiva apparizione ufficiale della parola pizza è del 1570 ad opera di Bartolomeo Scappi, cuoco personale di Papa Pio V. Nella sua Opera, libro di ricette, Scappi annovera anche quella “per fare torta con diverse materie, dai napoletani detta pizza”. La pizza ivi citata è però molto differente da quella moderna, talmente diversa da essere dolce: una base di mandorle e pinoli pestati, uvetta e fichi secchi. Il tutto impastato con acqua, tuorli, zucchero e mosto d’uva. Ma in “essa pizza si può mettere di ogni sorte condite”.

Ecco quindi che grazie a Bartolomeo Scappi possiamo identificare i due elementi fondamentali della pizza moderna: l’origine napoletana e il poter condire la base come più si preferisce.

Numerosi autori hanno nominato la pizza nei loro scritti o le hanno dedicato interi libri. Celebre la descrizione che ne fa Alexandre Dumas nel suo Impressioni di viaggio. Il corricolo in cui racconta di un suo viaggio a Napoli e che ritroveremo più avanti; Matilde Serao nel suo libro Il ventre di Napoli del 1884; Giuseppe Marotta ne L’oro di Napoli del 1947.  E poi due saggi dedicati alla pizza Sapore di Napoli. Storia della pizza di G. Porcaro e La pasta e la pizza di F. La Cecla: libri che non possono mancare sulle mensole della nostra libreria culinaria.

La pizza napoletana e le sue origini

pizza margherita

Quando fa la sua prima apparizione la pizza napoletana non è dato saperlo con certezza, tuttavia si può presumere tra il XVII e il XVIII secolo, epoca in cui si diffuse il pomodoro, suo elemento distintivo.

Gli storici ritengono che la prima vera pizza napoletana fosse quella che noi oggi chiamiamo “marinara” condita con aglio, olio, pomodoro e origano. Ingredienti semplici e di uso comune, per un piatto che resterà per lunghissimo tempo l’alimento del popolo e lo street food per eccellenza.

“Cibo per poveri, pietanza per frettolosi, (…) da mangiare così, magari in piedi e magari a un angolo di strada, sotto gli occhi di tutti” come scrive G. Porcaro nel suo libro Sapore di Napoli. Storia della pizza.

E di come la pizza fosse cibo del popolo, lo racconta bene Alexandre Dumas  che ricorda come i “lazzaroni” (termine con cui all’epoca si indicava il plebeo napoletano) mangiassero la pizza in inverno e l’anguria in estate:

“La pizza è nutrimento invernale. Il primo maggio cede il posto al cocomero. Ma sparisce solo la mercanzia, il mercante rimane lo stesso. […] Nel giorno indicato il pizzaiolo si fa mellonaro. Il mutamento non si estende alla bottega, che resta la medesima.”

Questo stralcio ci porta a parlare della produzione e della vendita della pizza.

Le pizzerie dell’epoca non erano luoghi pensati per il consumo in loco ma angusti laboratori con un bancone e un forno a legna in cui venivano prodotte pizze destinate alla vendita da asporto o ai venditori ambulanti. Questi ultimi giravano per i vicoli con in testa la “Stufa”, un contenitore di rame od ottone che serviva a mantenere calde le pizze: analogamente a quanto fanno ora i rider, con i contenitori termici sulle spalle per le vie delle nostre città.

Come si svolgeva la giornata dei pizzaioli ce lo racconta Matilde Serao nel Ventre di Napoli: la notte producevano un grande numero di pizze che la mattina affidavano ai garzoni o ai rivenditori i quali provvedevano alla distribuzione agli angoli delle strade. Una volta terminate, i pizzaioli ne facevano altre e così via fino a sera. Le pizze, quindi,  non venivano cotte “a richiesta” come ora ma, similmente al pane, prodotte in grandi quantità. La pizza quindi veniva consumata anche dopo alcune ore dalla cottura, diversamente da oggi.

E le pizzerie? Fino alla metà del ‘700 non ve n’è traccia. E le prime che  compaiono sono luoghi piuttosto sudici frequentati dalla plebaglia, ben lontane dai luoghi di ritrovo conviviali ai quali siamo abituati. Per la loro diffusione lungo tutto lo stivale bisognerà aspettare il ‘900 e il ritorno degli emigrati dagli Stati Uniti, ma di quello vi racconterò tra poco.

La pizza, quale alimento del popolo, fungeva anche da termometro dell’andamento dei mercati: il suo prezzo variava a seconda del costo delle materie prime e della freschezza degli ingredienti. Ecco ancora Dumas:

“Quando la pizza ai pesciolini costa mezzo grano, vuol dire che la pesca è stata buona; quando la pizza all’olio costa un grano, significa che il raccolto è stato cattivo”.

Per sfamare i più poveri venivano vendute anche pizze “vecchie” di giorni, il cui prezzo era ovviamente molto più basso rispetto a quello iniziale, ed esisteva anche la cosiddetta “pizza a oggi otto” che si poteva pagare una settimana dopo. Insomma, la pizza oltre che alimento del popolo era mezzo di sostentamento delle masse più povere.

Con l’Unità d’Italia nel 1861 inizia un processo di nazionalizzazione in cui il Nord fa propri quegli usi e costumi tipici del Sud trasformandoli in simboli dell’italianità. Così la pizza oltrepassa i confini della Campania e inizia ad essere conosciuta nel resto della nazione grazie anche ai nobili che, stanchi della cucina francese trovano in quel cibo popolare una gustosa trasgressione.

Ed è proprio alla Regina Margherita di Savoia che viene intitolata, proprio in quegli anni, la pizza più famosa al mondo.

La pizza margherita tra storia e leggenda

La pizza margherita è senza alcun dubbio la più conosciuta e amata al mondo, con i suoi colori che richiamano il tricolore e i suoi sapori tipici del Sud.

La leggenda narra che la pizza margherita sia stata inventata in onore della Regina Margherita di Savoia; tuttavia i documenti forniscono un’altra versione. Di una pizza ricoperta di pomodoro con fette di mozzarella e foglie basilico narra infatti F. De Bourcard nel 1858, 3 anni prima dell’unità d’Italia. Come andarono le cose esattamente non lo sapremo mai, ma quel che è certo è che nel giugno 1889 il pizzaiolo Raffaele Esposito fu chiamato nella reggia di Capodimonte dove alloggiavano il Re Umberto I e la Regina Margherita di Savoia per fare gustare loro la pizza napoletana.  Ne preparò tre versioni: quella che riscosse maggior successo presso la Regina era condita con mozzarella, pomodoro e basilico. Quando gli fu chiesto il nome di quella pizza egli rispose furbamente “Margherita”. Da allora ogni volta che i sovrani si recavano a Capodimonte Raffaele Esposito si recava a corte per deliziarli con le sue preparazioni.

La pizza da Napoli al resto del mondo

All’inizio del ‘900 iniziano le prime migrazioni verso gli Stati Uniti. In migliaia sbarcano a Ellis Island: tutti italiani ma tutti diversi per lingua, usi e costumi. Devono quindi crearsi un’identità con cui presentarsi al Nuovo Mondo e che faccia loro da scudo per sopravvivere.

Ecco allora che il cibo, come sempre accade quando un gruppo sociale è in pericolo o deve ricostituire la propria unità, diventa il mezzo di costruzione dell’identità nazionale. La pasta e la pizza diventano così il vessillo degli “italiani all’estero”.

La pizza, mangiata con le mani agli angoli di strada o gustata velocemente seduti a un tavolino sui marciapiedi del Lower East Side piace, anche agli americani. E da inizio ‘900 al secondo dopoguerra si diffonde così tanto da diventare il simbolo del Made in Italy.

Ma gli emigrati, hanno bisogno non solo di ricostruire la loro identità ma anche le dinamiche sociali tipiche del nostro meridione, dove la condivisione del cibo e la convivialità sono colonne portanti della socialità: nascono così le pizzerie. Luoghi in cui ritrovarsi alla fine di una dura giornata, in cui parlare e ascoltare la propria lingua, in cui ricordare il proprio paese e quale modo migliore di farlo se non davanti a una pizza?

Tornati in patria in molti aprono pizzerie lungo tutto lo stivale e, a partire dal secondo dopoguerra grazie anche al boom economico, le pizzerie diventano il luogo di ritrovo per eccellenza come le conosciamo ancora oggi. Una serata conviviale tra amici dove può svolgersi se non in pizzeria?

La diffusione della pizza negli Stati Uniti è dovuta principalmente a due fattori: l’abbondanza della materia prima, il grano, e la facilità di riproduzione.

Ad essa hanno concorso non solo gli emigrati italiani che si sono inventati, o reinventati, pizzaioli ma anche gli americani stessi. Nel 1958 i fratelli Frank e Dan Carney fondarono a Wichita, in Kansas, Pizza Hut che negli anni divenne la più grande catena di pizzerie in franchising del mondo.

Poi si sa, gli Stati Uniti sono un melting pot di culture differenti e anche questo ha inciso sulla diffusione della pizza nel mondo.

La pizza, che nella sua forma originaria appartiene a tutti i popoli della terra, è stata così assorbita da tutte le culture del mondo perdendo la caratterizzazione tipicamente italiana, e nel 2017 è stata riconosciuta dall’ UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Spero che questo articolo vi sia piaciuto e se volete approfondire l’argomento di seguito trovate i testi che ho consultato per scriverlo:

Alessandro Marzo Magno,  Il genio del gusto. Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo. Garzanti, 2015

Franco La Cecla, La pasta e la pizza, il Mulino, 1998

7 commenti

  1. Carissima Gioia,
    se mi abbandonassero in un’sola deserta e mi lasciassero portare un solo alimento, io sceglierei la pizza. Quindi grazie di questo articolo, leggerlo mi ha reso molto felice!

  2. Pure io come Silvia, toglietemi tutto, ma non la pizza!
    Il tuo articolo è super interessante e scritto con maestria!

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