Il Pane Carasau

Su casu cun s’axridda ©Sardegna Agricoltura

Pubblicazione: 22/11/2016

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Giornata Nazionale del Pane Carasau

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Ambasciatrice Cristiana Grassi per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Una donna seduta a terra tiene sulle ginocchia una tavola di legno sulla quale impasta: è la “sacerdotessa del quotidiano” della scultura Il pane di Francesco Ciusa (1883-1949). Potrebbe sembrare un’immagine sorpassata di tempi antichissimi e invece è ancora possibile, nelle case dei paesi di Sardegna, vedere donne al lavoro esattamente in questo modo. Donne che, seguendo il ritmo scandito dalle chiacchiere con le vicine, impastano il pane così e poi lo cuociono nel forno, davanti al quale si sta sedute su minuscoli sgabelli di ferula o di sughero.

Salvatore Satta (1902-1975), nell’indimenticabile “Il giorno del giudizio”, ci descrive come, nella casa della sua infanzia a Nuoro, si compisse il piccolo miracolo del Pane carasau:

“ (…) Per cuocere il pane venivano donne del vicinato; perché l’impresa era grossa, e bisognava impastare, tirare la pasta in larghe sfoglie, passarle una a una alla donna che sedeva alla bocca del forno, con le cocche del fazzoletto rialzate sulla testa, il viso illuminato nell’ombra. Questa metteva la sfoglia su una pala liscia e sottile […] infilava la pala nel forno e la sfoglia al calore diventava, se era ben fatta, un’immensa palla, che veniva passata a un’altra donna seduta con le gambe in croce davanti a un panchetto, e con un coltello la ritagliava lungo i bordi […] Il lavoro aveva la solennità di un rito”.

Il Pane carasau: un pane speciale, particolare, unico. La Sardegna è la terra del pane per eccellenza: da mangiare, da conservare; pane rituale; pane legato alle ricorrenze religiose e alle tappe della vita (persino la morte) in una moltitudine di forme e consistenze difficile da catalogare. Ma, tra tutti, il Pane carasau è il più conosciuto al di fuori dell’isola, per la facilità di trasporto e la lunghissima conservabilità, anche se a volte è banalizzato e presentato in una veste chiassosamente folklorica.

È un “oggetto” semplicissimo, dalle forme pulite, che nasconde bene la fatica e l’abilità artigianale che occorrono per ottenerlo. Fino agli anni ’40 del XX secolo era di certo il pane più diffuso: si faceva in ogni paese dell’interno e serviva da provvista per la casa, ma anche per chi era costretto lontano ad accudire le pecore nelle pinnette, o in viaggio per la transumanza. Spesso veniva piegato in quattro quando era ancora caldo per essere meglio riposto nelle bisacce (sas tascheddas) degli uomini in partenza.

Le sfoglie mediamente pesano 25 grammi l’una e hanno un diametro di circa 50 centimetri; ma in alcuni paesi la tradizione le vuole grandi il doppio. Vengono, alla fine della lavorazione, messe a piradas, sovrapposte in torri alte anche un metro. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: semola di grano duro, acqua, sale, pasta madre. In alcune zone si usa anche farina di grano tenero e cruschello e la lavorazione dell’impasto è identica a quella degli altri pani.

La differenza è nell’ultimo passaggio: tradizione vuole che ogni porzione di pasta sia lavorata su una tavola (mesa) aggiungendo un po’ d’acqua tiepida. Questa operazione è detta cariare e si ripete fino a che la pasta è abbastanza elastica da essere divisa in sfere schiacciate, che vanno poi spianate. Le donne addette a questa operazione sono tre (sas tendidoras) e lavorano con il matterello (cannèddu): la prima abbozza la forma, la seconda spiana e la terza – la più abile – ottiene la sfoglia, sottilissima e circolare (sa tunda), che dev’essere senza imperfezioni o la cottura rischia di non riuscire.

Prima di infornare si ripulisce il piano del forno con un fascio di erbe opportunamente bagnate; quindi si introduce sa tunda con una pala di castagno infarinata e si lascia gonfiare come una grande palla semitrasparente governando il fenomeno con un altro attrezzo (sa palìtta).  Una volta sfornato, il pane si sgonfia e ripassa per le mani delle panificatrici, che lo dividono in due sfoglie – una leggermente più spessa dell’altra – che vengono riposizionate brevemente in forno per biscottare, ovvero carasare, o arridare. Le sfoglie, come già detto, vengono sistemate in vere e proprie torri croccanti e leggere.

Questi sono chiaramente i passaggi tradizionali, che comprendono anche quei piccoli gesti scaramantici, come raccogliere le briciole e offrirle alle anime dei defunti, o come chiudere la bocca del forno nel caso passi un estraneo, così da proteggere da occhi potenzialmente malevoli la sacralità della “nascita” del pane. E che coinvolgono la comunità, perché il pane non si fa mai da soli e perché, accompagnato da una benedizione, si regala a chiunque del paese sia in un momento di necessità. Tutto questo in Sardegna per fortuna oggi esiste ancora e convive felicemente con laboratori di produzione, piccoli e grandi, spesso modernissimi e spessissimo gestiti, non a caso, da donne imprenditrici.

Più di mille indicazioni o prescrizioni vale questo video, un po’ datato ma bellissimo, pubblicato sul sito dell’Isre (Istituto Etnografico della Sardegna) per capire come si fa il Pane carasau:

Per provare la versatilità di questo pane in cucina basta frequentare le sale di alcuni ottimi ristoranti isolani. Io preferisco proporre una ricetta antica ed estremamente semplice: il mazzamurru. Le indicazioni sono necessariamente vaghe: il sugo di pomodoro può essere fatto secondo i propri gusti con cipolla o aglio, con solo pomodoro fresco o con la passata casalinga; il brodo può essere vegetale o di carne, nel qual caso meglio se di pecora, o, addirittura, si può usare solo acqua salata; il pecorino può essere quasi fresco o molto stagionato. Questo per sottolineare che il mazzamurru è un piatto decisamente povero, di ripiego, ma che, proprio per questo, può essere gustosissimo e appagante.

Ingredienti:
Pane carasau
sugo di pomodoro
brodo
pecorino grattugiato

Fate sobbollire il brodo adeguatamente salato e scaldate il sugo di pomodoro. Rompete le sfoglie di pane in pezzi non troppo piccoli e possibilmente regolari.
Immergete molto brevemente le sfoglie appoggiandole su una schiumarola, quindi disponetele sui singoli piatti. Ricoprite di sugo e formaggio, quindi componete un nuovo strato.
Servite immediatamente.

Bibliografia:
Pani, Ilisso, Nuoro 2005
La sacralità del pane in Sardegna, Iamundo de Cumis Marisa, Carlo Delfino Editore, Sassari 2015
Il giorno del giudizio, Salvatore Satta, 1977 (prima edizione postuma)

Sitografia:
http://www.isresardegna.it/index.html
http://www.sardegnaagricoltura.it/documenti/14_43_20070607164804.pdf
http://www.sardegnaturismo.it/it/cosa-fare/carasau
http://www.sardegnacultura.it/j/v/258?s=21897&v=2&c=2602&t=7

Partecipano come contributors:

Cristina Tiddia, Pane frattau
Daniela Ceravolo, Involtini di pane carasau con verdure saltate
Moscardo Giulia, Lasagna di pane carasau con bufala e peperoni
Manuela Valentini, Pane carasau ….. una delizia

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