02/09/2024
La cozza di Cervia
Il mitilo mediterraneo (Mytilus galloprovincialis), comunemente noto come cozza, è un mollusco ...
Pubblicazione: 04/12/2016
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Ambasciatore Walter Zanirato per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar
Indiscusso trionfo della cucina ligure, il Cappon Magro nasce da un più povero parente (Il capon de galera) e nel tempo si trasforma in un piatto barocco e fastoso. Le versioni dei natali di questa ricetta sono più di una e si perdono ovviamente nella notte dei tempi; anche se, come accennato, è assai probabile che esso derivi da due “parenti poveri”: il “Capon de galera” e la “Capponadda”.
La prima nasce a bordo delle omonime imbarcazioni della Repubblica Genovese dove, per l’esigenza di mangiare con quel poco che c’era, il pasto si preparava con le gallette, le acciughe e qualche conserva di agro (nota 1). La seconda, invece, di epoca più recente, è forse quella che più gli somiglia (almeno per gli ingredienti); ritroviamo, infatti, una preparazione che, sebbene più semplice e più vicina all’insalata (la Capponadda ligure), ricorda molto il nostro Cappon Magro. Accanto a queste due derivazioni, c’e poi chi colloca i natali del piatto all’interno del Santuario dei Marinai in San Francesco da Paola a Genova ad opera di frati mossi dalla ricerca di una pietanza che soddisfacesse le regole del “mangiar di magro” quaresimale e delle vigilie liturgiche (il pesce all’epoca era divenuto una necessità da utilizzare nei giorni di magro, tanto da essere severamente controllato) (nota 2); oppure chi ne assegna la paternità ai cuochi francesi barocchi che si auto eleggono i veri inventori del piatto. Quale di queste versioni è dunque quella vera? Ovviamente, a modo loro, lo sono tutte, nel senso che ciascuna contiene una parte di verità.
Partiamo dal fatto che storicamente i piatti della nostra cucina passano attraverso un’evoluzione del gusto spesso dettata dal periodo e, altre volte, dalle necessità. Facile dedurre che il Capon de galera fosse stato proprio la base, vuoi per la semplicità, vuoi per la frugalità degli ingredienti. Tenete conto che in un ambiente marinaro di una galera (le famose imbarcazioni che hanno padroneggiato i mari per oltre 3000 anni e fino al periodo delle Repubbliche Marinare) i pasti erano molto semplici: gallette del marinaio (dure come la pietra), acciughe salate o baccalà e qualche conserva di verdura in agro, utile sia per prevenire lo scorbuto sia per ammollare il “pane biscottato”. Dunque, i marinai del tempo fecero di necessità virtù, gettando in questo modo le basi di un piatto che, in men che non si dica, si diffuse subito nei litorali liguri, da Camogli a Imperia, arricchendosi di nuovi ingredienti con i prodotti dei locali orti, mosciame di delfino, pomodori e uova. Il piatto assumeva la forma di un’insalata e, contesutalmente, prendeva il nome di Capponadda (s’ipotizza la derivazione dalla lingua tarda latina di caupona = taverna); alcuni erano soliti aggiungere timo, cipolla, tonno sott’olio e rapanelli, quasi come un Condiglione Ponentino; tuttavia a bordo molti di questi ingredienti erano una pura utopia.
Comunque, per quante variazioni e arricchimenti potesse subire una volta approdato a terra, questo piatto di derivazione marinara non incontrò ancora i favori dei nobili e dei ricchi. Ed è qui che si innesta allora l’ipotesi dell’invenzione in ambito conventuale, nello specifico nelle cucine di quei Frati Minimi che avevano sviluppato ricette capaci di soddisfare sia le regole dello strettissimo magro, sia i palati più esigenti. Non a caso, il Padre Superiore Delle Piane, proprio del convento dei Minimi di Genova, compilò nel 1880 un libro di ricette intitolato “Cucina di strettissimo magro”, che raccoglie più di 470 ricette, tra cui il tanto conteso Cappon Magro. Ma possiamo davvero collocarlo in un’epoca cosi vicina a noi? E in un ambiente che aveva fatto della frugalità il suo tratto distintivo? O dobbiamo scavare più indietro nel tempo e allargare il nostro raggio d’azione?
Vista la sontuosità del piatto, la logica suggerirebbe un’altra ipotesi: una rielaborazione della Capponadda ai gusti e alla moda della corte ducale genovese e dell’aristocrazia del luogo, dove gli chef francesi facevano a gara nel creare nuovi piatti che potessero stupire durante i banchetti. Ecco che ancora una volta un piatto povero, ma assai gustoso, viene interpretato nel tempo e nelle mode fino a diventare quella suntuosa e barocca preparazione che troneggia ancor oggi nelle vigilie di magro e nelle grandi ricorrenze: presentato in maniera più sobria per le cene di magro, ma monumentale e scenografico per i banchetti, tanto nella realizzazione (peraltro lunghissima) che nella presentazione. Immaginate un lungo vassoio di quelli da portata, alla base le gallette ammollate e via salendo in una forma conica il resto degli ingredienti, il tutto arricchito tra uno strato e l’altro di saporita salsa verde, sovrastata da crostacei e sottaceti di ogni tipo; per finire, tutt’intorno conchiglie di Saint Jaques e ostriche. Non rende molto se non avete mai visto questo piatto, ma vi posso garantire che un’esecuzione perfetta vi farebbe restare a bocca aperta ancora oggi.
Curti lo definisce così: Monumentale trionfo della cucina ligure di mare e d’orto, il Cappon Magro (piatto in origine quaresimale, lo rivela il nome) non è un’insalata, ma un perfetto mosaico a strati di pesci, crostacei, mitili, verdure, uova, legati dalla salsa verde o – meno fastosamente – da olio, aceto e limone. Eccolo in un menu del 1901 (dato che nei ristoranti non si trova più…): aragosta, pescio fin, scorsonnea, pigneu, musciamme, loassi, porpi, gambai, oje, ancioe de lamme, tecco netti a fa coronn-a.
Curiosità:
Per il Cappon Magro, Giovan Battista Ratto, nella “Cuciniera genovese”, ricetta n° 42 dice: “come i ravioli sono la regina di tutte le minestre, così il Cappon Magro, quando sia ben confezionato, è la migliore di tutte le insalate che si conoscono”.
La tanto aristocratica aragosta, odiata dai sostenitori di un piatto di origini popolari, un tempo era comunemente usata; da documenti storici risulta che non erano tenute in gran conto, tant’è che editti carlofortini del 1820 la pongono fra il pescato meno costoso.
C’è chi ha voluto trasformare la ricetta del Cappon Magro in un’ode, lo fa per l’appunto il poeta e scrittore Maurizio Maggiani:
Cappon Magro (Castelnuovo Magra, La Spezia, 1951)
Ricetta del Cappon Magro, che non sembra seria e invece lo è.
Dalla tolda della nave ammiraglia cosa scrutano ansiosi nel volo incerto delle procellarie gli ammiragli della Repubblica Superba? Naturalmente l’arrivo della tempesta. E perché sorridono sotto i loro impeccabili baffi osservando l’esercito di nuvoloni neri all’orizzonte? E’ ovvio: siccome arriva la tempesta per pranzo ci sarà il Cappon Magro.
Ahi Cappon Magro! Delirosa menzogna, trionfo dell’ipocrisia, apostatico piacere quaresimale, carezza alla libido digiunante di Dogi e Cardinali, conforto degli scragnini già in odore di gotta. Che a dirla come sta, il Cappon Magro altro non sarebbe che un piatto freddo preparato senza carni grasse, e ci sono almeno dieci etnie in quest’Italia che potrebbero contendersene l’invenzione. I Genovesi d’altro canto non transigono: è roba loro; e bisogna dargli ragione perché loro di questo cibo ne hanno fatto un’iperbole, un’allegoria, un trionfo della Superbia in cucina. Dicono anche che a inventarlo siano stati i loro cuochi marinai, che quando in mare c’è tempesta non possono metter pignatta ai fuochi e devono arrangiarsi con gli avanzi e il conservame. Si, facile a dirsi. Ma occhieggiate un po’ cosa c’è dentro al cappone di magro.
Intanto ci vuole una grande bacinella di porcellana, un cratere polifemico sottratto a un remoto e magari pignorato corredo dogale; così che poi si depone sul fondo uno strato di galletta ammollata in acqua aceto e sale; la galletta è come ognun sa il pane biscotto marinaro di consistenza marmorea ma di durata transatlantica, senza più denti al mondo che potrebbero farlo a bocconi e dunque immeritatamente estinto e sostituito con succedanei di nessun fascino ma di moderna masticabilità. Quindi si da forma ritmica a una stratificazione complessa di ordine sedimentario composta di verdure lessate: fagiolini, sedani, carote, barbabietole, scorzonere, patate, carciofi, rosolacci, cotti ognuno per suo conto, freddati e conditi con olio di olive taggiasche, torchiato nell’ambito della cinta muraria di Oneglia, e aceto di vermentino.
Quindi si congiunge carnalmente alla verzura, lessato, il pesce loasso, riconoscibile tra i popoli degli abissi per i suoi occhi lattiginosi imploranti; occhi, tanto per capirci, identici a quelli di Tiron Power in amore. Pesce, che per le sue qualità di bontà e innocenza è ormai praticamente estinto. È pur sempre acquistabile alla borsa nera gestita dal meglio della mafia presso tutti i migliori mercati ittici, a prezzi -ovviamente- d’amatore; nel prontuario dei mercati genovesi viene anche indicato come “pesce lupo” e questo non gli dona. Al loasso aggiungasi una adeguata coda di aragosta, anche questa lessata e condita con finissimo olio dei frantoi di Albenga o Noli, sale e scalogno. Quindi si sovrapponga a scaglie fini abbondante mosciame, ovverossia il filetto seccato del delfino. Come dovrebbe essere a conoscenza del colto e dell’inclita, del mosciame sono proibiti produzione e consumo dalla legge che tutela i delfini, epperò, in questo nostro contraddittorio paese è pur sempre acquistabile nello stesso posto fraudolento allo stesso prezzo impossibile del loasso.
Di poi si decori la sopraindicata base di acciughe salate di Monterosso, che sono in assoluto le più gustose e tenere, salate in barilotti di querciuolo dopo le pesche di settembre; e quindi capperi, olive di Spagna in salamoia profumata a finocchetto, funghi porcini sott’olio in profusione.
Infine, al vertice della stratificazione, sul cucuzzolo a mo’ di smerlo: gamberi lessati a piacere, qualche dozzina di ostriche modello chochilles S. Jaques extra large e uova sode guarnite con crudité di verdure.
Attenzione: ogni stato è supplettivamente ammollato con un’unzione d’olio di Val di Magra e appagato di salsa verde genovese, ch’è fatta di aglio prezzemolo pinoli tuorli d’uova sode mollica di pane pregna d’aceto olive acciughe e sale.
Ecco dunque il Cappon magro, superbia dei genovesi, sollievo del Cardinale, goduria dell’ammiraglio. Esaltazione antiromantica dell’ipertrofia del crasso.
A prezzi al minuto una porzione “moderna” viene a costare dalle trenta alle quaratamila cadauno, più i due giorni di lavoro che bisogna pur mettere in conto a qualcuno. Oh beh, i poveri hanno un’alternativa. Si chiama, guardacaso, Cappone in Galera. Basterà levare di mezzo tutte le leccornie pregiate, e servirlo ben ghiacciato per anestetizzare. Immagino bene che per l’Italia di piatti consimili e delle loro possibili infinite varianti se ne possano trovare a migliaia. Io diffiderei delle imitazioni e potendo non mi accontenterei che dell’unico e solo Cappon Magro, quello che l’immortale Cardinal Siri, il martello degli eretici e dei pavidi, provvedeva affinché gli fosse ammannito ogni Venerdì Santo dalle immacolate suore del Carmine e che dette suore preparavano obbedienti così come descritto. A rischio della dannazione eterna.
INGREDIENTI per 8-10 persone:
• 700 g di pesce cappone (scorfano)
• 600 g di gallinella
• 500 g di aragosta (una piccola)
• 500 g di seppia
• 500 g di gamberi
• 50 g di mosciame di tonno (filetto di tonno essiccato)
• 30 cozze
• 30 filetti di acciughe dissalate
• 20 vongole
• 10 scampi medi
• 10 mazzancolle
• 10 ostriche
• 10 capesante
• 3 uova sode
• 6 gallette del marinaio
• 400 g di patate
• 400 g di cavolfiore
• 350 g di rapa rossa già cotta
• 300g di fagiolini verdi teneri (cornetti)
• 300 g di carote
• 300 g di zucchine
• 300 g di finocchi
• 250 g di piselli sgranati
• 250 g di cardi
• 250 g di sedano
• 250 g di cipolla bionda
• 50 ml di brandy
• 50 g di pangrattato
• 20 funghetti sott’olio
• 20 olive verdi denocciolate
• 10 pezzi di porcino sott’olio
• 2 carciofi
• 2 spicchi d’aglio di Vessalico
• 1 mazzo di scorzonera
• Vino bianco q.b.
• Olio extravergine di oliva ligure DOP q.b.
• Aceto di vino bianco q.b.
• Limone q.b.
• Sale q.b.
PER LA SALSA VERDE GENOVESE:
• 600 ml di olio extra vergine di oliva ligure DOP
• 350 g di prezzemolo (150 pulito)
• 150 g di pinoli
• 120 g di mollica di pane
• 70 g di capperi sotto sale
• 60 ml di aceto di vino bianco
• 40 g di acciughe salate
• 120 g di mollica di pane
• 25 olive verdi denocciolate
• 5 tuorli d’uova sode
• 3 spicchi d’aglio di Vessalico
La prima operazione da fare è realizzare la salsa verde che preparerete un giorno prima per farla maturare di gusto. Pulite e lavate per bene il prezzemolo e mettetelo ad asciugare. Nel frattempo dissalate le acciughe e i capperi con un poco di aceto bianco e bagnate sempre con il medesimo la mollica dentro una ciotola. Mettete il bicchiere e le lame del frullatore in freezer e l’olio in frigorifero per un’ora. Dividete in tre parti gli ingredienti asciutti, strizzate la mollica, quindi aggiungeteli un “ terzo” per volta dentro il frullatore con metà dell’olio e dell’aceto e frullate. Ripetete per altre due volte fino ad esaurire gli ingredienti, quindi conservate in frigorifero per 24 ore.
Preparate una soluzione al 50 % di aceto e vino bianco, prendete le gallette e strofinatele con uno spicchio d’aglio sbucciato; inzuppate queste ultime nella soluzione e mettetele da parte. Ogni tanto, ripetete l’operazione fino a renderle morbide. Mettete a spurgare le vongole in acqua con un cucchiaio di sale grosso. Lavate e mondate tutte le verdure; pelate le patate, le carote e raschiate la scorza nera. Eliminate i fili dai cardi e dal sedano, quindi tagliate a cubetti tutte le verdure, tranne i fagiolini, i cavolfiori e i carciofi e lessatele tutte separatamente.
Squamate ed eviscerate i pesci e steccate l’aragosta; preparate un brodo leggero vegetale con aromi e mezzo bicchiere di vino bianco e lessatevi dentro prima l’aragosta e poi il pesce. Pulite la seppia e lessatela separatamente partendo da acqua fredda per 18 minuti dal bollore, quindi spegnete e fate raffreddare dentro il suo brodo. Spolpate i pesci eliminando le lische, tagliate la seppia a listarelle e la coda dell’aragosta a rondelle. Pulite le cozze, eliminate il barbiglio e lavatele in acqua corrente insieme alle vongole. Mettete sul fuoco una padella, aggiungete questi ultimi e fateli aprire. Eliminate il filo intestinale dai crostacei praticando un taglio sul dorso delle mazzancolle e sull’addome degli scampi; sgusciate completamente i gamberi e ponete gli scampi in posa infilzando le chele sulla coda. Lessateli tutti per 5 minuti in acqua al limite del bollore. Pulite le capesante, affettate la cipolla e mettetela ad appassire in padella con un filo di olio. In un’altra padella antiaderente caldissima scottate le capesante passate nell’olio e fiammeggiatele con il brandy. Ponete la cipolla nei gusci delle conchiglie e aggiungete su ognuno una capasanta ed il pangrattato, quindi il liquido di cottura e un filo di olio. Preparate le emulsioni di olio e aceto e olio e limone. Ponete le gallette strizzate e spezzettate sul centro di un ampio vassoio da portata (verificate che vi stia in frigorifero). Affettate il mosciame e mettetelo sopra le gallette; aggiungete la salsa e procedete con la stratificazione degli ingredienti sempre intervallati dalla salsa con questa logica:
1. Condite le verdure con l’emulsione all’aceto ed il pesce con quella al limone.
2. La stratificazione degli ingredienti deve creare un effetto cromatico.
3. Tenete il pesce negli strati più alti e comunque precedete lo strato con pezzetti di acciuga.
4. L’aragosta deve completare la sommità che avrà forma conica o piramidale.
Terminati gli ingredienti del Cappon Magro, procedete con la decorazione preparando gli spiedi con i crostacei intervallati con le olive e/o i sottaceti . Aggiungete i gamberi disposti a corona tutto intorno alla sommità e infilzate gli spiedi, aggiungete le ostriche aperte e condite con limone e pepe, le capesante gratinate all’ultimo minuto e disposte tutte su foglie di lattuga. Aggiungete i rimanenti bivalve e completate con le uova sode tagliate a spicchi e l’aragosta in cima a tutto.
Avete dunque terminato questa monumentale e barocca opera d’arte culinaria; ricordatevi solo di servire il tutto a temperatura ambiente per apprezzare in pieno i profumi ed i sapori di questo piatto. Vi ricordo che la preparazione della ricetta richiede due giorni di lavoro e non sono riducibili, se non a discapito del gusto. A tale proposito, visto la complessità, le gastronomie nei periodi che precedono il Natale o la Pasqua lo mettono in vendita in versioni ridotta alla modica cifra di 48-60 euro al chilo o personalizzata su ordinazione.
La moda di questi ultimi anni e la necessità di vendere un prodotto più economico hanno portato i ristoratori a realizzare monoporzioni di questo piatto, semplificandolo, destrutturalizzandolo o arricchendolo con alchimie molecolari. Per noi nostalgici, il Cappon Magro vuole essere quello servito durante i banchetti nei saloni del Ducale o alle feste della nobiltà genovese.
• (nota 1) La razione giornaliera media consisteva in due libbre di galletta (330 g), mezza libbra di carne secca o pesce salato, una pinta di vino e un’oncia d’olio.
(1 libbra=330 g; 1 pinta=1,3- 1,5 l; 1 oncia=30 g – misure approssimate del periodo)
Il servizio più massacrante era ovviamente quello dei vogatori. Nei primi secoli anche i vogatori erano uomini liberi, pagati e trattati come il resto dell’equipaggio. Ma in seguito il loro reclutamento divenne sempre più difficile e nel Trecento, sull’esempio della Marina catalana, si cominciò a mettere al remo i condannati al carcere (da qui venne l’uso di identificare il carcere con la galera, voce popolaresca di galea, e il condannato con il galeotto).
• (nota 2) Ai tempi della controriforma il pesce divenne una necessità sulle tavole italiane. La stessa impose 150 giorni di magro all’anno. Parlando del ‘500 esistono testimonianze che sui banchi il pesce pescato il giorno prima era segnalato da una lanterna accesa; guai a chi barasse, nel caso degli uomini le prime 2 infrazioni erano multate, seguivano poi i tratti di corda e infine l’imprigionamento; nel caso delle donne v’erano la requisizione del pesce e dieci patte alla vista del pubblico. (LIGUCIBARIO- Pesce e stagionalità)
Voglio ora lasciarvi la mia ricetta del Cappon Magro riprodotta il più fedelmente possibile nella versione barocca servita alle corti nobiliari del genovesato della metà ‘700.
Fonti:
it.wikipedia.org
umbertocurti.blogspot.it
www.ligucibario.com
La cuciniera genovese – G.B. RATTO – edizioni PAGANO
www.civiltaforchetta.it
Cucina di strettissimo magro – Padre Gaspare delle Piane – edizioni Marchese & Campora
Partecipano come contributors:
Silvia de Lucas Rivera, Cappon Magro
Erica Repaci e Nicola Ganci, Il cappon magro
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Oh mamma mia… ma che meraviglia! Complimenti, la mia versione è molto più ridotta per problemi “logistici” ma farlo con tutti gli elementi è un’esperienza da provare almeno una volta nella vita!
Ti sei destreggiata benissimo Silvia, grazie ancora per il tuo prezioso contributo
se non ho partecipato a questo trionfo della cucina genovese (direi ligure) è solo perché alcuni dei prodotti ittici utilizzato non mi piacciono e avrei dovuto farne una versione molto più povera e insignificante. Tuttavia, Walter, un applauso alle tue presentazioni! Sia foto che articolo sono splendidi e fanno onore alla “sontuosità” di questo piatto. Bello, bello, bello
Fausta ti ringrazio lo stesso, facciamo onore alla nostra regione 🙂
Mai, mai vista tanta magnificenza!! E chi se lo aspettava un piatto così, ne ho sempre sentito parlare ma non credevo fosse questo! Mi piacerebbe sedere ad una tavola così, spero mi capiti un giorno!! Bravo, bel piatto e interessantissimo articolo!
Grazie mille Marina
Sono incantata!!!! Mai visto un piatto cosi’ ricco, sontuoso, regale. E nemmeno mai mangiato! Sembra impossibile vero? Ti faccio i miei complimenti, per questa meraviglia per gli occhi e palato, dalla preparazione accurata e meticolosa. Bravo!
Dobbiamo rimediare allora! Era più di 10 chili, se fossi stata un po’ più vicina, avremmo risolto subito. L’ho distribuito, chi sarebbe riuscito a mangiarlo tutto … grazie Antonella