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Il ricettario ufficiale di Netflix
Il ricettario ufficiale di Netflix è un libro di cucina decisamente sopra ...
Pubblicazione: 03/09/2016
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Ambasciatrice Elisabetta La Cerra per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar
Il Capsicum L., della famiglia delle Solanacee, meglio noto come peperoncino, è una pianta attualmente coltivata in quasi tutto il mondo. Secondo alcuni il nome latino potrebbe derivare da capsa (scatola) per via della forma particolare del frutto: una bacca che contiene i semi al suo interno facendo pensare a una scatola. E’ un arbusto che viene coltivato come pianta annuale, di cui attualmente esistono 35 specie, con almeno 2000 varietà.
Proviene dall’America Centrale e dall’America del Sud, dove veniva coltivata da almeno 5500 anni a.C. Le popolazioni precolombiane utilizzavano il peperoncino per aromatizzare le pietanze preparate con la farina di mais e di manioca o con la patata, per insaporire i piatti preparati con carne e pesce, insieme ai fagioli oppure al cioccolato. Era una medicina, un afrodisiaco, uno strumento di magia, ma anche di tortura. Per gli Aztechi, i Maya e gli Inca il peperoncino era la pianta sacra e usata anche come moneta di scambio.
E’ giunto in Europa dopo la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo. Ne parla lui stesso nei diari di bordo del mese di gennaio 1493, dopo essere arrivato a Haiti: “Vi era in abbondanza pure axi che è il loro pepe, di qualità che molto sopravanza quella del pepe e non v’è chi mangi senza di esso che reputano assai curativo“. Molto probabilmente la specie che Colombo incontrò era Capsicum chinense, varietà Habanero. Dopo il rientro dal secondo viaggio, le piantine di peperoncino arrivano in Spagna dove vengono offerte ai Reali spagnoli e dopo solo una sessantina d’anni il peperoncino si diffonde in tutta la Spagna, in tutta Europa e anche in Italia. Già nel 1568 il botanico italiano Pier Andrea Mattioli lo descrive nei suoi testi, chiamandolo per sbaglio “pepe d’India”.
Il peperoncino non fu accolto immediatamente con tanto atteso entusiasmo dai ricchi e dai nobili europei, abituati ai piatti dal sapore relativamente delicato e alle spezie dolci; mentre in Africa, nei paesi Arabi e in Asia venne accettato a braccia aperte.
Il peperoncino non divenne mai un’altra preziosa fonte di guadagno come invece successe per gli altri prodotti provenienti dal Nuovo Mondo ed anche la Chiesa lo bollò come “suscitatore di insani propositi”, come riporta il gesuita Josè de Acosta nei suoi scritti.
Con le classi povere invece fu amore a prima vista: insaporendo i cibi faceva dimenticare la loro monotonia, aiutava la conservazione della carne nei tempi in cui i frigoriferi non esistevano, era un valido aiuto per le popolazioni dei paesi caldi con il suo potere disinfettante. Poteva essere coltivato nell’orto di casa ma anche in un semplice vaso, dato che costava poco. Non a caso veniva chiamato “droga di tutti” o “droga dei poveri”. Vincenzo Corrado, gastronomo napoletano (1734-1836), in uno dei suoi ricettari propone una salsa chiamata Peperoncino in addobbata con la quale farcire la testa di un capretto, mentre Ippolito Cavalcanti (1787-1859), Duca di Buonvicino, propone una Zuppa di soffritto con il peperoncino; Pellegrino Artusi, invece, nel 1891 non nomina neanche una pietanza piccante.
In cucina il peperoncino è usato moltissimo: può essere consumato fresco, essiccato o affumicato, cotto o crudo. Alcune ricette regionali tradizionali italiane lo annoverano tra gli ingredienti principali: gli “spaghetti aglio, olio e peperoncino” oppure “la pasta all’arrabbiata” non sarebbero gli stessi senza il peperoncino, che regala generoso quel sapore particolare.
La Calabria ne ha fatto la base dei propri piatti regionali con la famosa “‘nduja“, ma non sono da meno anche Basilicata e Puglia. In Abruzzo il peperoncino si distingue nella coratella di agnello o capretto, nei fagioli con le cotiche, nelle cicerchie; senza dimenticare gli gnocchetti con orapi (spinacio selvatico) e peperoncino.
Consumato fresco il peperoncino ha un aroma e un sapore caratteristico, che varia secondo la specie; anche essiccato mantiene la sua piccantezza. Il peperoncino fresco nelle sue varietà meno piccanti è ideale per insalate, piatti di verdura o di legumi, mentre essiccato accompagna perfettamente sughi, salse, carni e verdure. Lo troviamo nei salumi, nei formaggi e nelle conserve, ma anche nelle tavolette di cioccolato o nei cioccolatini.
I peperoncini freschi si conservano in frigorifero, nei cassetti della frutta e verdura, per 3 o 4 giorni; quelli essiccati vanno conservati in un barattolo chiuso ermeticamente, in un luogo fresco e asciutto. Ottima idea conservare il peperoncino spezzettato in una bottiglietta di olio extravergine d’oliva, cosi da avere un olio aromatizzato da utilizzare in qualsiasi momento per insaporire a crudo tutti i piatti.
In generale il peperoncino lega con tutto, dai primi piatti ai secondi al dolce, ma il suo abbinamento non è così scontato: non basta prenderne uno qualsiasi, tagliarlo e unirlo alla pietanza scelta, perchè si potrebbe anche compromettere l’armonia di un semplice piatto.
Dietro al “gesto” di insaporire si nasconde una filosofia, anzi una vera e propria cultura: attraverso l’aroma e la piccantezza di un determinato peperoncino, é possibile esaltare il sapore di una pietanza, concentrando tutte le capacità sensoriali del cervello sull’ingrediente base del piatto in questione.
La piccantezza del peperoncino è dovuta alla quantità contenuta di una sostanza chiamata capsaicina. Questa sostanza è conosciuta per la sua azione rubefacente, ovvero la capacità di stimolare l’afflusso del sangue nella zona contattata. Sono sufficienti dosaggi minimi di capsaicina per provocare una forte sensazione del bruciore. Il grado di piccantezza si misura tramite la scala di ” Scoville”, dal nome di Wilbur Scoville, un farmacista di Detroit che la mise a punto nel 1912, con gradi da “0 a 10”. La varietà più piccante si sposa bene con la carne, meno piccante si unisce bene alla pasta e leggermente piccante è adatto a pesci e dolci.
Nel maneggiare il peperoncino meglio usare guanti in lattice; se sprovvisti, dopo averlo toccato lavarsi immediatamente le mani con latte o aceto di vino bianco.
Per eliminare il bruciore del peperoncino dalla bocca è meglio mangiare prodotti caseari che aiutano ad assorbire in parte la capsaicina, mentre è sconsigliata l’acqua, perchè aumenta la sensazione di bruciore. Questo, per il fatto che la capsaicina è poco solubile nell’acqua e facilmente solubile nel grasso o nell’alcol. Quindi, va bene il latte, lo yogurt o un pezzo di formaggio possibilmente morbido. Ancheun bicchierino di grappa? Sarebbe logico e ce lo dice la scienza!
Oltre alle sue numerose proprietà terapeutiche come aiuto nella digestione, nelle malattie di raffreddamento, contro i dolori reumatici, come antitumorale, e anticamente, nella conservazione del cibo, il peperoncino per la sua colorazione rossa e forma a cornetto viene utilizzato anche come simbolo scaramantico: addirittura nella tradizione contadina di alcune famiglie c’era l’usanza di regalare agli sposi una corona di peperoncini come simbolo di reciproco aiuto nelle avversità della vita e si appendeva una collana di peperoncini sull’uscio della porta per tenere lontano gli spiriti malvagi.
Ingredienti:
1 kg di peperoncini rossi e verdi freschi
mezzo bicchiere di aceto bianco
30 gr di sale marino fino
olio extravergine d’oliva
Preparazione:
Lavate i peperoncini, asciugateli bene con carta assorbente e lasciateli al sole stesi su una gratella per qualche ora. Togliete il picciolo e tagliateli poi a pezzetti usando guanti in lattice. Metteteli in un recipiente e cospargeteli con il sale e l’aceto, rigirateli per bene. Lasciateli ancora al sole per alcune ore, rigirandoli spesso: piano piano inizieranno a ritirarsi, quello è il momento di riportarli in casa. Lasciateli un’oretta al fresco, quindi metteteli in un vasetto di vetro sterilizzato e ricoprite di olio, versandolo poco alla volta per permettere l’eliminazione delle bolle d’aria. Coprite fino all’orlo del vasetto e aspettate un paio d’ore prima di chiudere, per essere sicuri che l’olio non cali, nel qual caso si rabbocca il necessario. Chiudete il vasetto e conservate in un luogo fresco e asciutto per almeno 40 giorni, in modo che i sapori si amalgamino tra di loro.
Fonti:
www.peperoncino.org
it.wikipedia.org
Luciano Sterpellone, A pranzo con la storia. SEI Editore
Partecipano come contributors:
Daniela Ceravolo, Peperoncini piccanti ripieni alla calabrese
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Grazie Elisabetta
Tiziana
Ottima guida, sto seccando i peperoncini ora e la proverò presto!