24/10/2024
Frida Kahlo e il cibo: arte, cultura e passione
Gabriella Rizzo ci racconta Frida Kahlo, donna volitiva e passionale e artista iconica. Il suo rapporto con il cibo tra arte, cultura e passione.
Pubblicazione: 23/12/2022
Lista degli argomenti
Food design per food blogger, o meglio, l’importanza dell’impiattamento nella comunicazione di una ricetta.
Se è vero com’è vero che il cibo si mangia prima con gli occhi, il ruolo dell’ impiattamento assume un’importanza fondamentale ed ogni pietanza, anche se è ben cucinata, perde ogni sua attrattiva se non viene ben presentata. Per molto tempo l’impiattamento è stato considerato come la ciliegina sulla torta, la fase finale del processo di realizzazione di un piatto che poteva essere eseguita in maniera indipendente dal sapore della ricetta. Oggi invece, questa tecnica è diventata centrale nella presentazione di un piatto e dovrebbe essere riconosciuta come materia di studio fondamentale per tutti quelli che si occupano di creazione culinaria.
Non me ne vogliano a male quindi i cuochi e/o food blogger che professano l’uso della cazzuola come strumento indicatore di sano, buono e di tradizione, pure la nonna amava il bello ed il ben presentato!
La disposizione degli ingredienti, l’abbinamento dei colori e le decorazioni rendono un cibo il più attraente possibile e, se l’estetica di un piatto avrà avuto il merito di allietare l’occhio fin dall’inizio, anche la sua degustazione avrà tutto un altro sapore. Una buona disposizione ha infatti il potere di attirare l’attenzione, incuriosire e valorizzare ogni ingrediente perché, come dice Daniel Kahneman nel suo lavoro sulla psicologia edonica, in ogni presentazione di una portata partecipano le tre componenti chiave del piacere: l’aspettativa, l’esperienza e la memoria. Fino a qualche anno fa, era sinonimo di genuinità ed abbondanza portare in tavola le pietanze direttamente da tegami e padelle, oggi invece è il piatto di ogni singolo commensale a ricevere un occhio di riguardo, dove la cura di dettagli come consistenza, forma e colore acquista un’importanza fondamentale.
Per questo però non è sufficiente essere creativi ma è necessario seguire delle regole ben precise, individuando anche gli errori da evitare.
Vediamo quali sono i più comuni:
Dai facili errori alla costruzione su carta di una realizzazione da mettere sul piatto è stato il percorso fatto con la chef design Fabrizia Ventura. Il food design è sicuramente un’arte alla quale applicarsi se si vuole comunicare stimolando anche la vista.
Lista degli argomenti
Il vocabolario Treccani a proposito del significato di food design dice: “Progettazione del cibo, ideazione, preparazione e allestimento di specialità alimentari e gastronomiche, con particolare attenzione al loro aspetto estetico e alla loro appetibilità”.
Questa definizione, che traduce questo termine inglese, spiega quanto vasta sia questa disciplina e quali sono gli ambiti che abbraccia. In un progetto di food design infatti si incontrano e si mescolano diverse discipline quali la biologia, la genetica, l’antropologia, la psicoanalisi, la sociologia dell’alimentazione, le ricerche sulla sociabilità e la mediazione sociale e, non da ultimo, la storia dei sistemi delle preparazioni e delle forme di convivialità.
Questo fenomeno, che oggi viene utilizzato anche come uno strumento particolarmente efficace per la riqualificazione e la promozione di un Territorio attraverso la sua ricchezza enogastronomica, nasce alla metà degli anni ‘90 e, anche se le sue prime forme sono riconducibili allo chef Ferran Adrià con la sua cucina molecolare, i primi oggetti alimentari di food design sono le patatine Pringles, la cui sagoma ergonomica è stata realizzata per adagiarsi sul palato, il ghiacciolo Solero, creato in microsfere che si sciolgono in bocca e cambiano la percezione del gusto ed infine il cioccolato Toblerone, dove si invitano gli acquirenti a spezzarne le porzioni.
Il food design applicato anche al packaging, chi l’avrebbe pensato? eppure è stato un intero argomento trattato con la docente durante gli incontri online.
Il cibo quindi non è più solo uno strumento di sopravvivenza ma è diventato anche un mezzo di comunicazione e il suo connubio con il design nasce dall’esigenza di dare alle pietanze sulle nostre tavole un significato diverso: conferire piaceri che vanno oltre il gusto, creare un’estetica del mangiare in grado di offrire esperienze polisensoriali e realizzare luoghi accoglienti che ne celebrino tale filosofia, attraverso percorsi gastronomici attraenti che ne esaltino il consumo.
Nel food design progettare un cibo non significa solo renderlo bello esteticamente ma tenere conto di tutti i suoi aspetti: c’è infatti una ricerca continua nel realizzare pietanze che abbiano consistenze, sapori e colori nuovi con l’obiettivo di trasformarle in vere e proprie forme d’arte. Colui che si occupa di esprimere tutto questo, il food designer, è un consulente del cibo che analizza le tendenze, i bisogni dei clienti e le necessità dei ristoratori: è un po’ sociologo e psicologo ed è anche un esperto di marketing.
In sintesi il food design è suddiviso in diverse categorie, alcune maggiormente legate al cibo, altre più vicine alla sfera del design ma sempre collegate alla sfera alimentare.
Ci sono infine gli aspetti più vicini al design:
Durate le sue lezioni abbiamo compreso l’importanza dell’insieme compositivo di un piatto che si gioca fra rapporti di colore, contrasti cromatici, giochi di forme geometriche che devono tendere all’equilibrio e all’armonia, come un insieme di note volge in composizione musicale.
Per la rappresentazione visiva si parte da un bozzetto, come fosse una tela bianca su cui disegnare l’idea del piatto che ci siamo creati nella mente.
In questo processo è importante dare valore ai colori che richiamano gli ingredienti, che danno vita alla ricetta avendo cura di evitare elementi che potrebbero disturbare.
Nondimeno importanti sono l’ordine e la pulizia per assicurare che l’occhio dell’osservatore arrivi dritto al punto focale del piatto.
In conclusione possiamo dire che l’impiattamento e il food design servano a condurre gli occhi di chi osserva in un percorso di degustazione visiva che arriva prima del gusto stesso.
La docente che ha tenuto il corso on line, gratuitamente per i soci dell’Associazione, è Fabrizia Ventura.
Potremmo definirla Chef designer con una formazione artistica, essendo laureata in “storia dell’arte con tesi di ricerca e specializzazione in disegno, incisione, grafica”, tuttavia il suo curriculum denota un’esperienza varia e specialistica.
Nell’ambito della formazione professionale come docente accreditato Miur, membro albo formatori Lazio, Executive chef trainer Istituto Enogastronomico Alberghiero Safi Elis, Istituto alberghiero Amatrice, scuola Tu chef Roma, Vish International School.
Riveste inoltre ruoli di rilievo e rappresentanza: membro e direttore Regionale Lazio dell’APCI – Associazione Professionale Cuochi Italiani, ambasciatrice per il Food Design, chef Ambassador, Associazione Vino Rosa Italiano e nel campo della comunicazione (Responsabile comunicazione DOC ITALY, Chef Sandro Serva “La Trota”, Pastry chef Ciro Chiazzolino).
Tutte esperienze messe al servizio delle nuove frontiere della comunicazione e come consulente nella formazione e gestione di eventi.
Il primo momento di formazione è stato con la chef design Fabrizia Ventura, come momento conclusivo del suo corso sul Food Design. La chef è un personaggio istrionico, affascinante, dalla personalità spumeggiante e coinvolgente.
Dopo una breve introduzione in cui spiega la progettazione del piatto partendo dal bozzetto grafico: ideazione della ricetta (ingredienti), a cui segue la ricerca e la cultura che dalla tradizione può portare all’innovazione. Il piatto deve avere equilibrio tra estetica, olfatto e gusto. Per studiare una presentazione bisogna anche tenere presente la psicologia visiva: il nostro occhio legge da sinistra a destra, segue il nostro modo di leggere e scrivere, la stessa logica la si deve applicare nella creazione di un impiattamento: il lato importante è il sinistro, va lasciato uno spazio bianco e non si sporca mai il bordo del piatto. Importante: non si mettono, non si inseriscono, mai elementi non commestibili o che non rientrano nella ricetta. Le uniche presentazioni in cui si usa la centralità visiva è il piatto il cappello del prete.
Nella costruzione del piatto possiamo anche condurre l’occhio, guidarlo inserendo gli elementi che lo porteranno fino al punto importante: la ricetta. Meglio usare pochi elementi, un piatto “pulito” e magari giocare con le forme, la tridimensionalità inserendo anche componenti verticali. Nella creazione del bozzetto è importante anche indicare cosa mettere e dove (es. lampone, fogliolina menta, etc.). La chef suggerisce che gli elementi siano sempre in numero dispari.
Dopodiché ci ha assegnato il compito di creare un bozzetto di impiattamento di tre ricette della tradizione: canederli, carbonara, pane carasau/guttiau con alici di menaica e burrata. A noi la scelta se restare tradizionalisti o reinterpretare la ricetta. Il lavoro si è svolto a gruppi e ci ha dato un tempo ben preciso.
Con questo esercizio ci ha fatto “toccare con mano” e comprendere la difficoltà e il tempo che davvero si impiega per uno studio di impiattamento di una ricetta. Studio che fanno gli chef ogni volta quando presentano un piatto. Studio che richiede tempo, ore di lavoro, varie prove, prima di ottenere il risultato pensato e voluto.
La chef è passata tra i vari gruppi per osservare, ascoltare, consigliare, suggerire e rispondere alle domande.
Infine chef Fabrizia Ventura, in pochi minuti, ha realizzato i suoi tre piatti con i temi che aveva dato.
I suoi studi artistici (una laurea in storia dell’arte) li applica alle sue presentazioni: i piatti diventano la tela sulla quale dipingere con il cibo e i colori naturali commestibili. Possiamo notare la sua firma con la presenza dei colori a lei cari, quelli che le ricordano la sua amata Costiera, con il giallo dei limoni e il blu del mare.
I colori usati li aveva preparati la mattina in cucina. Il risultato finale lascia semplicemente senza parole: piatti belli, ma bello non rende appieno l’appagamento visivo ed emozionale che si ha: sono delle vere opere d’arte, quasi un peccato mangiarle.
La chef ha rivisitato le ricette che aveva dato, dando la sua personale interpretazione, e da qui innovazione. I canederli sono colorati con barbabietola, curcuma e cavolo viola, sistemati in fila di lato in un piatto fondo, con del brodo blu (ottenuto colorando con il succo di cavolo viola il brodo), a completare il piatto e a dare un tocco verticale perché sistemato su ogni canederlo, una julienne di cavolo viola e foglioline di verde soncino. La carbonara si chiama “AAA carbonara…” in cui ha preparato una cialda di pecorino e pepe dando la forma quasi di un piatto, all’interno di lato giocando nella sistemazione finta disordinata, ma studiata, inserisce delle mezze maniche cotte in acqua e curcuma e poi fritte, e ne sistema qualcuna anche in verticale, infine vicino adagia un tuorlo d’uovo marinato e che verrà inciso all’ultimo a far uscire la parte cremosa. L’ultima presentazione non usa nemmeno un piatto tradizionale, su questa sorta di tagliere distribuisce in modo astratto i colori alimentari che aveva creato, sovrapponendoli anche così che dalla loro fusione vengano creati altri colori, poi impiatta una millefoglie di pane carasau e guttiau al cui interno troviamo la burrata e le alici di menaica, creando così la verticalità, decorazione finale con un tocco di colore con effetto drip su un lato della millefoglie e foglioline di soncino.
Non si può che rimanere estasiati da cotanta bellezza.
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