I grissini

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Pubblicazione: 07/05/2016

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Giornata Nazionale dei grissini

Ambasciatrice Valentina Venuti per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

I grissini di Torino, si sa, sono speciali e famosi in tutto il mondo. È così da sempre: grazie alle fonti incerte ma affascinanti dei pettegolezzi storici, è noto che il passato è costellato di illustri grissinomani, fior di teste coronate soggiogate da Sua Bontà il Grissino.

Dalla loro nascita i grissini ebbero una veloce diffusione sia in Piemonte che nel resto del paese grazie alla digeribilità e alla facilità di conservazione: a Torino i bastoncini di pane venivano consumati a colazione con il caffelatte, a pranzo nel brodo, a tutte le ore come stuzzichino e anche come dolce sotto forma di pilot (frittelle preparate con grissini pestati, latte e uova).
Il re sabaudo Carlo Felice, pur di appagare il palato, diventava screanzato: in barba all’etichetta, sgranocchiava di continuo e ovunque. Persino tra i velluti della bomboniera cittadina, il Teatro Regio, incurante del disturbo che infliggeva ai nobili vicini di palco e delle voci imbarazzanti che giravano sul suo conto.
Napoleone, buongustaio anche se frettoloso mangiatore, era assai ghiotto dei “petits bâtons de Turin”, così ghiotto da invitare nella capitale francese panificatori piemontesi, i quali peraltro non riuscirono a fabbricare i bastoncelli tanto vagheggiati.
Forse fu colpa dell’acqua o dell’aria di Parigi, fatto sta che, rimpatriati i fornai, fu necessario organizzare un invio quotidiano di grissini da Torino a Parigi, perché non mancassero mai alla mensa dell’Empereur, che adorava la ricetta tradizionale dei grissini piemontesi, quelli che chiamava “les petits bâtons de Turin”.
Madama Felicita, figlia di Carlo Emanuele III, era talmente ghiotta e fiera della specialità sabauda da posare per un ritratto con quel trofeo in mano: da cui il soprannome di principessa del grissino.
Pare piacessero anche all’imperatrice Maria Luigia, che col suo sano appetito austriaco amava sbriciolarli nel brodo. Questa soupe delicata le venne servita subito dopo la nascita del Re di Roma nella “tasse de l’accouché ” (tazza della puerpera), una splendida tazza con piattino di porcellana di Sèvres che Napoleone le mandò in dono e che oggi si ammira nel museo Glauco Lombardi di Parma.
Il Re Sole, l’uomo più potente nell’Europa del suo tempo, si toglieva tanto di cappello davanti a un cestino di petits bâtons de Turin; per poi inveire furioso contro i cuochi di Versailles, incapaci di riprodurli.

grissini

Ma come e dove sono nati i grissini?

La storia ci riporta due versioni: la ricetta originale è attribuita al fornaio torinese Antonio Brunero che, nel 1679, inventò questo alimento per nutrire il piccolo duca Vittorio Amedeo di Savoia, il quale soffriva di problemi di stomaco, troppo cagionevole per digerire la mollica del pane. Tutte le avevano provate, ma niente aveva funzionato, nemmeno l’esposizione alla Sindone, fino a che ci si domandò: e se fosse colpa del pane? Pesante, poco lievitato, poco cotto?
Il fornaio, su richiesta del medico di corte don Baldo Pecchi di Lanzo, pensò di modificare la ghersa, il pane tradizionale dell’epoca, tirandola ed assottigliandola per ridurla ad un bastoncino con pochissima mollica e la crosta croccante, ben cotto.
Una sera a cena Vittorio Amedeo, invece del solito pane, si trovò accanto al piatto un cestino di bastoncini di pane, lunghi, sottili, leggeri, i gherssin, piccole gherse… fu amore al primo morso, adorò così tanto il sapore ed il rumore che facevano sgranocchiandoli, che smise di essere inappetente.
Si dice, addirittura, che ancora oggi nella reggia di Venaria appaia il reggente con un grissino incandescente in mano.
Ma ogni cosa nell’alimento, il nome, la forma allungata, il peso, sembrano dar ragione ad altre voci della tradizione che lo vogliono nato nei forni cittadini e per ragioni economiche. Deriverebbe di nome e di fatto dalla grissia, pane simile alla baguette francese, largamente diffuso nel torinese fin dal XIV secolo. Come se, per aggirare la legge che imponeva il prezzo fisso del pane, pagato non a peso ma a forma, i fornai torinesi avessero furbescamente assottigliato le grissie fino a ricavare, dall’impasto di una, numerosi leggerissimi gherssin.
Anche qui non ci sono prove, come non è dato sapere quando nei locali farinosi e indaffarati dei forni abbia iniziato a circolare il sinonimo rubatà, termine piemontese che deriva da “robat”, antico attrezzo agricolo munito di un grosso cilindro di legno che, trainato sul terreno, lo spianava per compressione e che significa “caduto”, “ruzzolato”: il grissino rubatà, infatti, è ottenuto per arrotolamento tramite compressione manuale su di un tavolo di lavoro, generalmente in legno.
La pasta viene tagliata in piccoli pezzi e i grissini sono lavorati a mano singolarmente fino ad ottenere forma e lunghezza desiderate, di solito variabile dai 40 agli 80 cm.

Il robatà di Chieri è incluso nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ma sono allo stesso modo considerate zone di produzione classica del robatà il Torinese, la zona di Andezeno e il Monregalese.
L’unica altra forma di grissino tradizionale e tutelata è il “grissino stirato” (Ghersin stirà).
I grissini stirati, d’invenzione più recente rispetto al robatà, prendono il nome dalla lavorazione della loro forma finale, in quanto la pasta, invece che essere lavorata manualmente per arrotolamento e leggero schiacciamento, viene allungata tendendola dai lembi per la lunghezza delle braccia del panificatore, il che conferisce maggiore friabilità al prodotto finale. Questa lavorazione permise la produzione meccanizzata già a partire dal XVIII secolo.
Per quanto riguarda la ricetta, secondo alcuni panificatori (in particolare delle Valli di Lanzo e delle Valli Chisone e Germanasca) nel prodotto tradizionale non dovrebbero essere presenti grassi di origine animale e/o vegetale, mentre secondo i panificatori di Torino il grissino può contenere strutto oppure olio.
Fatto sta che, nonostante le origini siano incerte e storie se ne raccontino tante, una cosa è indubbia: il grissino è tale solo a Torino.
Scrisse Mario Soldati: “Pur essendo rifatto dappertutto in Italia e nel mondo, non può essere esportato perché, anche soltanto a cinquanta chilometri da Torino, non è più lui”.

Fonti:
“101 storie di Torino che non ti hanno mai raccontato”
La Stampa Cucina
Wikipedia

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GRISSINI STIRATI ALL’OLIO

Ricetta di Andrea Perino – Perino Vesco Fornai in Torino
Ingredienti:
500 g di farina W 260
15 g di malto in polvere
10 g di lievito di birra
260 g di acqua a 4°C
80 g di olio extravergine d’oliva
10 g di sale
40 g di acqua
Per lo spolvero:
Farina di riso
50 g di pasta di riporto (facoltativa)* in caso si può ridurre la quantità di lievito a 6 g

Procedimento:
Metti tutti gli ingredienti nella ciotola dell’impastatrice, lasciando da parte solo gli ultimi 40 g di acqua e fai girare a bassa velocità per 5-6 minuti.
Aumenta la velocità ed aggiungi l’ultima parte di acqua, lavorando ancora circa 5 minuti per snervare l’impasto.
Rovescia l’impasto sul piano di lavoro e lascia riposare 10 minuti coperto.
Forma un filone ben stretto e pennella con olio per evitare che si secchi in superficie e copri con un foglio di plastica.
Dopo 20 minuti appiattisci il filone e lascia lievitare 2 ore.
Spolvera abbondantemente il filone con farina di riso, taglialo a fette, passa ciascun bastoncino nuovamente nella farina di riso ed allunga ed assottiglia delicatamente afferrando ciascun bastoncino con entrambe le dita delle mani dal centro, tirando verso le estremità, spostando contemporaneamente le dita verso l’esterno mano a mano che la pasta si assottiglia. Lo spessore dovrebbe essere il più uniforme possibile, altrimenti in cottura non si ottiene un prodotto omogeneo ed avremmo parti più morbide dove i grissini hanno spessore maggiore. Siccome non è facile, io consiglio di lasciare i grissini nel forno dopo averlo spento per farli asciugare bene.
Deposita i grissini sopra una teglia coperta con carta da forno e lascia riposare mentre scaldi il forno a 230°C. Cuoci fino a doratura.

*La pasta di riporto è una porzione di un impasto lievitato avanzata, che contiene tutti gli ingredienti dell’impasto finale e che ha subito almeno qualche ora di fermentazione.
Aggiunta all’impasto finale apporta una notevole carica di lieviti e di batteri lattici che conferiscono sapore e profumo più intensi. E’ un buon compromesso tra lievito di birra e pasta madre.
Per la formatura dei grissini guardate questo video https://www.youtube.com/watch?v=1fZSG4RDZwY

Partecipano come contributors:
Sara Sguerri, Grissini al Sesamo
Stefania Pigoni, Grissini integrali ai semi di papavero
Valentina De Felice, Grissini Bicolore
Camilla Assandri, Grissini al Caprino stagionato con esubero di pasta madre
Erica Zampieri, Bouquet di Grissini
Valentina De Felice, Grissini Aglio, Olio e Peperoncino
Lucia Melchiorre, Grissini mediterranei
Annarita Rossi, Grissini stirati con farina di grano arso
Cecilia Mazzei, Grissini di pasta madre pomodoro e basilico
Tamara Cinciripini , Grissini al Farro
Tiziana Bontempi, Grissini al Vino Bianco, Parmigiano e Rosmarino
Giulia Robert, Piemonte Mon Amour – I Rubatà di Chieri

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