Le Olive all’Ascolana

Pubblicazione: 28/09/2016

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Giornata Nazionale delle Olive all’Ascolana

Ambasciatrici Eleonora Giammarini e Patrizia Laquale per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Circa 20 anni fa mi sono innamorata prima di un marchigiano, dopo della sua terra baciata dal mare e accarezzata dalle colline e poi di quel gioiellino tondo e dorato che troneggiava al centro del tavolo.
Ricordo bene quella sera, quella dell’incontro tra me e la dorata oliva ripiena. Ne trafugai una da vera ingorda, poi un’altra assaporandola, prendendomi più tempo, poi ancora una e una  e una… Era nato l’amore e quando si ama hai voglia di conoscere, di sapere, di carpire ogni segreto. Così il giorno dopo niente mare e niente sole, ma chiesi alla mia amica di insegnarmi la ricetta: volevo capire come una piccola oliva si potesse farcire.

In realtà l’Oliva Ascolana proprio piccola non è, ma è grande, tenera, dolce e ricca di polpa e si conserva in salamoia; ma diventa regina della tavola marchigiana farcita e fritta.

Mi è stato insegnato che tempo, pazienza e manualità sono i tre principi base per ottenere delle buone olive farcite.
Si comincia a snocciolare le olive, rigorosamente a mano tra una chiacchiera e un sorriso, armate di pazienza e coltello; in realtà è molto semplice, perchè l’oliva ha un nocciolo piccolo che si stacca facilmente dalla polpa, il taglio deve essere a spirale, quindi si lasciano a bagno in acqua fredda.

“… Eppuó ce mitte
Carne fresca, parte uguale,
Pulle, manze e lu maiale,
Magra, scedda e fatt’a piezze… ”

Le nonne le preparano cantando la filastrocca, una sorta di nenia per ricordare i passaggi e gli ingredienti: tre tipi di carne fatta a pezzi e fatta rosolare con il lardo del prosciutto tritato o l’olio di oliva. Tolgono la carne dal tegame e la lasciano raffreddare. Staccano il fondo di cottura con del vino su fuoco dolce. Tritano finissime le carni, inserendo nell’ordine gli aromi, il fondo di cottura, della salsa di pomodoro, un uovo ed un tuorlo, Parmigiano grattugiato, e pestano in un mortaio l’impasto ottenuto. Farciscono le olive ridando loro la forma ovale allungata originale, proseguono poi con i vari passaggi dell’impanatura. Ora, prima di cuocerle le lasciano riposare per un po’, così gli ingredienti hanno il tempo di amalgamarsi e rassodarsi. Quindi procedono alla frittura rigorosamente in olio d’oliva.

Il segreto della frittura? Come scriveva Brillat-Savarin è la sorpresa. Infatti, in un baleno l’olio bollente cattura la sua preda, la immobilizza, le strappa il suo sapore, le regala quella speciale aureola dorata, trasformando l’oliva in una leccornia irresistibile.

La loro preparazione può risultare lunga e laboriosa, ma una volta in tavola rappresentano il piacere del convivio e quella preparazione fatta con amore diventa l’anima dell’ospitalità. E’ stato così per me ed ancora oggi, quando assaporo un’Oliva Ascolana, chiudo gli occhi e penso a quei giorni felici, quando preparare olive mi faceva sentire parte di una famiglia.

Le Olive Ascolane incarnano la “cucina di casa marchigiana”, quella cucina che va conservata, valorizzata e tramandata. Rappresentano un rito sia nella preparazione che nella cottura, ma soprattutto sono lo street food marchigiano.

Affondano le loro origini nell’antica Roma, dove le antenate olive in salamoia dette dai romani “Livia Concia” erano considerate un cibo molto nutriente e comparivano nel pasto delle truppe legionarie.

Il nome latino colymbades, che deriva dal greco κολυμβάω (colymbáo, “nuotare”) si riferisce al metodo di conservazione usato all’epoca, secondo il quale le olive venivano sottoposte a diversi lavaggi e, successivamente, conservate in salamoia. Si deve ai Monaci benedettini Olivetani, però, la razionalizzazione delle pratiche agronomiche sugli olivi per ottenere questa speciale oliva. Infatti, essi furono i primi ad operare la concia delle olive utilizzando il “ranno”, liquido alcalino ottenuto dissolvendo una parte di calce viva con 4-5 parti di cenere di legno in acqua. Carteggi inediti, provenienti dall’archivio dei Benedettini, forniscono notizie anteriori al 1500 sulla coltivazione, sulla raccolta e sull’utilizzazione delle olive da tavola nell’Ascolano. Partendo dalla lettura di alcuni documenti risalenti a quell’epoca, i metodi di preparazione delle olive prevedevano un trattamento a base di calce e potassa e successivamente sale, per la conservazione. Alcuni autori descrivono la raccolta delle Olive Ascolane, il trattamento delle stesse e la preparazione di quelle che, eliminatone il nocciolo, venivano chiamate “Giudee”, perché senza anima. Tali olive possono essere considerate le attuali progenitrici delle olive farcite e fritte secondo la nota ricetta locale che prevede, appunto, la procedura di seguito riportata, in quanto facente parte ormai del bagaglio storico-culturale dell’area di produzione. La ricetta dell’oliva farcita nasce nel 1800 dalla fantasia dei cuochi delle famiglie nobili, che avevano la necessità di consumare la carne in avanzo in dispensa: nasce così dall’unione di più carni e, con l’aggiunta di qualche semplice ingrediente, diventa un caposaldo della regione e di una cultura, depositaria delle tradizioni e dell’identità di un popolo, tramandata di generazione in generazione da madre a figlia.

Nel 2005 le Olive Ascolane sono state riconosciute come prodotto DOP, il marchio di qualità che viene attribuito a quegli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono prodotti. L’ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire) che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Affinché un prodotto sia Dop, inoltre, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un’area geografica delimitata. I comuni che fanno parte del Consorzio di tutela dell’Oliva Ascolana sono 61 tra le provincie di Ascoli Piceno e Fermo e 27 per la provincia di Teramo.

Terra e mare, rocche medioevali e castelli, morbide colline e scorci inaspettati, questa terra,  con la sua diversità di paesaggio e territorio, è la madre  dell’Olivo Ascolano che si presenta come un albero rigoglioso a chioma folta e ci dona  l’Olea Europaea sativa, ovvero “Ascolana Tenera”, la cui raccolta comincia il 10 settembre e si protrae fino al 20 ottobre. Quindi si passa alla loro trasformazione secondo il disciplinare, che avviene nei seguenti passaggi:

–          deamarizzazione con immersione in una soluzione di idrato sodico per 8-12 ore
–          lavaggio delle olive
–          fermentazione e conservazione in salamoia per un minimo di 10 mesi

A prescindere dalle varie ricette che ogni famiglia marchigiana custodisce gelosamente, l’oliva ripiena con la denominazione Dop “Oliva Ascolana del Piceno” deve essere prodotta seguendo le modalità tipiche e tradizionali depositate e con questi ingredienti:

–          40-70% di carne di bovino adulto,
–          30-50% di carne suina,
–          max 10% di carne di pollo o tacchino,
–          2-4 uova per ogni chilo di impasto,
–          100 g di formaggio stagionato grattugiato,
–          olio extra vergine di oliva  o burro  quanto basta alla cottura delle carni,
–          carota, cipolla, costa di sedano, vino bianco secco per la cottura delle carni,
–          noce moscata, chiodi di garofano, buccia di limone e sale per insaporire,
–          uova, farina di grano e  pangrattato per la panatura.

La ricetta che condivido con voi fa parte, invece, del mio cassetto dei ricordi, legata a quell’estate marchigiana fatta di curiosità, amore e nuovi sapori.

500 g di olive verdi varietà “ascolana tenera”,
150 g di polpa di manzo
100 g di lombo di maiale
50 g di petto di pollo
1 cipolla
1 costa di sedano
1 carota
2 uova
olio extravergine d’oliva e burro q.b
sale
pepe
50 g di formaggio grana grattugiato
noce moscata,
1 bicchiere di vino bianco secco.
Per l’impanatura: pangrattato, un uovo, farina

Tritate il sedano, la cipolla e la carota, tagliate la carne a pezzi e fate soffriggere il tutto in olio e burro; sfumate poi con il vino bianco. A cottura raggiunta, passate e ripassate al tritacarne, unite il formaggio, le uova, una spolverata di noce moscata e aggiustate di sale e pepe. Amalgamate e preparate con il composto delle palline a forma di oliva. Tagliate quindi le olive verdi a spirale, togliete il nocciolo, ricomponete la forma avvolgendole attorno alle pallottoline di ripieno, infarinatele, passatele nell’uovo sbattuto e poi nel pangrattato. Friggete le olive farcite nell’olio bollente. Servite calde con fettine di limone.

La mia amica Gabriella di Porto San Giorgio consiglia di non far cuocere molto la carne, ma di farla rosolare in esterno lasciando l’interno crudo: questo conferisce all’impasto più morbidezza. Suggerisce, inoltre, di impanare le olive man mano che si friggono, per conservare la croccantezza.

Fonti:
Massimo Montanari – Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo
www.taccuinistorici.it/ita/news/olio-olive/oliva-ascolana-del-piceno-dop
www.ilgiornaledelcibo.it/ricetta-delle-olive-ascolane
www.naturalmenteitaliano.it
www.villaggimarche.com
Disciplinare del consorzio di tutela dell’oliva ascolana doc

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