24/10/2024
Frida Kahlo e il cibo: arte, cultura e passione
Gabriella Rizzo ci racconta Frida Kahlo, donna volitiva e passionale e artista iconica. Il suo rapporto con il cibo tra arte, cultura e passione.
Pubblicazione: 05/11/2016
Lista degli argomenti
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Ambasciatrice Chiara Lazzarin per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar
Che fosse divino lo sostenevano già gli antichi Romani, per i quali il Tartufo venne generato da un fulmine scagliato sulla terra da Giove; e così il prelibato tubero finì per essere consumato alla sontuosa tavola degli dei dell’Olimpo. Gli Egiziani, invece, consumavano la terfezia, un fungo sotterraneo somigliante al tartufo, ancora oggi spacciata in alcuni casi come tartufo nero ad ignari consumatori.
Secondo Plinio il Vecchio, il Tartufo “sta fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare, magnificamente in grado di sopravvivere senza radici“ (tratto da Naturalis Historia): proprio per questo motivo, venne sempre guardato con timore nel Medioevo, in quanto si sosteneva fosse pericoloso cibarsene, tanto quanto i funghi, e i contadini lo consumavano solamente una volta cotto sotto le ceneri con altri tuberi e cosparso di miele. Secondo le teorie del tempo, solo persone bizzarre e dai comportamenti lascivi avrebbero osato consumare un alimento così dannato, vista poi la sua fama dalla notte dei tempi: da sempre, infatti, il tartufo viene considerato un cibo dalla forte carica afrodisiaca, e le sue proprietà vengono decantate in modo molto più blasonante dal Rinascimento in poi, grazie in particolar modo agli scritti di Pietro Aretino, che lo ricorda in numerosi passaggi dei suoi “Ragionamenti”:
“ …E, perché i tartufi , le ostrighe e i frutti non son cibi, ma allettamenti de l’apetito, che sforzano a mangiare fino ai satolli, non vorrei che il piacer, che ho preso mangiandogli, vi facesse credere che io mi dilettassi nel vizio de la gola” .
Ancora sue profumate tracce si trovano nelle Memorie di Casanova: diverrà una delle poche debolezze del terribile Marchese De Sade, avvezzo a consumare indecenti quantità di ostriche al tartufo. Infine, sarà conclamato con una celebre citazione dal famoso gastronomo francese Brillat-Savarin niente meno come “il diamante della cucina”.
Definizione calzante ancor oggi, quando il prezzo del Tartufo ha raggiunto cifre da capogiro: ogni anno, i tartufi d’Alba vengono messi all’incanto in loco e venduti all’asta via internet ai migliori ristoranti del mondo oltreoceano a prezzi proibitivi. La sua quotazione varia di anno in anno, a seconda del colore (il bianco è decisamente molto più pregiato rispetto al nero), ma soprattutto della pezzatura: si oscilla dagli 80,00 euro all’etto (minimo) per quello nero fino ad un minimo di 300/ 450 euro all’etto per quello bianco.
La paternità di questo prezioso tubero è da sempre fonte di rivalità storica tra Piemonte e Toscana, a cui si aggiungono le Marche e l’Umbria; in particolare, le zone dove lo si può trovare sono Alba, nelle Langhe e nel Monferrato, ma anche nella zona di San Miniato in provincia di Pisa, di Acqualagna in provincia di Pesaro-Urbino, di San Pietro Avellana in provincia di Isernia, di Pecoraia in provincia di Piacenza e di Ateleta in provincia de L’Aquila.
Le regioni “primedonne” sono anche protagoniste delle celebri mostre del tartufo: ad Alba si svolge ogni anno, nei mesi di ottobre e novembre, la Fiera del Tartufo Bianco, giunta quest’anno alla 86° edizione; mentre a San Giovanni d’Asso, nel cuore delle Crete Senesi, viene regalata la miglior trifola raccolta a uomini o donne che abbiano come missione di portare un po’ di pace tra l’umanità.
Ma niente di tutto questo sarebbe possibile senza loro, i fedeli e indispensabili cani da tartufi: generalmente “figli d’arte”, di razza (il lagotto romagnolo è il più diffuso come cane da tartufo) e con pedigree. I cuccioli vengono abituati sin da piccoli a riconoscere l’odore del prezioso tubero; da grandi, una volta addestrati, saranno il vero e proprio braccio destro del trifolau, accompagnandolo nelle zone a lui solo conosciute e segrete nella caccia al prezioso tubero. La raccolta avviene esclusivamente a mano (…e a zampa!). Racconta Tonino, un trifolau di San Damiano d’ Asti , che il suo cane Leo riuscì a sentire l’odore di un tartufo che giaceva a quasi venti centimetri sotto terra: iniziò a raspare delicatamente con una zampa, nonostante la diffidenza del padrone, che però si dovette ricredere quando il cane affondò entrambe le zampe nella terra per scavare e portare alla luce un magnifico tartufo grande quasi come una patata!
Le zone di “caccia” sono naturalmente segrete; in generale, si sa che i tartufi nascono spontaneamente accanto alle radici di alcuni alberi, in particolare lecci, querce, salici e noccioli.
Doveroso ricordare che in natura un altro animale sa riconoscere perfettamente il profumo del pregiato tubero:il maiale, che viene utilizzato soprattutto in Umbria o in alcune regioni francesi.
Il miglior utilizzo culinario del Tartufo è doverosamente a crudo: una preziosa grattata su riso, pasta, carne cruda battuta a coltello o uova è il paradiso in terra di ogni amante di questo raro e costoso ingrediente .
La ricetta che andiamo a proporre è quella del tajarin al tartufo: la caratteristica di questa pasta tipica della zona delle Langhe, in Piemonte, è l’estrema sottigliezza, tanto da ricordare come spessore la finezza dei capelli. Il matrimonio con il tartufo è semplicemente perfetto!
INGREDIENTI PER 4 PERSONE:
Per la pasta:
300 g di farina 00
3 uova
un pizzico di sale
Per il condimento:
50 g di burro
1 tartufo bianco da 40 g (il trifolau consiglia 10 g di tartufo a persona)
Disporre la farina a fontana sulla spianatoia. Rompere le uova, versarle al centro della farina, sbatterle con la forchetta, unire un pizzico di sale e lavorare l’impasto fino ad ottenere una pasta piuttosto elastica e soda. Far riposare coperta da un canovaccio per 30 minuti. Tirare la pasta con l’apposita macchina fino a circa 1 millimetro di spessore, poi tagliare i tajarin ad una larghezza di circa 2-3 millimetri.
Cuocere la pasta in abbondante acqua bollente salata; nel frattempo, far sciogliere in un tegame il burro e unire un mestolino di acqua di cottura.
Scolare i tajarin al dente e condirli saltandoli nel burro.
Cospargere con il tartufo bianco tagliato a lamelle, direttamente su ogni piatto dei commensali.
BIBLIOGRAFIA :
“Mai fragole a dicembre “ di Licia Granello
“Sillabario goloso “ di Laura Grandi e Stefano Tettamanti
“Banchetti letterari” a cura di Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi
Partecipano come contributors:
Cristina Galliti, Master Tartufo Bianco a San Miniato e l’esito in cucina
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grazie Chiara per questo splendido articolo!
sono contenta Cristina che ti sia piaciuto ! 🙂