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Pubblicazione: 21/04/2017
Da quando l’Unione Europea ha introdotto la denominazione di origine protetta, meglio nota con l’acronimo DOP, (marchio di tutela giuridica della denominazione che viene attribuito dall’Unione europea agli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti), in Italia sono stati inseriti nel riconoscimento del marchio DOP ben 42 tipi differenti di formaggi. Di questi, 14 sono formaggi lombardi.
La nuova conquista tra le DOP, assegnate nel 2016, per la Lombardia è lo Strachitunt o Strachitund, lo stracchino tondo, formaggio delle Prealpi Orobiche, frutto dell’ingegno e della straordinaria manualità dei casari della Val Taleggio, piccola valle afferente alla Valle Brembana in provincia di Bergamo, che per secoli si sono tramandati la ricetta di questo importante formaggio.
L’allevamento dei bovini da latte e l’attività casearia sono state, fin dai tempi remoti, le principali fonti di sostentamento della gente della Valle Brembana e in particolare di quella della Val Taleggio, una valle bella, ma sostanzialmente povera.
Secondo lo scrittore romano Strabone, durante la dominazione romana, gli abitanti di queste valli, per procurarsi il necessario alla vita, scendevano verso i centri abitati scambiando resina, miele e formaggio. Una produzione che pare abbia deliziato anche il palato del Duca di Milano.
Nel Seicento e, ancor più, nel Settecento, si ebbe indubbiamente un ulteriore sviluppo dell’allevamento che, oltre ai bergamini residenti stabilmente, coinvolse sempre più massicciamente i transumanti, coloro i quali, pur essendo originari della Valle, l’avevano abbandonata per scendere in pianura con il loro bestiame, ma che vi facevano regolarmente ritorno durante la stagione estiva. Sui pascoli alti facevano una consistente e diversificata produzione di latticini, tra gli altri gli stracchini, le formaggelle, i burri, le mascherpe e, soprattutto, i formaggi di monte.
Gli stracchini erano però quelli a cui i malgari si dedicavano nel breve periodo intermedio tra la discesa dall’alpeggio e la partenza per la pianura. Rappresentavano anche la produzione invernale di coloro che restavano permanentemente in paese con le loro bestie.
Dalla fine del Settecento si registrò anche un cambiamento notevole nella produzione casearia, a partire dall’abbandono della produzione estiva di formaggio di monte, forse perché faticosa da gestire e non più remunerativa. Tutto questo, a favore di una maggiore produzione di stracchini quadri, che nelle fiere gastronomiche, nazionali e internazionali, raccoglievano consensi e riconoscimenti e incontravano il favore dei consumatori. La richiesta di stracchino di Taleggio andava aumentando, al punto da determinare un cambiamento del suo nome, che in città diventò in breve, semplicemente Taleggio.
Accanto a un incremento della produzione degli “stracchini” ricompare, in quantitativi consistenti, una produzione che la tradizione orale locale chiama Strachì Tunt (stracchino tondo). Questo passaggio è testimoniato da una serie di documenti.
La produzione di Strachitunt, sicuramente rigogliosa tra il XIX e il XX secolo e, ancora consistente alla vigilia della Grande Guerra, subisce poi un calo notevole nel corso del conflitto per perdurare anche dopo, senza però sparire del tutto.
La grande rivoluzione del secondo dopoguerra, con l’industrializzazione, lo spostamento della popolazione verso i centri urbani, il boom economico e i mancati investimenti strutturali e infrastrutturali a sostegno delle attività di montagna, hanno così portato a una gravissima crisi delle comunità di altitudine, allo svuotamento dei paesi in quota, all’abbandono, o perlomeno al forte ridimensionamento delle tradizioni affinate nel corso dei secoli. La Valle Taleggio non è stata esente da questo tracollo. In pochi hanno resistito; pochi giovani hanno rinunciato ad attività capaci di assicurare un reddito più proficuo. Sempre meno hanno mantenuto l’attaccamento alle antiche tradizioni cercando di coniugarle in forma moderna adatta alle nuove esigenze e alle nuove richieste.
In seguito alle avverse vicende, il recupero di questo pregiato prodotto si deve essenzialmente a Guglielmo Locatelli, lo storico casaro che ha riscoperto e riportato in essere una tradizione eccelsa.
I figli, dopo la morte del padre, attualmente collaborano con il Consorzio Tutela Strachitùnt Valtaleggio, ancora oggi, conducono la Cooperativa Agricola S. Antonio di Vedeseta e custodiscono i segreti per la produzione di questo pregiato formaggio, che lo chef Vissani ha dichiarato essere “il miglior formaggio italiano”.
Viene prodotto secondo un rigoroso disciplinare, secondo il quale si utilizza il latte di vacche di razza Bruna Alpina, allevate per il 60% con i foraggi provenienti da pascoli del medesimo territorio. La lavorazione avviene a crudo, immediatamente dopo la mungitura, quando il latte è ancora a temperatura corporea -pochissimi formaggi al mondo sono ormai lavorati utilizzando questo metodo-, con due cagliate.
Durante la stagionatura minima di 75 giorni, si procede alla foratura delle due facce di ogni forma per favorire lo sviluppo di muffe, che non sono mai standard e uniformi, ma che possono variare da forma a forma.
Queste muffe conferiscono venature verdi-bluastre, un sapore aromatico e intenso, variabile da dolce a piccante, che può assumere connotazioni più pronunciate con il protrarsi della stagionatura.
Questo è un procedimento naturale di lavorazione, che non prevede alcuna aggiunta del penicillum, responsabile della formazione della muffa in altri famosi erborinati come il gorgonzola. Ogni forma è un piccolo capolavoro di artigianalità.
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