
27 Settembre 2023
Favole in cucina: Cappuccetto Rosso e il Lupo
La nostra Signora delle favole ci racconta la sua rivisitazione di Cappuccetto Rosso e il Lupo, naturalmente in chiave golosa e gastronomica...
Pubblicazione: 4 Febbraio 2016
Lista degli argomenti
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Ambasciatore Marco Furmenti per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar
“Simpri jote, simpri jote, e mai polent e lat.
Simpri jerbes, simpri jerbes e mai un biel fantat…”
Parole dure che sanno di fame, di terra e fango, di fuoco che scoppietta, di una pentola che sobbolle costantemente sullo spoler (tipico camino friulano) e di ricordi persi nel tempo. Sempre jota e mai polenta e latte, sempre erbe e mai un bel ragazzo: sembra ancora di sentire cantare le giovani che con un friulano duro, scolpito nelle loro mani rovinate dal freddo e dal lavoro rimpiangono la loro condizione di povertà che non permette di godere delle gioie della vita.
Una zuppa che se potesse parlare avrebbe molto raccontare sulla sua storia a partire dal suo nome curioso: Jota. Non mancano sicuramente le ipotesi sulla sua etimologia che partono da una lingua celtica, passando per il latino e un friulano antico… Ma vediamo di andare con ordine.
Pare che il nome jota derivi da jutta un termine latino/medievale che significa minestra, anche se qualcuno azzarda un’origine gallica dalla parola iutta che significherebbe brodo. Credo che in questo modo il discorso fili piuttosto bene! Si parte da un’origine celtica (i celti erano presenti in Friuli già centinaia di anni prima di Cristo) per passare ad una denominazione latina che piano piano si è trasformata in friulano. Bene! Direi che sull’etimologia ci siamo, ma nella fattispecie di che cosa stiamo parlando? Facciamo un altro passo e torniamo ancora indietro di almeno seicento anni. Siamo ancora in Friuli, forse zona del Cividalese, l’anno è il 1432 e in un piccolo quaderno di una confraternita di monaci si legge a chiare lettere:
“a fa un buino iottho”
Un modo di scrivere che ricorda i dialetti dell’alta montagna, ma che con eleganza elenca tutti gli ingredienti necessari alla realizzazione di questa singolare ricetta.
“forment, favo, chiar di purçiel, altris chiosis”
(frumento, fave, carne di suino, altre cose)
Ed ecco che la nostra jota, come la chiamiamo oggi è bella che servita. Oddio, i più attenti avranno notato che questa ricetta è molto lontana da quella che conosciamo oggi in Friuli Venezia Giulia, ma come punto di partenza direi che non c’è male. Mancano sicuramente i fagioli, il mais, le patate e anche le rape o i cavoli acidi che qui sono sostituiti con il frumento e le fave.
Siamo però ancora nel 1432 e prima che questi prodotti raggiungano il Friuli dalle Americhe ci vorrà come minimo un altro secolo.
Lo iottho, o la Jota, a questo punto sembra già essere una minestra ben distribuita sul territorio friulano, già simbolo della povertà e della sapienza contadina nell’utilizzo delle materie prime a loro disposizione. Anche se di nascita povera, nella gastronomia triestina e goriziana si eleva oggi a emblema della cucina: molto probabilmente arrivò in queste zone solo in un secondo momento.
Sembra infatti che sia di origine carnica, ovvero delle zone montane del Nord Ovest della regione, dove veniva realizzata con centinaia di sfaccettature diverse. Gli ingredienti caratteristici che la compongono confermano tutti questa ipotesi, tranne uno: la brovada.
La brovada è una tipica preparazione regionale a base di rape grattugiate, fatte inacidire con le vinacce del vino rosso. La montagna friulana è ricca di rape, senza ombra di dubbio, ma le vinacce? Eh no… quelle ci mancano. È un prodotto più da pianura. E quindi? Ecco che la cultura regionale ci viene in aiuto con il brovadar ovvero delle rape con le foglie, cotte, fatte inacidire in acqua.
Forse è da questa ricetta che è partito tutto e poi naturalmente si è differenziata nel momento in cui si è diffusa in regione. Scendendo nella nebbiosa pianura friulana, il brovadar si è trasformato in brovada e arrivando sulle ventose coste di Trieste è diventato crauto (capuzo garbo) aggiungendo una nota di Mitteleuropa a questa preparazione.
Esistono poi migliaia di versioni regionali che prevedevano spesso la zucca, più brovada, cardi, radicchio, silene, biete, ortiche, ma tutte con un tema comune: il fagiolo.
Nella ricetta citata inizialmente abbiamo visto come il fagiolo veniva egregiamente sostituito dalla fava, ma in realtà sappiamo come spesso venisse utilizzato il fagiolo dall’occhio, già presente in Europa prima di Colombo, al quale seguiranno tutte le varianti provenienti dal nuovo continente.
La jota, figlia del suo tempo, orfana di padre e di madre, rivendica quotidianamente una patria. Se è vero che i genitori sono carnici è anche vero che nel corso dei secoli è stata adottata da Trieste e Gorizia dove ha avuto il suo massimo splendore. Questo rimane ancora un mistero in effetti…
Sulle alte montagne, si serve sui cigli delle strade per riscaldarsi durante la dura giornata di lavoro, ma quando arriva a Trieste diventa un piatto portato su un palmo di mano dalla popolazione.
“i cjargnei mangjin jote e la cuincin cui gjardons”
Così recita una canzone che apostrofa i carnici come grandi mangiatori di jota condita con i cardi, che ne sottolinea la nascita povera.
Visto che sempre troppo spesso le ricette proposte sui libri e su internet presentano la versione “alla moda triestina”, per l’occasione vorrei presentarvi entrambe le varianti: la jota alla friulana e la jota alla triestina.
Non lasciatevi distrarre dalle dosi di queste ricette! Quando si parla di minestre povere, spesso la parola d’ordine è usare le unità di misure casalinghe come “un tic, un vȇl, un cicinin” (un po’) e soprattutto il vȏli (ad occhio).
Ingredienti per 4 persone
150 g di fagioli borlotti
200 g di brovada DOP
150 g di patate pulite
180 g di salsiccia
1 cucchiaio di farina di mais
1 cucchiaio di burro
100 g di pancetta
2 spicchi d’aglio
1 fetta di lardo abbastanza spessa
Sedano, carota, cipolla
Procedimento
Per la brovada:
far rosolare in abbondante olio d’oliva 1 spicchio d’aglio. Aggiungere la brovada e lasciar cuocere a fuoco basso per 2h aggiustando di sale.
Lasciare i fagioli a bagno tutta la notte e poi farli bollire abbondantemente fino a cottura completa.
In un mixer, frullare il lardo con la carota, il sedano e la cipolla tagliati a tocchetti fino ad ottenere una crema.
In una pentola nuova far rosolare i fagioli e le patate a cubetti nel lardo condito e coprirli d’acqua. Lasciare cuocere.
A parte, far rosolare in poco olio, uno spicchio d’aglio, la pancetta e la salsiccia.
Quando le patate e i fagioli saranno cotti, frullare la metà del composto.
Aggiungere la brovada alla carne e rosolare per 5 minuti. Aggiungere quindi le patate e i fagioli interi e la parte frullata.
In una padella fare un soffritto con burro e farina di mais e aggiungerlo delicatamente alla zuppa senza formare grumi.
Cuocere per una decina di minuti o fino a quando non si presenterà abbastanza densa.
Ingredienti per 4 persone
150 g di fagioli borlotti
150 g di patate gialle da minestra
130 g di crauti
2 foglie di alloro
1 spicchio d’aglio
1 e ½ di farina
200 g di costine di maiale affumicate
Procedimento
La sera prima, mettere in ammollo i fagioli in acqua. Il giorno seguente cuocerli a partire dall’acqua fredda assieme alle costine di maiale e alle patate sbucciate e tagliate a cubetti. A fine cottura prelevare le costine e parte dei fagioli e delle patate. Passare il resto del contenuto della pentola.
A parte far bollire i crauti coperti d’acqua senza far asciugare del tutto l’acqua. In una pentola nuova fare un soffritto con dell’olio, la farina e l’aglio.
Unire assieme i crauti, i fagioli, le patate e la parte passata portando ad ebollizione. A questo punto aggiungere delicatamente il soffritto stando attenti a non formare grumi. Servire immediatamente o, ancora meglio, il giorno seguente.
Partecipano come contributors:
Enrica Gouthier, Jota triestina
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Partecipa anche come contributor Anna Maria Martinis con la sua personale presentazione
http://tuttositrasforma.blogspot.it/2014/09/jota-con-fagioli-patate-crauti.html
Non la conoscevo. Bellissimo articolo. Ho imparato molto leggendolo. Grazie.
Buon calendario a tutti anche oggi
Tiziana
Sapevo che la jota era un piatto friulano ma non lo conoscevo, grazie per l’articolo pieno di spiegazioni interessantissime
buona giornata
Manu
Gastronomia, cultura e tradizioni friulane sono a me piuttosto sconosciute. Grazie Marco per questo bell’articolo che racconta un pezzetto di questa regione.
Ciao Marco, ho molto apprezzato il tuo articolo su una ricetta che non conoscevo la cui storia è davvero interessante. Ho molto apprezzato il tuo excursus storico e soprattutto l’ambientazione fotografica che rende in immagini quanto da te raccontato. Grazie
Le belle minestre sostanziose dell’inverno, meravigliose. Specialmente se accompagnate di una bella storia.
Splendida! Bellissima ricetta! Complimenti a Marco per l’articolo!
Non conoscevo la jota e la sua affascinante storia. Grazie mille Marco per questo bellissimo e dettagliato contributo.
Mariangela