Il Castagnaccio

ph. Daniela Pennisi

Pubblicazione: 22/10/2016

Condividi l'articolo:

Associati per pubblicare

Giornata Nazionale del Castagnaccio

Ambasciatrice Alice Del Re per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

I cibi della miseria sono quelli che amo di più, perché hanno un’anima, una storia, una personalità forte e incancellabile. Il Castagnaccio è uno di questi, forse il primo che ho conosciuto.
Nelle zone appenniniche la castagna ha sempre contribuito in misura determinante alla sussistenza della popolazione. Cibo calorico e nutriente, facile da accompagnare con ingredienti salati e ottima per farne farina, è stata a lungo il pane dei poveri. E se volete sapere una curiosità, tra giugno e luglio, nel momento della fioritura, la pianta emana davvero un profumo di pane appena sfornato, dovuto alle infiorescenze maschili.

Furono i Romani a promuoverne la diffusione in Italia, ma il passaggio determinante dalla pianta selvatica a quella semi-coltivata ai fini delle raccolta del frutto lo si deve ai Longobardi che, una volta stanziatisi nelle zone interne della penisola, selezionarono le piante più produttive e le innestarono sugli esemplari selvatici che crescevano spontanei nei boschi.
La coltivazione e cura del castagno si diffuse rapidamente in vaste aree appenniniche e montane e la pianta fu rigorosamente tutelata in virtù della sua capacità di fornire nutrimento, come dimostrano documenti di età medievale che ne vietavano la sostituzione con altre colture, a meno che non venissero reimpiantati nuovi esemplari in una zona vicina.

Nell’ultimo secolo la superficie occupata dai castagni è drasticamente diminuita, sia in conseguenza allo spopolamento delle aree montane, sia per la facilità di reperimento di farine e frutti di altro tipo, che hanno sostituito la castagna nell’alimentazione locale. Sono poi arrivate numerose malattie, prima sconosciute e difficili da contrastare e molti proprietari hanno optato per un taglio sistematico dei castagneti per venderne il legname. Da cibo dei poveri mangiato per necessità, le castagne – e, soprattutto, la farina di castagne – sono diventate un prodotto costoso, quasi di lusso, prediletto dagli appassionati di gastronomia e dai nostalgici del mondo antico, disposti a pagare cifre molto alte per quello di cui una volta ci si vergognava.

Ma vediamo in che modo si ottiene l’ormai preziosa farina di castagne.
La raccolta avviene tra la fine di settembre (per le varietà precoci) e metà novembre e viene fatta a mano: tra quelli caduti, si raccolgono i frutti sani e si scartano quelli sciupati. Tenere pulito il sottobosco diventa quindi essenziale per facilitare l’operazione di raccolta, che deve avvenire in tempi brevi, per evitare che le castagne restino a contatto con l’umidità del terreno troppo a lungo e sviluppino funghi o muffe. Esistono anche macchinari che raccolgono i ricci e le castagne e poi li separano meccanicamente, ma possono essere usati in rari casi perché la maggior parte dei castagneti sono in aree di forte pendenza e mal serviti dalla viabilità.

Una volta raccolte e separate dagli scarti, le castagne destinate alla produzione di farina vengono immediatamente portate in un piccolo edificio per l’essiccazione, in pietra o muratura, che prende vari nomi a seconda delle zone: metato in Garfaganana e Versilia, seccatoio in Mugello e sull’Amiata, cannicciaia in Val Bisenzio e potremmo continuare ancora. Collocato generalmente in un prato o in un’ampia radura del bosco, è costituito da una sola stanza di pochi metri quadrati, dove un graticcio di legno posto orizzontalmente la divide in una parte bassa e una parte alta.
Nella parte inferiore viene acceso il fuoco mentre di sopra, sul graticcio, si dispongono le castagne da essiccare, rovesciandole attraverso un’ampia apertura, in uno strato alto 40/80 cm. Il fuoco deve essere fatto con legno di castagno vecchio per garantire una combustione lenta, costante e senza picchi di calore; l’impiego di altre essenze conferirebbe un sapore sgradevole alle castagne.
Un tempo, il metato era anche un luogo di ritrovo: la necessità di controllare il fuoco e la possibilità di godere del calore portavano la gente a radunarvisi alla sera, sedendo su basse sedie a parlare e vegliare insieme.

Dopo 30/40 giorni ad una temperatura di 25/35°C, durante i quali le castagne vengono mosse e girate almeno una volta, il processo è completo; allora il fuoco viene spento e rimosse le braci, il graticcio viene tolto e le castagne fatte cadere sul pavimento, dove vengono raccolte.
Si procede poi alla sbucciatura. Una volta avveniva mediante appositi attrezzi, come il frugone o pigione, bastone dotato all’estremità di una lamiera metallica dentata, oppure mettendo le castagne in un sacco di juta e sbattendole ripetutamente contro un masso. Oggi la sbucciatura viene fatta quasi esclusivamente in maniera meccanica ed anche il metato viene utilizzato solo in poche zone residue, più per la volontà di salvaguardare le tradizioni culturali che per effettiva convenienza: sempre più spesso l’essiccazione avviene tramite aria calda, in maniera industriale. Da cento chili di castagne fresche si ottengono non più di 25/30 kg di castagne secche.

La fase finale è la macinatura. Tradizionalmente fatta in mulini ad acqua, oggi viene effettuata per mezzo di macine azionate elettricamente; ma in entrambi i casi è importante che la velocità non sia troppo elevata, per evitare di surriscaldare il prodotto e fargli assumere odori o sapori sgradevoli. All’inizio di novembre, se l’annata è stata buona, sarà disponibile la farina di castagne, con il suo caratteristico sapore dolce e il retrogusto leggermente amarognolo, di colore avorio scuro e grana finissima, inconfondibile al solo profumo. Si conserva pochi mesi e tende a deperire molto rapidamente, per questo è consigliabile surgelarla per averla a disposizione durante tutto l’anno.

Questa la materia prima di partenza. Da essa deriva il Castagnaccio, dolce povero e semplicissimo, uno sfamafamiglie dall’alto potere saziante, particolarmente adatto ai bambini che, a partire da novembre, lo ricevevano come merenda da portare a scuola.
In origine preparato solo con farina di castagne, acqua e poco olio extravergine di oliva aromatizzato al rosmarino, con il tempo si è arricchito di pinoli (più raramente noci) e uvetta, fino a che non è diventata questa la versione tradizionale.

L’inventore di questo dolce sembra essere stato un tale Pilade da Lucca, che nell’opera di Ortensio Landi “Commentario delle più notabili et mostruose cose d’Italia e di altri luoghi” (1553), viene detto essere “il primo che facesse castagnazzi e di questo ne riportò loda”.

Da sempre associato alla Toscana, è una ricetta tutt’altro che monolitica: cambia da zona a zona e quello degli altri è sempre peggiore del nostro. A Firenze e dintorni lo chiamano migliaccio, lo fanno basso e rinsecchito, quasi croccante, come anche nel Pistoiese e nel Pratese (zona di Artimino), dove però si chiama ghirighìo. Nell’Aretino (dove è noto come baldino) e in Valdichiana è invece più morbido e alto almeno 1,5-2 cm, mentre a Livorno lo fanno alto 3 cm ed è decisamente troppo perché possa essere buono: lo stesso nome, toppone, lo designa come un malloppo buono per riempirsi la pancia ma non per gratificare il palato.

Quel che accomuna tutte le versioni è l’assenza di zucchero: non serve, perché la farina di castagne è già molto dolce e così, senza rendersene conto, si ha un dolce senza glutine, senza zucchero e senza prodotti animali, vegano ante litteram.

Restando in Toscana, una variante è la pattona, una polenta dolce fatta di sola farina e acqua, molto alta e quasi soffice, che una volta veniva venduta per le strade, spesso davanti alle scuole, da ambulanti che giravano con dei carrettini e la tagliavano con un filo in spesse fette.
Non molto dissimili dal castagnaccio, ma più sottili, sono i necci, una sorta di crêpes senza uova, cotte su un testo posto sulla brace; tradizionalmente erano farcite con ricotta fresca e spesso facevano le veci del pane.

Ma pensare che il Castagnaccio sia conosciuto solo in Toscana significa peccare di presunzione. Laddove arriva il vento dell’Appennino, laddove c’è la cultura del castagno, allora esiste il Castagnaccio: è troppo semplice e buono perché qualcuno non abbia pensato a farlo proprio. Non a caso, è stato riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale su proposta di Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Lazio e Piemonte, segno che queste regioni sono accomunate dal suo consumo. In Toscana, inoltre, la farina di neccio (nome locale della castagna) della Garfagnana ha ricevuto il marchio DOP, mentre quella della Val di Bisenzio è riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale.

In Emilia, nelle zone di Parma e Bologna, il Castagnaccio è sostanzialmente identico a quello toscano, mentre in Liguria si usa spesso il finocchietto al posto del rosmarino. Nelle zone montane dell’entroterra tigullino e genovese, poi, esiste la panella, parente povera del castagnaccio, che costituiva il piatto unico dei contadino: preparata solo con farina di castagne, acqua, sale e olio, veniva impastata, stesa su un tagliere coperto di foglie di castagno (appositamente lavate e stese) e poi cotta sotto al testo.

Nel Cuneese, area povera e montana, è diffusa una versione molto simile a quella toscana, sebbene in alcuni casi siano prescritte castagne intere lessate invece che farina di castagne, cosa che in Toscana non avviene mai; mentre i Piemontesi del Nord, dall’alto dei loro quarti di nobiltà, lo arricchiscono con latte, mele e amaretti, fino a farne un dolce sostanzialmente differente, pur se con lo stesso nome. E, sorpresa delle sorprese, nella versione più povera e semplice si ritrova anche in un ricettario triestino del 1927, quello di Maria Stelvio.

Il Castagnaccio, come tanti piatti della tradizione, non si è salvato dalle rivisitazioni e oggi lo si può trovare con la frutta secca e gli aromi più vari, e persino in versione salata. Ma diffidate dalla imitazioni: il vero Castagnaccio è questo qui. Ovviamente, a casa mia.

ph. Daniela Pennisi

Castagnaccio

Una leggenda legata al Castagnaccio dice che gli aghi di rosmarino sarebbero una sorta di elisir d’amore e che se una fanciulla lo fa mangiare al suo innamorato, egli le chiederà immediatamente di sposarlo. Prima di conoscere questo aneddoto, io ho effettivamente preparato il castagnaccio per il mio amato, la cui subitanea reazione è stata: “Ah, ma lo fai così? A casa mia si fa diverso”.

Ingredienti (per una teglia di 20 cm di diametro):
200 g di farina
350 ml di acqua circa
3 o 4 cucchiai di olio extravergine d’oliva
60 g di uvetta
40 g di pinoli
2 rametti di rosmarino
un pizzico di sale

Mettete a bagno l’uvetta in acqua tiepida per 20 minuti.
In un pentolino, fate scaldare l’olio con il rosmarino per pochi minuti.
Setacciate la farina, aggiungete il sale, poi stemperatela con l’acqua aggiunta a poco a poco, sbattendo con una frusta per evitare grumi, fino ad ottenere una pastella fluida ma piuttosto densa. Unite metà dell’olio, parte dell’uvetta strizzata e metà dei pinoli.
Versate nella teglia, precedentemente unta d’olio, cospargete la superficie con il resto dell’uvetta e dei pinoli, con altri aghi di rosmarino e con l’olio rimasto.
Cuocete a 160° per 30 minuti circa. Sopra deve formarsi una crosticina e screpolarsi un po’, ma dentro deve restare morbido.

Fonti:
La farina di castagne della Val di Bisenzio, Claudio Martini Editore, 2009.
Prodotti di Liguria, Atlante regionale dei prodotti tradizionali
P. Petroni, Il vero libro della cucina fiorentina, Giunti, 1974.
M. Stelvio, La cucina triestina, Lint Editoriale, 1927.
https://it.wikipedia.org/wiki/Castagnaccio
http://alterkitchen.it/2013/11/15/castagnaccio-piemontese/

Partecipano come contributors:
Ambra Alberigi, Il Castagnaccio in un biscotto
Laura Bertolini, Castagnaccio con ricotta
Moscardo Giulia, Il Castagnaccio
Cristina Galliti, Castagnaccio salato alle acciughe e pistacchi
Alice Del Re, Castagnaccio toscano
Erica Repaci, Il castagnaccio ligure
Patrizia Malomo, Castagnaccio di Saturnia
Sara Grissino, Castagnaccio con cioccolato e mele

3 commenti

  1. Evviva il Castagnaccio!!! a me piace basso e un po’ croccante esternamente e col rosmarino sopra 🙂
    anche salato è divertente
    complimenti per l’articolo, sei sempre elegante ed esaustiva
    Grazie

  2. Complimenti interessante il post e anche il castagnaccio salato di Cristina da provare . Dico a tutti i soci bravissimi, ho sempre dimenticato di lasciare i commenti ma ho letto tutti i post e ho imparato molto grazie !

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Associazione Italiana Food Blogger

Studiare, degustare, cucinare, scrivere, fotografare, condividere idee e conoscenze per raccontare ciò che altri non raccontano!

Associati