I crostini

Pubblicazione: 30/03/2016

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Giornata Nazionale dei crostini

Ambasciatrice Ottavia Bielli per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

APPUNTI DI VIAGGIO DI UN CROSTINO ERRANTE.

I suoi antenati trovano gli albori ai tempi degli antichi romani, quando i cibi venivano serviti in tavola su grandi fette di pane che fungevano da piatti e che, a fine pasto, erano “abbandonate” al lavoro della servitù proprio come accade per i tradizionali servizi di stoviglie.
Solo che, spesso e volentieri, queste gustose fette di pane, arricchite dagli intingoli generosamente donati dalle pietanze pocanzi assaporate, erano avidamente consumate dagli affamati inservienti… una sorta di inconsapevole scarpetta insomma.
Quando poi nel Medioevo il cibo iniziò a essere servito in porzioni individuali, l’abitudine del crostino non venne meno ma anzi, diventò l’abitudine ideale per non sprecare nulla e il modo migliore per consumare fino all’ultima briciola di pane, sostentamento fondamentale per le famiglie meno abbienti: inzuppato di brodo o di vino, perché spesso era piuttosto duro, veniva ricoperto con un trito preparato con le parti meno pregiate degli animali.
Ma anche i ricchi signorotti, che non dovevano certo far di necessità virtù, iniziarono a gustarsi i crostini per il semplice piacere di farlo e diedero così il via alla tradizione culinaria dell’antipasto che si diffuse ben presto anche nelle altre corti europee.
Quando havrete fatte le fette del pane nel modo della rignonata et abbruscate, mettetetele a soffriggere con butiro, rivolgetele una volta, distendete le fette nella padella, et mettetevi per ciascuna una fetta sottile di provatura fresca; mettasi di sopra il coperchio caldo, e come la provatura sarà risolata, spruzzivisi u poco di acqua rosa, et mettavi di sopra il zuccaro et cannella; cavate poi, mandatele in tavola, et sopra tutto operate che si mangino calde.”
“Quando avete preparato le fette di pane e le avrete tostate, le passate, in un tegame, nell’olio caldo. Una volta disposte in padella e fatte rosolare da ambo le parti, coprite ogni fetta con una fetta sottile di provatura fresca. Coprire con un coperchio riscaldato, e, non appena il formaggio sarà fuso, cospargere con qualche goccia di acqua di rose. Poi cospargere di zucchero e cannella. Aspettate qualche istante, poi servire in tavola, e mangiate i crostini ancora caldi.”

“Fate bollire […] la sommata. La gota [guanciale] di un porcastro giovane bisogna che sia mezza cotta. Pigliate un pan tondo e basso, spartito per la metà, e una fetta di lardo[…], tagliate la sommata in fette, mettetela sul pan unto, tagliatela sottile e si mangi con aceto forte e spezie dolci.”
“Fate bollire […] la lonza. Il guanciale di un maiale giovane deve essere mezzo cotto. Prendete del pane tondo e basso, tagliato a metà, e una fetta di lardo […], affettate la lonza, mettetela sul pan unto, mangiate con aceto forte e spezie dolci tagliato sottilmente.”

Fu però Domenico Romoli, soprannominato guarda caso il Panunto (pane e olio), con la sua “Singolar Dottrina”, enciclopedia del sapere enogastronomico e della sua splendida arte (edita in quel di Venezia nel 1560) che segnò un vero e proprio punto di svolta nella cucina rinascimentale, a metter su carta le prime idee sul come e con cosa preparare un buon crostino, che potesse essere apprezzato di buon grado assaggio dopo assaggio.
E come dare torto alle sue parole davanti a una fetta di pane abbrustolito arricchito con un’irresistibile provatura filante o da un’invitante fetta di guanciale dorato?

PANUNTO CON PROVATURA FRESCA: la ricetta.

Secondo la ricetta tradizionale è d’obbligo usare la Provatura.
Il nome nasce dalla sua genesi: la Provatura è infatti la prova, vale a dire la parte che viene ricavata dalla massa di formaggio per testare la qualità della filatura della pasta.
La prima traccia scritta di questo alimento, forse troppo poco conosciuto, è giunta a noi grazie a un documento risalente al XII secolo ritrovato nell’Archivio Episcopale di Capua.
Formaggio fresco originariamente a base di latte di bufala (oggi, anche se difficile da reperire, è perlopiù preparato con latte vaccino), la Provatura molto non dista dalla classica e ben più conosciuta mozzarella se non per il luogo di origine, dal momento che viene prodotta nelle vicinanze di Roma.

“Si fanno quelle palle legate con giunchi che qui si chiamano mozze e a Roma provature.”
Sfogliando una monumentale opera medica salernitana, più volte ripubblicata nel ‘500, appare quindi chiara e certa la distanza dei luoghi di produzione tra la ben nota “donna” Mozzarella e la sua affine, benché meno conosciuta, “sora” Provatura.

Ingredienti per 4 persone:
8 fette di pane
8 fette di provatura (o mozzarella)
olio extra vergine di oliva q.b.
zucchero q.b.
cannella q.b.
acqua di rose q.b.

In una padella di alluminio scaldare tre giri di olio extra vergine di oliva.
Aggiungere le fette di pane e far dorare da entrambi i lati.
Coprire il pane con una fetta di provatura fresca e, a fuoco spento,chiudere con un coperchio caldo.
Quando la provatura si sarà sciolta spolverizzare con un poco di zucchero e cannella.
Completare con una leggera spruzzata di acqua di rose prima di servire.

Un viaggio tra le bontà del territorio italiano.

Ma veniamo ai nostri giorni, a questa fetta tostata che in giro per l’Italia si “veste” dei prodotti del territorio e incalza la fantasia di chi si appresta a prepararla, dal momento che la varietà vale tanto per il condimento quanto per il tipo di pane usato (rustico, casereccio, siciliano, toscano, frisella)… il sacchetto che ci sporge il panetterie dal bancone può essere meglio del cilindro di un mago!
Crostino, se si tratta di un tondino di pane tostato guarnito con salse e condimenti vari, o bruschetta, se oltre al pane tostato ha come ingredienti di base olio e aglio (talvolta anche il pomodoro): quel che è certo è che si tratta di un antipasto assai gradito sulle tavole italiane, che ha saputo superare lo scarso valore in origine attribuito alla sua preparazione che è rimasta, per fortuna e gioia dei nostri palati, immutata e salda con lo scorrere del tempo.
Voglia di gustare i sapori della nostra bella Italia in valigia e via, comincia il viaggio!

Dopo una passeggiata lungo i chilometri e chilometri di portici torinesi, non rinunciate a starvene un po’ seduti ai semplici tavolini di un’accogliente piola, tipica osteria piemontese dove si mangia in compagnia di una risata e di un bicchiere di buon vino rosso, a gustare i tipici crostini a base di burro, aglio, prezzemolo e acciughe, senza l’immancabile invito a ordinare un piatto di fumante Panissa (piatto di origine vercellese a base di riso Arborio, fagioli di Saluggia o Villata, lardo, salam d’la duja, Barbera, sale e pepe), che ben si sposa con i sapori del crostino alla piemontese, ancor più se accompagnata da un’ottima Barbera oppure a un vino delle Colline novaresi o delle coste del Sesia.

CROSTINI ALLA PIEMONTESE: la ricetta

La ricetta si potrebbe definire del “q.b.”, in cui quel che serve non è certo una bilancia di precisione ma il buonsenso, l’appetito e il gusto personale.

Ingredienti per 4 persone:
8 fette di pane
acciughe o alici q.b.
aglio q.b.
prezzemolo q.b.
burro q.b.
olio extra vergine di oliva q.b.
tartufo bianco (facoltativo) q.b.

Tritare con l’aglio e il prezzemolo qualche filetto di acciuga.
Ripassare il trito in padella con qualche giro di olio extra vergine di oliva e qualche tocchetto di burro.
Nel frattempo tostare le fette di pane in olio extra vergine di oliva ben caldo fino a quando saranno ben dorate e croccanti.
Spalmare il condimento di prezzemolo, aglio e alici sui crostini.
Per un tocco davvero pregiato profumare con scaglie di tartufo bianco.

Durante il freddo inverno, provate la meraviglia di trascorrere piacevoli momenti in un rifugio trentino, alla vista delle cime innevate, che si accompagnerà magnificamente al piacere di assaporare i gusti decisi della cucina di montagna, quella vera e autentica, che sa di malga e allevamento davanti a un tagliare di fette di pane tostato arricchite con cipolle stufate, fette di speck e formaggio stagionato nel fieno.

Se un amico veneziano, dopo avervi deliziato dello splendore riflesso di una città dalle suggestioni uniche, vi proporrà un “giro di ombre”nei bacari (locali tipici che offrono vini alla mescita e una convivialità unica fatta di amici noti o conosciuti sul posto) fatto di “bicierin de vin” e “cicheti” (così vengono chiamati gli stuzzichini tipici del posto), non fatevi scappare di assaggiare il celebre baccalà mantecato alla veneziana spalmato su fette di polenta abbrustolita.

In una calda giornata estiva, concedetevi di accomodarvi a uno dei piccoli tavolini di una piazzetta genovese, dopo aver speso qualche ora tra gli ombrosi e stretti “caroggi” della città, per gustare, tra le note evocative e viscerali di “Creuza de ma”, un crostino che tra ricci, vongole e ostriche avrà tutto il profumo del mare e il sapore inconfondibile del pesce fresco appena pescato.

Se potete pregiatevi del lusso di rigenerare corpo e mente trascorrendo alcune giornate nella pace unica della campagna toscana, all’ombra degli alberi che incorniciano un casolare di mattoni, sarete sicuramente coinvolti dall’arte dell’improvvisare, dalla gioia di vivere momenti di piacevole convivialità davanti a un buon bicchier di Chianti e a un vassoio di semplici crostini al cavolo nero, varietà dalle lunghe foglie bitorzolute e dal gusto forte, oppure di crostini dal sapore intenso e deciso se spalmati con patè di fegatini, antipasto per antonomasia, che sa di cucina contadina, quella in cui nulla deve andar sprecato, e di tradizione fatta di quelle sfumature svariate e preziose che ampliano la gamma delle possibili combinazioni di gusto capaci di arricchire ogni palato desideroso di scoprire.

Durante la visita che, almeno una nella vita, la nostra bella Capitale si merita, non perdetevi l’occasione di gustare, insieme all’accoglienza colorita e vivace di un oste romano, qualche fetta di pane tostato alla ponticiana, antipasto stuzzicante e ricco in cui mozzarella, prosciutto e funghi trifolati sono i protagonisti e si accompagnano alla perfezione a un buon bicchiere di vino rosso.
E già che ci siete sostate un poco nella zona di Velletri per assaggiare un paio di crostini, ricchi e saporiti, preparati con paté di fegato, fette di prosciutto cotto e funghi porcini, che vi godrete meglio sorseggiando un Colli Albani bianco.

Godetevi il patrimonio di attrazioni artistiche, archeologiche, medievali e spirituali dell’affascinante paesaggio delle città umbre, poste nel cuore di una tra le più piccole e piacevoli regioni italiane; sostando nel capoluogo, non perdete l’occasione di rifocillarvi assaggiando i classici crostini alla perugina spalmati con una saporita crema a base di fegatini di pollo, capperi, vino bianco, aceto e limone, che vi serviranno tiepidi; e se invece vi trovate a godere delle meraviglie della città di Spoleto, fatevi servire i buonissimi crostini a base di tartufo nero pregiato, lasciandovi coinvolgere dal profumo aromatico e particolare ma non troppo pungente e dallo squisito sapore che ben gli ha fatto meritare la “nomina” di tartufo dolce.

Immergetevi infine nell’atmosfera unica delle città isolane: camminando per le vie di Palermo, dove il fritto è una religione, regalatevi la goduriosa esperienza dello street food, della tosta rosticceria del sud e, senza badare alle calorie, con una mano “custodite” avidamente il vostro cartoccio mentre usate l’altra per mangiare i crostini palermitani, vere e proprie bombe fritte a base di pancarré, besciamella e prosciutto cotto, dalla panatura croccante e dorata che sotto i denti scrocchia irresistibilmente; al chiaro di luna di una calda sera d’estate, seduti in Piazza di “Marina Corta” con lo sguardo che volge verso la rocca del Castello di Lipari per poi perdersi nell’infinito del mare, assaporate tutto il gusto del mediterraneo su qualche fetta di pane abbrustolito condita con pomodori rossi e maturi, frutti di cappero (meglio detti “cucunci”), olio extra vergine di oliva e basilico fresco.

Se invece preferite trascorrere il vostro tempo in una terra più “selvatica” e primordiale, godetevi la Sardegna e il suo saldo orgoglio che ben si rifletterà ogni volta che vi serviranno un tagliere di pane bistoccu, prodotto da forno a lunga conservazione tipico dell’isola e utilizzato originariamente dai pastori che stavano per molto tempo lontani da casa, arricchito con i migliori prodotti locali.

Il viaggio giunge ora al termine e quel che resta è una valigia preziosa,piena di “cartoline di gusto” che immortalano scenari di paesaggio fatti di mari, montagne, colline o città capaci di celebrare gli ingredienti veri e autentici di un territorio che da sempre regala una varietà di prodotti e ricette a dir poco invidiabile.

Bibliografia:
Taccuini storici – www.taccuinistorici.it
StoriAtavola di Giorgia Fieni – http://storiatavola.blogspot.it/

Partecipano come contributors:
Sara Sguerri, Crostini Neri (Fegatini di Pollo Toscani)
Cinzia Martellini Cortella, Crostini Toscani
Nieri Sonia, crostini toscani di fegatini
Ottavia Bielli, Il Pan’unto di Domenico Romoli
Nadina Serravezza, Crostini ricotta, noci e miele per il calendario del cibo italiano
Laura Bertolini, Crostini crescenza e frutti di bosco
Francesca Lanuova, Crostini Neri su Pane Fritto e Spuma di Cipolle
Cristina Tiddia, Crostini di Pane Carasau

3 commenti

  1. Ottavia complimenti per il tuo articolo…un meraviglioso viaggio in Italia a caccia di gustosissimi crostini e bellissime tradizioni!!!!!

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