02/09/2024
La cozza di Cervia
Il mitilo mediterraneo (Mytilus galloprovincialis), comunemente noto come cozza, è un mollusco ...
Pubblicazione: 11/11/2016
Lista degli argomenti
Lista degli argomenti
Ambasciatrice Marina Riccitelli per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar
“pèttole, pittule, scorpelle, sfringiuli, zeppole, zippuli, crispeddi”
Sono pezzetti di pasta lievitata molto morbidi fritti nell’olio bollente. Diffuse in tutta l’Italia Meridionale, cambiano nome a seconda del paese in cui ci si trova, ma hanno in comune il periodo in cui vengono preparate.
Curiosa l’etimologia dei vari nomi:
– “pettola” in Puglia: dal latino pittula, diminutivo di pitta, cioè focaccia. Ma sembrerebbe avere anche un altro significato: la “pettola”è il lembo di camicia che sporge dai calzoni, che richiamerebbe il gesto con il quale si creano le pettole – si prende l’impasto con la mano sinistra, si stringe il pugno e si fa uscire una pallina tra il pollice e l’indice piegati, quasi come il lembo di una camicia che fuoriesce dai pantaloni;
– “zeppola pastacrisciuta” a Napoli: viene da zeppa, dal latino cippus, pezzetto di legno in grado di risolvere piccoli problemi di livellamento;
– “crispeddi” in alcune zone della Calabria: dal latino “crispus” perché increspate all’esterno;
– “sfinci” in Sicilia: dall’arabo isfan, spugna. Qui addirittura cambiano forma a seconda del ripieno: tonde con la ricotta, allungate con le alici.
Le Pittule sono un piatto di magro e la tradizione salentina le vede sulla tavola già dall’11 novembre, giorno di San Martino, rappresentando un’occasione per festeggiare la fine della fermentazione del mosto.
A Taranto si preparano il 22 dicembre, giorno di Santa Cecilia, per ricordare la leggenda di una donna che, mentre seguiva la lievitazione del pane, fu distratta dal suono degli zampognari e li seguì per le strade della città. Al suo ritorno la pasta era talmente lievitata che era impossibile preparare il pane e così – probabilmente per smaltirla – cominciò a friggerne dei pezzi nell’olio. I suoi figlioletti apprezzarono tantissimo la nuova ricetta e chiesero alla mamma come si chiamasse e lei rispose “pettel”, pensando ad una versione mignon della focaccia che, in dialetto tarantino, si chiama pitta; poi scese in strada e le offrì ai zampognari che, con le loro melodie, avevano reso possibile quel miracolo culinario.
Ed eccoci all’otto dicembre, giorno dell’Immacolata quando la loro preparazione segna l’inizio delle festività natalizie: saranno poi proprio le Pettole le protagoniste dei pranzi di magro della vigilia di Natale e Capodanno.
Un proverbio salentino recita: ‘nel giorno della ‘Mmaculata’ la prima frizzulata, la prima frittura, alla Candelora l’ultima frizzola, l’ultima frittura’.
E’ interessante notare come queste umili frittelle scandiscano il calendario delle festività invernali: un modo, forse, per esorcizzare il freddo ed il letargo della natura.
Le Pettole sono un piatto semplicissimo ma di notevole difficoltà.
La morbidezza dell’impasto sta tutta nell’energia con cui viene lavorata la pastella: un tempo il duro lavoro di avambracci dava la giusta consistenza all’impasto, realizzato tradizionalmente con il lievito naturale, conservato gelosamente e religiosamente per anni. Probabilmente oggi planetarie e robot sostituiscono in molte famiglie l’impegnativo lavoro dell’impasto.
Comunque lo si lavori, è importante che rimanga abbastanza morbido ed elastico, tanto che al momento di friggere sarà necessario ungere un po’ le mani di olio per non farlo appiccicare alle dita. I pezzetti di pasta andranno tuffati nell’olio bollente, lì si gonfieranno e si doreranno, senza però inzupparsene.
Le Pettole tradizionali sono dolci e vanno cotte per prime e poi pucciate nello zucchero semolato o nel miele. Quelle salate sono tradizionalmente ripiene di alici, ma possono essere farcite con pezzetti di baccalà, olive, formaggio, pomodori secchi.
In alcune zone si aggiunge all’impasto una patata schiacciata, mentre altrove vengono modellate a forma di ciambella o di bretzel, ritenendole sembianze benaugurali.
La Zeppola si acquista nelle tante friggitorie napoletane e si mangia in piedi ancora bollente, esempio di un fast food ante litteram. E’ a questa Zeppola che si fa riferimento per indicare un difetto di pronuncia che riguarda la esse e la zeta. Non tanto per l’impossibilità di dire correttamente ”zeppola”, ma perché si parla come se si avesse “una zeppola in bocca”, caldissima. E la Zeppola pastacrisciuta si mangia infatti bollente.
500 g di farina tipo 0
7 g di lievito di birra
250/300 ml circa di acqua tiepida
1 cucchiaino di sale sciolto in un po’ di acqua
abbondante olio di semi di arachide
Sciogliere il lievito in acqua tiepida, aggiungere man mano la farina e l’acqua restante. Quando il lievito sarà ben incorporato, unire anche il sale.
Impastare energicamente e lasciar lievitare almeno 2 ore, in ciotola coperto. L’impasto dovrà più che raddoppiare il suo volume e rimanere abbastanza fluido.
Mettere in un piatto un po’ d’olio per ungere le mani: prendere un pezzetto di pasta, modellarla con le dita e poi tuffarla nell’olio caldo. Le prime crispelle saranno necessariamente dolci per evitare contaminazioni salate nell’olio.
Volete mangiarle caldissime?
Mercoledì 28 e Giovedì 29 Dicembre 2016 a Positano – Spiaggia Grande – appuntamento per la XXXV Sagra della Zeppola!
Fonti:
http://www.zeppola.it/
https://it.wikipedia.org/
101 storie sulla Puglia che non ti hanno mai raccontato, di Rossano Astremo
Ricettario italiano: la cucina dei poveri e dei re, a cura di Paola Scolari
Partecipano come contributors:
Daniela Ceravolo, Zeppole calabresi con le sarde salate
02/09/2024
Il mitilo mediterraneo (Mytilus galloprovincialis), comunemente noto come cozza, è un mollusco ...
05/08/2024
Jerusalem non è solo un libro di cucina ma è una vera ...
19/07/2024
Nel mese di maggio della scorsa primavera i soci di Aifb si ...