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Pubblicazione: 29/05/2023
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“What does Pope eat?” (“Cosa mangia il Papa?”) mi domanda spesso il turista dagli occhi a mandorla guardando tra lo stupore e la meraviglia la grandiosità di San Pietro.
La risposta è lunga e complessa, poiché il cibo è cultura, arte e territorio, una questione articolata se si pensa all’evoluzione delle tavole pontificie. Così rispondo cercando di essere breve e concisa sulle differenze storiche ed i cambiamenti che hanno portato ad una trasformazione gastronomica nel mondo pontificio.
Tralasciando la sobrietà che ha contraddistinto i papi degli ultimi anni, incluso l’astemio papa Francesco, fatta eccezione per papa Benedetto XVI che si definì un umile operaio nella vigna del Signore ed al quale fu effettivamente regalata una vigna non più esistente, concentro questo articolo nell’arco di qualche secolo, dove tra le contraddizioni tra corpo e anima, piacere della carne ed esaltazione di sensi, si contrappone l’ascesi e la pratica del digiuno intimamente legata a quella della castità.
Il peccato della gola, così simile a quello della lussuria, condannato da Dante e dai movimenti religiosi nel corso del Medioevo fino al primo Rinascimento, sembra trovare scarsa eco presso le corti dell’alto clero ed in quelle pontificie. I papi del tardo Medioevo e del Rinascimento erano grandi buongustai e buoni intenditori di vino, fatta eccezione per l’austero periodo quaresimale in cui anche il più godereccio pontefice deve cedere. In Quaresima si abbandonano le calde carni rosse e si preferiscono quelle più fredde e umide del pesce.
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Il vino, insieme al pane, è un alimento che non può mai mancare sulle tavole del Pontefice. Il suo valore simbolico è molto forte ed in diretta relazione con l’Ultima Cena di Gesù e l’istituzione dell’Eucarestia. Il vino è consacrato durante la messa affinché diventi realmente il sangue di Cristo offerto in sacrificio per l’umanità.
Il bianco d’Orvieto, noto come vino dei Papi, è stato uno dei protagonisti indiscussi nei banchetti pontificali. La sua fama attraversa i secoli tanto da essere utilizzato nel 1860 da Garibaldi e le sue truppe per un brindisi a Talamone prima della spedizione dei mille.
Martino IV è ghiotto di Vernaccia tanto da utilizzarla anche nella preparazione del suo piatto preferito: le anguille.
Tra i rossi il Cesanese del Piglio, vitigno autoctono del territorio laziale, particolarmente apprezzato da papa Bonifacio VIII nativo di Anagni non lontano dai vigneti in cui è prodotto il celebre vino.
Papa Paolo III Farnese si rivela un buon conoscitore del vino, preferisce i rossi ai bianchi anche se non li disdegna. È il primo a legittimare la professione del Bottigliere.
La tavola ha sempre indicato una sorta di sacralità, una condivisione in cui ci si trova insieme a condividere pietanze di cibo appositamente preparate per essere consumate durante i pasti. A maggior ragione l’aspetto sacrale si carica di significato simbolico quando si parla di tavole pontificie.
Per secoli i papi hanno mantenuto vivo l’aspetto liturgico e sacrale del cibo e del vino a memento di quanto aveva già fatto Cristo con i suoi apostoli. Nella tavola si rivive il sacrificio della messa e come nelle celebrazioni il pontefice è affiancato da sacerdoti e diaconi, così alla sua mensa non possono mancare personaggi che rendono sacro il pasto.
La mensa dei papi vede la presenza di addetti alla preparazione dei cibi: credenzieri, bottiglieri, scalchi e trinciatori le figure più importanti per ricoprire tali incarichi. Si tratta di uomini di alto lignaggio, provenienti dalla nobiltà, capaci di esprimere gusto e grazia anche nel semplice taglio di una fetta di carne o nell’assaggio preventivo del vino.
Sapete che Leone X de’ Medici nel 1515 ha istituito la “Compagnia dei cuochi” presso la celeberrima chiesa di San Luigi de’ Francesi? Il papa pone cuochi e pasticceri sotto la protezione della Vergine e la messa della Compagnia è celebrata presso la Cappella dell’Annunciazione.
Ma quali sono le pietanze che vengono servite al Pontefice e quali vini sono solite accompagnarle?
Per rispondere a questa domanda occorre tener presente alcuni elementi che variano in base al periodo storico, al territorio e all’ambiente e, soprattutto, alle cadenze liturgiche. La mensa di Gregorio Magno è molto diversa da quella di Paolo I, a sua volta diversa da quella di Alessandro VI o di Giulio III. Col cambiare del periodo storico, cambiano anche le tendenze alimentari ma tenendo sempre conto del rigido protocollo che vincola i periodi liturgici forti, come la Quaresima, o semplicemente l’aspetto penitenziale dei cardinali elettori convocati per l’elezione del nuovo Pontefice.
Caravaggio, Cena in Emmaus
Nei primi secoli del Cristianesimo i pontefici si cibano essenzialmente di legumi, non perdendo di vista quanto era già presente nella cucina tradizionale romana. Alcune ricette risalenti al tempo di Papa Clemente I (92-99 d.C) mostrano zuppe di legumi accanto ad abbacchio marinato in aceto con bacche di mirto e foglie di alloro ed aggiunta di un bicchiere di vino bianco. La coratella in casseruola, piatto tipico romano, era già presente sulla mensa del già citato pontefice.
San Gregorio Magno (590-604 d.C.) uomo forte e timorato di Dio, dedito all’istituzione delle mense dei poveri e creatore del Canto Gregoriano, si alimenta con zuppe di cereali e fave, cibandosi del Crescione in tempo di Quaresima e celebrando le festività con torta in sfoglia di ciliegie.
Nel corso del lungo periodo medievale e del periodo dei papi nella residenza di Avignone sono introdotti alcuni cibi non presenti nei periodi precedenti. A differenza del resto della popolazione, della quale sappiamo ben poco come abitudini alimentari, l’alto clero provenendo dai ranghi dell’alta aristocrazia può permettersi buon vino e cibo ricercato.
Una pietanza particolarmente amata, soprattutto nel periodo di Quaresima, è l’anguilla tanto da essere chiamata il “cibo del prelato”. Il pesce destinato alle mense pontificie proviene dal lago Trasimeno o da quello di Bolsena. Papa Martino IV (1281-1285), noto buongustaio e bevitore di Vernaccia tanto da meritarsi un posto nel girone dei golosi nel Purgatorio dantesco, è talmente ghiotto di anguille da mangiarle in diversi modi: in spiedini o in pasticci, in torte con spinaci o arrosto annaffiate con abbondante Vernaccia.
Come molti nobili signori medievali anche i Papi amano cibarsi di cacciagione quando non sono loro stessi ad avventurarsi nei boschi in cerca di prede. Così il noto Bonifacio VIII (1294-1303), promotore del Giubileo del 1300 e ultimo papa prima della cattività avignonese, accanto alle quaglie ripiene allo spiedo o al piccione alle mandorle non vuole manchi mai il vino rosso del proprio territorio: il Cesanese del Piglio.
Come già accennato, lo spostamento del papato ad Avignone sebbene continui a sussistere anche un papato romano, determina un cambiamento culinario sulle mense dei pontificali. Pietro Roger monaco benedettino francese asceso al Soglio di Pietro col nome di Clemente VI (1342-1352), si distingue oltre che per la notevole cultura, per lo splendore della corte avignonese all’interno del superbo palazzo che ancora oggi occupa il centro della città, per l’impareggiabile preparazione della sua sfarzosa tavola. Buongustaio e buon bevitore è solito organizzare banchetti con ben trentasei portate accompagnate dal vino rosso Châteauneuf de Pape. Tra le pietanze offerte ai propri commensali spiccano: formaggi, lepri allo spiedo, tortelli in erbe di Provenza, capponi arrostiti. I dolci non sono da meno: torta di albicocche e soave di melone e albicocche. Si racconta che per la sua incoronazione, avvenuta nel 1342, il pontefice dispose la preparazione di ottantamila torte da offrire alla propria corte ed al popolo.
La scoperta del nuovo mondo e l’importazione di prodotti sconosciuti in Europa cambia la tavola e lo stile alimentare dell’alto clero e della nobiltà. L’acquisto di nuovi prodotti: pomodori, patate, fagioli, cacao, tacchino, ananas, peperoncino fa risaltare la ricchezza, una sorta di status symbol delle classi dominanti che possono permettersi questi cibi. In molti affreschi del Cinquecento compaiono festoni ricchi dei nuovi prodotti, simbolo dello sfarzo e della gloria del committente. A queste “novità” importate si aggiungono pietanze che pontefici di origine straniera introducono sulle tavole italiane.
Sono note le tavole imbandite di Paolo II (1464-1471) che oltre ad essere un uomo colto ed esteta raffinato, non disdegnava la buona tavola, anzi desiderava che le pietanze fossero arricchite di spezie: zafferano, chiodi di garofano, zenzero, pepe e cannella. Si narra che morì per aver mangiato troppo melone.
Il temibile e lussurioso Alessandro VI Borgia (1492-1503) introduce gusti e sapori della sua terra nativa, l’Aragona. Pur prediligendo i gusti dolci e confettati, come la confettata al miele composta da miele, mandorle, noci nocciole, un pizzico di zenzero e succo di limone non disdegna sapori forti e insoliti. Le carni sono spesso condite con la salsa aragonese, una sorta di miscela di spezie: zafferano, pepe nero, pepe lungo, chiodi di garofano, noce moscata diverse unite al miele vino con aggiunta di vino bianco bollito e lasciate amalgamare. Ci fa riflettere un’insolita ricetta: le ostriche alla brace, se pensiamo che oggi le mangiamo crude condite col limone, all’epoca si mangiavano ben cotte se non quasi bruciate.
I-Borgia-a-tavola
Tra i tanti pontefici del Rinascimento, un posto particolare spetta a Paolo III Farnese (1534-1549) non solo perché ha commissionato il “Giudizio Finale” della Cappella Sistina a Michelangelo ma perché è stato anche il primo a riconoscere il ruole del bottigliere, una sorta di Sommelier ante litteram.
Il Pontefice è infatti un esperto di vini, tra i rossi apprezza il Montepulciano, ritiene il San Gimignano come un amico fedele, apprezza i vini di Albano e di Castel Gandolfo. Il suo bottigliere di fiducia è Sante Lancerio. I suoi piatti preferiti? La cacciagione: anatre, allodole e starne ma apprezza anche la tacchina arrosto ripiena di carni di vitello, prosciutto, uvetta, fondi di carciofo già cotti e un pugno di menta e prezzemolo. Alla morte del pontefice, avvenuta nel 1549, segue un lungo conclave in cui i cardinali elettori sono allietati dalle delizie di Bartolomeo Scappi, celebre gastronomo e cuoco considerato il Michelangelo della cucina. Scappi ci ha lasciato la descrizione di una serie di leccornie che hanno accompagnato il lungo conclave concluso solo nel 1550 con l’elezione di papa Giulio III ma questa è tutta un’altra storia.
Bibliografia
Hilde Ponti “Alla mensa dei pontefici segreti e virtù delle corti papali” ed. Palombi 2017
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