La scarcella

ph, Valentina Venuti

Pubblicazione: 13/03/2016

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Giornata Nazionale della scarcella

Ambasciatrice Valentina Venuti per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Il cibo lo sappiamo, non risponde solamente a necessità fisiologiche, ma è anche fonte primaria di nutrimento dell’anima.
Per usare le parole del prof. Alberto Capatti, “(..) masticando ed inghiottendo cibo, non si ricava solo un apporto energetico in nutrienti, ma nello stesso tempo si elaborano idee, immagini, persino suoni e memoria: insomma, tutto ciò che comunemente è chiamato gusto, rappresenta non solo la cultura gastronomica ed alimentare in senso stretto, ma la cultura di un tempo e di un luogo, filtrata attraverso le caratteristiche personali o psicologiche dei singoli individui o dei gruppi sociali che adempiono alla necessità del nutrimento.”
Quindi le preferenze alimentari, così come i codici del gusto, oltre che dalle idiosincrasie individuali, sono condizionate dal valore simbolico dei cibi nella propria società di appartenenza, risultato dell’incontro tra una materia ed una forma che ha valore simbolico, come nel caso della scarcella.
La scarcella è un dolce pasquale pugliese conosciuto anche con i nomi di scarcedda, cuddura o puddhica, diffuso però nelle sue diverse varianti in tutto il meridione.
“In alcune zone intorno a Lecce, ma anche nel brindisino e nel tarantino la cuddura è chiamata puddica dal deverbale puddicare che è il lavorare la pasta coi pugni, premendo col pollice (pollex); mentre nel barese, ma anche in alcuni centri del brindisino e del tarantino, è detta scarcedda, avendo questo pane dolce con l’uovo nel centro la forma di una borsa per denaro (cfr. it. scarsella e fr. escarselle).”

Secondo quanto ci racconta Emanuele Lenti, pasticcere della Pregiata Forneria Lenti di Grottaglie, l’origine della scarcella è salata. Nasce come impasto di farina di grano duro, olio extravergine di oliva, pepe, lievito e sale, ingredienti di facile reperimento in tutte le case per una ricetta casalinga povera che veniva tramandata da madre a figlia. Un impasto che si prestava anche ad essere riciclato: oltre alle scarcelle infatti, ci si ricavavano anche le piddìche, dalle forme fantasiose o di ciambelle e le passolate, rotoli di pasta ripieni di uva passa di Primitivo.
Nel corso degli anni, con la diffusione dello zucchero soprattutto, nelle famiglie più benestanti la scarcella diventa anche dolce: viene realizzata con pasta frolla, decorata con codette colorate e, in alcuni casi, ricoperta da zucchero fondente (scileppo), quindi decorata con motivi pasquali e quasi sempre con uova di gallina o di cioccolato.

La cuddura (dal greco mod. kolliùra) è un grosso tarallo o dolce di pasta frolla, intrecciato o no, cotto nel forno, con una o più uova sode in numero dispari, nel mezzo o tutt’intorno, che una volta si consumava solo il lunedì dopo Pasqua oppure il giovedì . Le uova solitamente erano presenti in numero dispari, 5 o 7 o 9 o 11 o 17 o 21, perché i numeri in caffo hanno virtù propiziatoria e procurano prosperità e fortuna, essendo graditi agli dei…numero deus impari gaudet. Anche l’origine di questa tradizione forse è pagana e continuerebbe l’usanza che avevano le cestefore di portare oggetti mitici dinanzi alle statue di Cerere e di Proserpina nelle processioni di febbraio, luglio e novembre, come pagano era l’uso di mangiare, il 17 marzo, nella sagra di Libero Bacco (Liberalia) l’uovo sodo, immagine del mondo, inizio di tutte le cose.”

Originariamente la scarcella aveva dunque la forma di tarallo intrecciato, una forma circolare quindi, simbolo universale antichissimo collegato con il movimento della terra e degli astri, associata anche all’idea del mondo e del destino umano. Una sorta di emblema del movimento e del divenire orientato verso la chiusura del passato e l’attesa del futuro, a rappresentare la fortuna.
Questo simbolo ricorre nella nostra cultura, per esempio sono circolari i rosoni che si trovano sulle facciate delle chiese romaniche e gotiche, come anche nelle iconografie orientali con analoghi significati di circolarità e di movimento: i mandala, figure geometriche di forma circolare che hanno scopo protettivo e propiziatorio, servono per la concentrazione ed esprimono sempre la totalità.

In questo contesto trova una sua “logica” anche la presenza dell’uovo: forse per la sua forma e sostanza molto particolare, ha sempre rivestito un ruolo unico, quello del simbolo della vita in sé, ma anche del mistero, quasi della sacralità.

Già al tempo del paganesimo, in alcune credenze il Cielo e la Terra erano ritenuti due metà dello stesso uovo e le uova erano il simbolo del ritorno della vita: gli uccelli infatti si preparavano il nido e lo utilizzavano per deporre le uova, segno che l’inverno ed il freddo erano ormai passati.
Anche i Greci, i Cinesi ed i Persiani si scambiavano le uova come dono per le feste Primaverili, così pure nell’antico Egitto, dove erano scambiate all’equinozio di primavera, data di inizio del “nuovo anno” quando ancora l’anno si basava sulle le stagioni.
In seguito, con l’avvento del Cristianesimo, le uova vennero associate per secoli alla primavera, divennero simbolo della rinascita non della natura ma dell’uomo stesso, della resurrezione del Cristo che uscì vivo dalla sua tomba, come un pulcino esce dell’uovo.

La scarcella rappresentava il tradizionale dolce pasquale dei poveri, che veniva regalato ai più piccoli nelle diverse forme con le quali poteva essere realizzata, diventando un gallo caddhuzzu per i maschietti, una bambola pupa per le femminucce, oppure il cestino panareddhu.
La pupa è una cuddura a forma di bambolina con le treccine di pasta, con due chicchi di caffè e due acini di pepe al posto degli occhi, grani di riso e senape al posto della bocca e del naso. Ha le braccia incrociate nell’atto di portare un uovo sodo che fa capolino dalla pancia; mentre il campanaru ha forma cilindrica e due uova alla base. Non manca chi ancora si diverte ad ornare agnelli, galletti e colombe con nastrini colorati o con ritagli di panno rosso tagliuzzato (viddusi, “vellosi”) al posto di creste o di ali.
La scarcella a forma di cuore era invece il regalo prediletto tra gli innamorati: un secolo fa le giovanette erano solite donarle ai fidanzati nel giorno di Pasqua e le massaie salentine si riunivano per prepararne in grandissime quantità, mettendo insieme gli ingredienti che ognuna aveva a disposizione e trascorrendo così anche una giornata in compagnia.  Nel barese invece non era la fidanzata a regalare la scarcella al fidanzato ma la futura suocera che la donava alla futura nuora come dono benaugurante. Più uova conteneva la scarcella e più l’augurio era sentito e propizio. Inoltre le nonne usano ancora regalare la scarcella ai nipotini, le uova tradizionali di cioccolato sono un’usanza più pagana. Come le nonne, nelle famiglie c’era sempre una zia zitella ed anche questa era solita regalare ai nipotini la scarcella.

Intorno a queste usanze sono nati modi di dire, leggende e proverbi. Anticamente, ad esempio, per indicare che a volte muoiono prima i giovani dei vecchi, si usava dire “Se ne vannu prima le cuddure ca lli panetti”.

La scarcella dolce

Ingredienti
g 500 di farina
g 200 di zucchero
3 uova
100 g di olio extravergine o strutto
g 8 di cremor tartaro*
g 50 di latte
un pizzico di bicarbonato di sodio
un pizzico di sale
1 limone, la scorza grattugiata
Per decorare:
uova naturali o colorate**
Per spennellare:
1 uovo
* Si può utilizzare anche il bicarbonato d’ammonio (o ammoniaca per dolci), che è un agente lievitante utilizzato nella pasticceria soprattutto in meridione, con un potere lievitante minore rispetto al classico lievito chimico, che quindi viene usato nei prodotti come crostate e biscotti dove non serve una grande lievitazione.
Il bicarbonato di ammonio aiuta ad ottenere un prodotto finale più dorato: decomponendosi completamente non influenza il pH finale del prodotto, ma è l’alcalinità dell’ammoniaca ancora disciolta in acqua, che porta, nella fase iniziale ad un aumento temporaneo del pH favorendo così la nota reazione di Maillard.
** Le uova possono essere anche colorate con coloranti naturali: cavolo rosso, barbabietole, spinaci, zafferano, vino rosso.
Fate bollire mezz’ora l’acqua con i vegetali, lasciate raffreddare ed aggiungere due cucchiai di aceto. Mettete le uova nella pentola, e fate bollire a fuoco basso per 10-12 minuti.

Procedimento:
Formate con la farina setacciata con il cremor tartaro ed il bicarbonato una fontana ed al centro ponetevi le uova, lo zucchero, il sale e la buccia del limone.
Iniziate ad impastare e poco dopo aggiungete l’olio ed il latte, regolandovi sulla quantità, fino a quando otterrete un composto liscio e ben sodo, che non sia troppo morbido, ma ben lavorabile.
Avvolgete il panetto nella pellicola e lasciate riposare 30 minuti.
Stendete l’impasto ad uno spessore di circa ½ cm e ritagliate le forme a piacere, decorando con le uova (possono essere sia sode che crude lavate con acqua bollente) e con degli intrecci.
Ponete le forme su una teglia coperta da carta da forno, spennellate con l’uovo sbattuto e decorate con gli zuccherini colorati.
Cuocete in forno caldo a 180°C per un tempo che dipenderà dalle dimensioni delle forme, in ogni caso fino a doratura.

Fonti:
Antonio De Tommaso – titolare con il fratello Piero di DOLCE FORNO, a Torre Santa Susanna in provincia di Brindisi.
www.emiliopanarese.altervista.org
www.albertodatanasio.com
www.gastronauta.it

Partecipano come contributors:

Lidia Mattiazzi, La Scarcella Pasquale 
Valentina Venuti, la Scarcella

2 commenti

  1. Le tue sono decisamente più carine delle mie, che in quanto a pasticceria da decorare non sono granchè. MI è piaciuto però molto prepararle e conoscere ancora di più del tuo post davvero completo.
    grazie,
    Lidia

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