Dante in cucina: ricette medievali italiane

Dante in cucina ricette medievali italiane

Nel 2021 cadono i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri e in tutta Italia verranno organizzate iniziative ed eventi celebrativi per ricordare il poeta e le sue opere, tra cui la Divina Commedia.

Il 25 marzo, in occasione del Dantedì, data in cui prendono avvio le iniziative, AIFB – Associazione Italiana Food Blogger rende omaggio al Sommo Poeta con la realizzazione di alcune ricette che Dante cita nella sua Commedia o che avrebbe potuto assaggiare quando, esule, fu ospite dei signori che gli diedero ospitalità.

Nato a Firenze nel 1265, nel 1302 Dante fu condannato, in contumacia, al rogo e alla distruzione delle case dalla fazione politica dei guelfi neri che, preso il potere in città, diedero inizio alla sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte bianca.

Da quel momento Dante viaggiò e visse in luoghi diversi da Forlì, ospite degli Ordelaffi, a Ravenna che lo accolse fino alla fine dei suoi giorni. In mezzo tante tappe intermedie: Bologna, Padova, la Marca Trevigiana, la Lunigiana, il Casentino, Verona.

Il Libro della Cocina dell’Anonimo Toscano del Trecento

Alla base della attività delle associate e dei soci c’è il Libro della Cocina, una raccolta manoscritta di 183 ricette scritte in volgare conosciuta anche come “Anonimo Toscano” del Trecento.

Il letterato bolognese Francesco Zambrini (1810-1887) ne descrisse la scoperta con queste parole “sta nella R. Biblioteca dell’ Università di Bologna, in una Miscellanea, segn. del num. 158” e affermò che forse “pervenne a questa Regia Biblioteca Universitaria dalla munificenza di Papa Benedetto XIV”.

Zambrini descrisse il manoscritto in questi termini: “egli è senza dubbio scritto originalmente da penna toscana, e per avventura, non ostante pochi senesismi ed altri vocaboli speciali soltanto a diverse provincie italiane, fiorentina. La semplicità, l’eleganza e la sobrietà, conforme il comporla la materia trattata, vi spirano da ogni lato.”

“É pure preceduto dall’ indice dei Capitoli, che occupa tre colonne: il carattere sembrami del finire del sec. XIV, o al più de’ primissimi anni del susseguente; e di quel tempo medesimo, o circa, sembrami la dettatura: fu da me preferito questo all’antecedente, perchè completo. Sta in diciannove pagine, non compreso l’indice sopraddetto. Ogni argomento è scritto in rosso: in fine leggonsi alcune ricette medicinali, scritte da altra penna.”

Appassionato editore di antichi testi volgari, Zambrini trascrisse il codice membranaceo datandolo alla fine del XIV sec. (o al più tardi dell’inizio del XV) lo diede alle stampe a Bologna nel 1863.

Grazie alla collaborazione con la BUB – Biblioteca Universitaria di Bologna, una belle più importanti biblioteche storiche d’Italia, molto attiva nella promozione e nella valorizzazione del suo patrimonio documentario, i soci hanno potuto lavorare in esclusiva sulle ricette digitalizzate del manoscritto 158, di cui vi presento le carte della Rubrica.

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Su gentile concessione della Biblioteca Universitaria di Bologna. BUB, Ms.158, c.93r

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Su gentile concessione della Biblioteca Universitaria di Bologna. BUB, Ms.158, c.93v

Nel Libro della Cocina le ricette sono ordinate per tipo di preparazione e per varianti della stessa ricetta (Altrimenti). Il testo incomincia con

  1. ricette di verdure, tra cui sono annoverate pere, fave e funghi,
  2. seguono poi ricette per fare il brodo di carne, di pesce e di altri animali, come la gru,
  3. piatti a base di uova e carne,
  4. torte e pastelli,
  5. piatti a base di pesci,
  6. ricette adatte al tempo di Quaresima,
  7. ricette varie tra cui lasagne, tortelli, il torrone, le salse di accompagnamento alla carne.

Il libro si conclude con ricette per malati (l’infermi) e consigli vari.

Abbiamo scelto le ricette contenute in questo manoscritto perché, se vogliamo dar retta a Zambrini, fu scritto da un coevo Dante. Tuttavia, abbiamo fatto alcune incursioni anche nel Liber de arte coquinaria di Maestro Martino, della metà del sec. XV, e in altri ricettari tardo-medievali per integrare le ricette del libro dell’Anonimo Toscano trecentesco.

Ma quali tra queste ricette Dante cita nella Divina Commedia e quali invece avrebbe potuto assaggiare alla tavola dei signori che gli diedero ospitalità?

Dante e il cibo nella Divina Commedia

Nella prima Cantica della Divina Commedia il cibo ha una valenza negativa: nel VI Canto Dante incontra i golosi cioè i dannati che in vita commisero peccati di gola. Tra di loro ci sono tutti coloro che peccano “mangiando fuori tempo, molto frequentemente, ricercando cibi prelibati, con soverchia avidità, esagerando nei condimenti” come da precetto della Chiesa.

Nel cerchio dei golosi cade incessantemente una pioggia fredda, mista di acqua sporca e neve, che forma al suolo una disgustosa poltiglia, da cui si leva un fetore insopportabile. Tra i dannati a causa della golosità Dante incontra il fiorentino Ciacco.

“Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:

per la dannosa colpa de la gola,

come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.”

Di lui sappiamo poco, a parte le notizie fornite da Dante e da Boccaccio nel Decameron. Per alcuni il nomignolo deriva dal suo nome di battesimo, Jacopo o Giacomo; per altri è un soprannome dispregiativo derivante dalla parola porco. Boccaccio lo descrive come un uomo piacevole ma “dato del tutto al vizio della gola” tanto che lo si incontrava spesso ai banchetti dei ricchi e dei potenti.

L’episodio di Ciacco ci permette di parlare della carne di maiale, che nel medioevo era molto usata.

I maiali domestici spesso venivano lasciati razzolare liberamente anche nelle città e si nutrivano di ogni tipo di rifiuti organici provenienti dalle cucine, mentre il maialino da latte era considerato una vera leccornia.

Come veniva consumata la carne di maiale ai tempi di Dante? Ce lo raccontano i tre soci che hanno lavorato su questo argomento, presentandoci tre ricette che vi stupiranno:

I riferimenti al cibo e alla cucina ritornano anche più avanti nel testo. Lessi sono i dannati dell’VIII cerchio delle Malebolge, i barattieri, colpevoli di aver usato le loro cariche pubbliche per arricchirsi a spese della comunità. Immersi nella pece bollente sono pungolati dai bastoni uncinati dei demoni alati e neri, che afferrano e straziano chiunque tenti di sfuggire alla pena eterna.

Michela Rossi del blog “Cucino in casa” ha lavorato su questo tema e ci racconta la ricetta medievale Per haver ogni carne bella allesso tratta dal Libro de arte coquinaria di Maestro Martino.

Nel Purgatorio, Dante incontra altri golosi: si tratta di papa Martino IV che purga per digiuno / l’anguille di Bolsena e la vernaccia (Pur. XXIV, 23-24) e Forese Donati particolarmente ghiotto delle pernici (o starne).

Ancora nella seconda Cantica, nella cornice dei golosi, c’è anche Ubaldino degli Ubaldini che mastica a vuoto per la gran fame. Appartenente a una potente famiglia fiorentina, era detto Ubaldino della Pila perché signore del castello della Pila in Val di Sieve ed era noto ai suoi concittadini per l’abitudine di trascorrere gran parte delle sue giornate fra osterie e bordelli, cedendo invariabilmente alle tentazioni del cibo, delle bevande e delle donne.

Secondo il filologo Ezio Levi l’Anonimo cuoco Toscano del Trecento si riferisce proprio a lui quando parla “De’ crispelli, ovvero le frittelle Ubaldine”, ricetta che ha rifatto per noi Antonio Caddeo.

Dal giorno dell’esilio, Dante non rivide più la sua patria e provò sulla sua pelle quello che fece dire al trisavolo Cacciaguida nel canto XVII del Paradiso:

“Tu proverai sì come sa di sale

lo pane altrui, e come è duro calle

lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.”

Pier Mario Giua di “Pier in cucina per passione” ha realizzato per noi il vero pane toscano.

La statua di Dante a Firenze
Foto di Waltteri Paulaharju da Pixabay

Cosa si mangiava nel Medioevo

Il Medioevo è un periodo storico lunghissimo della durata di oltre mille anni. I ricettari che parlano della cucina medievale risalgono al periodo rinascimentale e gettano luce sulla cultura eno-gastronomica del basso medioevo. Molto meno si sa della cucina alto-medioevale.

I ricettari presentano molte differenze rispetto a quelli che abbiamo nelle nostre case: elencavano solo gli ingredienti da utilizzare, senza le quantità e senza indicare le temperature e i tempi di cottura, che in genere erano scanditi dalle preghiere.

La difficoltà del lavoro delle associate e dei soci che hanno partecipato a questa tappa di Heritage è stato proprio quello di cucinare un piatto medievale sulla base delle scarne indicazioni contenute nel ricettario.

I cereali

A prescindere dalle differenze tra i ceti sociali, dalle differenze regionale e dai periodi (frequenti erano le carestie) alla base dell’alimentazione c’erano i cereali che si consumavano non solo panificati ma soprattutto sotto forma di zuppe, minestre, farinate e polente.

Certamente si consumavano cereali disponibili in loco, come segale, spelta, orzo, grano saraceno, miglio, avena e sorgo.

Una delle portate più comuni di un pasto medievale, sia che si trattasse di un banchetto che di un semplice spuntino, erano le zuppe.

Le più semplici consistevano di norma in un po’ di brodo in cui veniva inzuppato del pane raffermo. I ricettari medievali ci hanno tramandato anche ricette più elaborate che vedevano tra gli ingredienti, oltre ai cereali o al pane raffermo, anche pezzi di carne, verdure, formaggio, uova che venivano fatti rinvenire in un liquido come il latte di pecora o capra, o il brodo, o addirittura il latte di mandorle.

  • Miria Onesta di “2 Amiche in cucina” ha rifatto per noi la ricetta Del farro di spelta
  • Lucia Antenori di “Quella lucina nella cucina” si è cimentata nella ricetta di Porri e uova
  • Stefania Mighela di “La Gianduiotta ai fornelli” ci propone la Zuppa di pere e cipolle
  • infine, Calogero Rifici di “Peperoncini e dintorni” ci ripropone la Zuppa di porri

Verdure e legumi

Se i cereali rappresentavano la base dell’alimentazione, le verdure e i legumi erano anch’esse cibi molto comuni. Gli ortaggi erano consumati quotidianamente da contadini e manuali.

Il ricettario dell’Anonimo Toscano del Trecento si apre con un numero consistente di ricette che prevedono una verdura come ingrediente principale: cavoli, finocchi, asparagi, lattughe, fino al meno comune senecione e ancora legumi e funghi, inseriti pure essi tra le verdure.

I porri e le cipolle dovevano essere piuttosto comuni sulle mense del tempo, visto che l’Anonimo Toscano riferisce ben 6 ricette. Oltre alle zuppe di cui sopra, vi invitiamo a rifare con noi due ricette a base di questo fantastico ortaggio:

  • la ricetta dei Porri fritti riprodotta da Antonella Eberlin di “Cucino io”
  • e la ricetta dei Porri fritti di Quaresima in cui si è cimentata la nostra Marisa Trionfante del blog “Patata e fantasia”.

Stesso discorso vale per i ceci, di cui nel Libro della Cocina sono presenti 7 ricette, tra cui la ricetta dei Ceci di Quaresima che Vittoria Tassoni ha rifatto per noi.

La carne e le salse di accompagnamento

La maggior parte della carne che veniva consumata proveniva da animali domestici. La carne bovina non era diffusa come al giorno d’oggi. Molto più usata, come abbiamo visto, era la carne dei maiali domestici.

A differenza di quello che accade oggi, tutte le parti dell’animale venivano mangiate, incluse orecchie, muso, coda, lingua e interiora. L’intestino, la vescica e lo stomaco venivano impiegati per rivestire salsicce e salumi. Dal maiale si ricavava anche la sugna usata per friggere.

Il pollo era l’equivalente pennuto del maiale, ma ogni uccello poteva essere cacciato: cigni, pavoni, quaglie, pernici, cicogne, gru, allodole. Ecco tre ricette a base di pollo che ci provengono direttamente dal medioevo:

La selvaggina era molto popolare, almeno sulla tavola di chi poteva permettersela. Tante sono le ricette contenute nei manuali medievali su come cucinare fagiani, starne, colombi, lepri, caprioli, cinghiali. Due socie hanno lavorato su questo tema e ci propongono due ricette.

Si faceva naturalmente un grande uso di erbe aromatiche e spezie, di derivazione orientale e costose, sia per conservare il cibo che per ostentazione. Per accompagnare carni e pesci venivano realizzate delle salse, alternativamente forti come l’agliata oppure moderatamente acide o agrodolci per stimolare il palato e facilitare la digestione.

La salsa agliata era consueta e diffusa dato che ce ne sono arrivate diverse ricette. Michelangelo Mascellaro del blog “Cibo e Leggende” ha rifatto la salsa agliata bianca a base di mandorle, aglio e zenzero che l’autore del Liber de coquina consiglia di servire con pesci grassi come il merluzzo.

Certamente più delicata era la salsa di more contenuta nel Liber de arte coquinaria che ci presenta Giulia Lafavia del blog “Sweet and Salty Corner”.

I sapori dolci

La cucina medievale non prevedeva la portata del dolce, sia perché lo zucchero era un prodotto costosissimo sia perché nelle ricette che sono giunte fino a noi c’è spesso una commistione di ingredienti dolci e salati.

Per riferirsi al sapore dolce Dante parla del fico e del dattero oppur del miele. In generale, per conferire ai piatti un sapore dolce si usavano le mele, la frutta secca, i vini dolci, i mosti anche cotti.

Nei banchetti eleganti potevano essere offerte, all’apertura del banchetto o in chiusura, preparazioni dal sapore dolce che si gustavano bevendo vini aromatizzati come l’ippocrasso (un vino rosso aromatizzato con cannella e zenzero) o vini passiti come la Malvasia.

  • Gabriella Rizzo di “Homework & Muffin” ha recuperato la ricetta del Nucato, mele bollito co le noci
  • Serena Bringhelli di “Cucina Serena” ha riscoperto la ricetta De pomi arrostiti
  • Paola Sartori di “Prelibata” ci parla del vino passito che concludeva i pranzi di festa

I vini nel Medioevo

L’uso di bevande alcoliche nel Medioevo era molto diffuso visto che l’acqua potabile non era sempre disponibile. Vino e birra erano largamente consumati, con una prevalenza dell’uno o dell’altro a seconda delle zone di produzione.

Al tempo di Dante il vino era a disposizione sulla tavola di tutti: dal contadino al monaco, dallo studente al ricco signore. Stando ai consigli di moderare il consumo di vino da parte dei medici, è probabile che la quantità individuale consumata fosse ben superiore a un litro al giorno. C’è poi da dire che le bevande alcoliche erano considerate alimenti, e spesso venivano mischiate con spezie, uova o formaggio.

Quello che differiva era la qualità del vino che arrivava sulle tavole. Il popolino delle città e i contadini erano costretti ad accontentarsi di vinelli ottenuti con la spremitura dei residui dell’uva già pigiata più e più volte. Con la prima pigiatura si ottenevano i vini più raffinati e costosi, riservati alle classi superiori e abbienti. Con la seconda e la terza pigiatura si producevano invece vini di qualità inferiore e un tasso alcolico più basso. I più poveri dovevano accontentarsi della quarta pigiatura, che altro non era che aceto annacquato.

Nella Divina Commedia Dante non accenna mai alla birra, ma solo a acqua, vino e latte. Del vino dimostra di conoscere il processo di vinificazione e di saperne giudicare la qualità, ma anche la facoltà di obnubilare la mente.

Quale vino beveva Dante? Nella Divina Commedia fa espressamente cenno alla vernaccia, un vino di produzione ligure che già nel XIII sec. fu introdotto nel senese. Possiamo azzardare che quando fu ospite di ricchi signori abbia bevuto vini di prima qualità, come i vini passiti di cui ci ha parlato Paola o il trebbiano di cui ci parla Micaela Ferri del blog “Le ricette di Michi”.

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