Napule tene tre cose belle: o’sole, a’ pizza e a’ sfogliatella! (da No, grazie il caffè mi rende nervoso di Lello Arena)
Anche se le meraviglie di Napoli sono più delle tre elencate dalla citazione, la Sfogliatella ha davvero qualcosa di unico e particolare senza pari: una poesia di aromi, sapori e consistenze che si sprigionano sin dal primo morso.
La Sfogliatella è molto più di un dolce. E’ un atto di devozione.
Non a caso nasce in convento.
C’era un tempo, infatti, in cui Napoli pullulava di conventi e monasteri femminili, che dai Tribunali fino a Piazza Dante ed oltre affollavano il centro. Luoghi spesso di clausura, popolati da donne che per vocazione, necessità o consuetudine avevano scelto una vita votata alla contemplazione, alla meditazione e alla preghiera.
Proprio i conventi divennero, tra il Cinquecento e l’Ottocento, le migliori e più grandi pasticcerie napoletane, dando vita a pregiatissimi e prelibati dolci, evocativi di piaceri terreni lontani dal rigore della vita monastica; dapprima regalati ai fedeli in particolari ricorrenze o alle persone incaricate del servitio di fuora, e poi oggetto di una commercializzazione generale e diffusa, addirittura in regime concorrenziale.
I conventi si “specializzavano” e custodivano segretamente le ricette.
Così, nel Convento del Divino Amore si producevano i dolcetti omonimi, il Convento di S. Maria Maddalena era famoso per la pasta reale, il Convento di S. Maria Regina Coeli per la sfogliatona, il Monastero della SS. Trinità per la torta di bocca di dama, il Convento delle Trentatrè per le monachine e così discorrendo.
E le sfogliatelle? Questo è il mistero…
La maternità della Sfogliatella è tutt’ora contesa tra Napoli e Conca dei Marini.
È certo che, intorno al 1600, nel convento di Santa Rosa di Amalfi, a Conca dei Marini, si producevano della particolari sfogliatelle, le Santarosa. Secondo un copione, spesso collaudato in cucina, esse erano nate per caso, dall’indole risparmiatrice di una monaca cuciniera.
Pare infatti che, al termine del servizio di cucina, una monaca si accorse che c’era della semola cotta avanzata da qualche preparazione, forse un biancomangiare. Buttare non si poteva, così pensò di farne un ripieno unendola a quello che aveva in dispensa: ricotta, pezzetti di frutta candita, uova e qualche aroma. Racchiuse poi il ripieno in due pettole preparate velocemente con acqua, farina e sugna, sollevando e arricciando la sfoglia superiore a mo’ di cappuccio di monaco.
Il dolce ebbe un successo immediato nella mensa conventuale, sicchè si decise di perfezionarlo, raffinandone l’esecuzione con la realizzazione della sfoglia a strati sovrapposti che conosciamo ancora adesso e la decorazione con crema pasticcera ed amarene.
Le Santarosa divennero in breve tempo uno dei prodotti di punta del convento fino appunto a prenderne il nome.
Ma come arrivarono a Napoli?
Forse è meglio dire come sono arrivate a Conca dei Marini.
A Napoli già si producevano le Sfogliatelle, in particolare nel Convento della Santa Croce di Lucca; inoltre erano anche conosciute la sfogliatona (una sorta di sfogliatella di frolla, di formato gigante) e la monachina, da molti ritenuta antenata della Santarosa, con una ricetta molto simile alla Santarosa recuperata da Salvatore Di Giacomo:
Prendi il sciore e mettilo sopra il tagliero nella quantità di rotolo mezzo. Mettici un pocorillo d’insogna e faticalo come un facchino. Doppo stendi la tela che n’e riuscita e fanne come se fosse una bella pettola. In mezzo alla pettola mettici un quarto d’insogna ancora, e spiega a scialle, 4 volte d’estate; 6 volte d’inverno. Tagliane tanti pezzi, passaci il laganaturo e dentro mettici crema e cioccolata o se più ti piace ricotta di Castelllammare. Se ci metti un odore di vaniglia o pure acqua di fiori e qualche pocorillo di cedro, fa cosa santa. Fatta la sfogliata, lasciala mezza aperta e mezza ‘nchiusa da una parte e dove lì scorre la crema facci sette occhi piangenti con sette amarene o pezzulli di percocata. Manda tutto al forno, fa cuocere lento, mangia caldo e alliccate le dita.
Insomma, nei monasteri le ricette circolavano, insieme alle suore quando non c’era il voto di stabilità e alle chiacchiere delle madri badesse, appartenenti a famiglie nobiliari napoletane, spesso imparentate tra loro.
Forse l’invenzione della particolarissima sfoglia sovrapposta avvenne proprio del Convento di Santa Rosa, ma fu poi perfezionata a Napoli dove dalla seconda metà del Cinquecento, venivano confezionate dalle monache di sant’Antonio a Port’Alba, che si distinguevano da tutte, non fosse altro che per la tecnica dell’impasto affidato al… fondo schiena delle suore più anziane. A dare il ritmo erano le lodi a Sant’Antonio intonate dalle monache più giovani: al termine di ogni quartina la coriste si fermavano; le suore addette all’impasto alzavano le gonne, si sedevano sul bancone di marmo dove era poggiata la pasta e oscillando davano “l’impronta”. E così via fino a completamento dell’opera (da caffeeuropa.it), o viceversa chissà!
Quello che è certo è che per secoli le Sfogliatelle rimasero nel chiuso di un monastero: ogni convento aveva la sua ricetta e la commercializzava con i tempi e la produzione che poteva sostenere, che quindi non soddisfaceva l’intero mercato e, si può presumere, mantenendo prezzi piuttosto elevati.
La svolta si ebbe all’inizio dell’Ottocento, quando la Sfogliatella entrò sul mercato ad opera di un genio del commercio, Pasquale Pintauro, un oste napoletano con bottega in via Toledo, che all’improvviso cominciò a produrre sfogliatelle e zeppole fritte (altro presidio conventuale), modificando e perfezionando le ricette, e trasformando l’osteria in una rinomata pasticceria gremita da mattina a sera.
Tene’ folla Pintauro!
Cosa fosse accaduto non si sa: c’è chi parla di una zia suora, chi dell’amicizia con una novizia. Fatto sta che la ricetta era definitivamente uscita dai monosteri per diventare un patrimonio del popolo.
E Pintauro? Di Pintauro ora c’è solo l’insegna e, ovviamente, la ricetta: il geniale imprenditore, dopo aver avviato l’attività, rendendo un grande servizio al palato dei napoletani e poi del mondo intero, si ritirò dagli affari per godersi la sua fortuna.
Ma ora veniamo alle nostre festeggiate, le Sfogliatelle.
La tradizione ne annovera due, la “riccia” e la “frolla”:
So’ doje sore: ‘a riccia e a frolla. Miez’a strada, fann’a folla. Chella riccia è chiù sciarmante: veste d’oro, ed è croccante, caura, doce e profumata. L’ata, ‘a frolla, è na pupata. E’ chiù tonna, e chiù modesta, ma si’ a guarde, è già na festa! Quann’e ncontre ncopp’o corso t’e vulesse magnà a muorze. E sti ssore accussì belle sai chi so’? So’ ‘e sfugliatelle! (da sfogliatella.it)
Si tratta di dolci diversi, ciascuno a suo modo prelibato:
“I due tipi di sfogliatelle, pur avendo in comune non poche cose, sono, nella realtà, da riguardare come due dolci diversi, e consiglierei di parlarne separatamente pur avendo in comune il nome prestigioso di sfogliatelle” (Mario Scaturchio, citato in www.quicampania.it).
La sfogliatella riccia è sontuosa pasta, dolce monoporzione, dalla caratteristica forma triangolare formata da sfoglie sovrapposte a strati fittissimi e ripiena di una profumatissima crema a base di semola. Un dolce che “dovrebbe esser frivolo per quel suo vestirsi di leggerissime gale, per quella sua forma di un rococò temperato da un gusto più misurato, ma non lo è” (Jeanne Carola Francesconi, La cucina Napoletana, citato in caffeeuropa.it). Invece è serio, incredibilmente serio: molteplici, innumerevoli strati di aerea sfoglia sovrapposti, sottilissimi e croccanti che non contrastano ma si fondono ed esaltano il ripieno morbido, umido, dolcissimo e profumato nel quale spicca la consistenza e l’umore dei canditi. Pura poesia!
Quanno vene ’a notte e ’o core se ne scenne, mangia ’na sfogliatella e ’o core se ne saglie! (Eduardo De Filippo, citato da Alessandro Borghese in repubblica.it)
Nella sfogliatella frolla, invece, lo stesso prelibato ripieno è racchiuso ed esaltato da una semplice ma particolarissima pasta, che non è propriamente una frolla, morbida, deliziosa e fragrante.
Non dimentichiamo la Santarosa, una sfogliatella, forse la più antica, un po’ più grande della tradizionale, anch’essa composta di molteplici strati sovrapposti di sottile sfoglia, ripiena di crema di semolino e guarnita con crema ed amarena.
Ma non finisce qui… dalla Sfogliatella nascono le golosissime code d’aragosta, sfogliatelle ricce dalla forma molto più grande e allungata, farcite con panna, crema chantilly, crema spalmabile al cioccolato; per non parlare della versioni moderne vesuvio o campanella, una sorta di coda d’aragosta a testa in giù.
Ed ancora le versioni salate, la frolla con ricotta e salame che si riallaccia alla tradizione del rustico semidolce napoletano e la più moderna ma non meno napoletana riccia con i friarielli e che sono… non si può spiegare, bisogna solo assaggiare … a quando un bel giro a Napoli?
Sfogliatelle frolle
Per 12 sfogliatelle: per la pasta: 200 g di farina
80 g di zucchero
80 g di strutto
40 g di acqua fredda
un pizzichino di sale per la farcia: 150 g di semolino
450 g di acqua
165 g di zucchero
150 g di ricotta
1 uovo
100 g di canditi misti
una fiala di aroma millefiori *
i semi di mezza stecca di vaniglia
un pizzico di cannella per completare: 1 tuorlo
zucchero a velo
Su una spianatoia disporre a fontana la farina, nel mezzo sistemare lo zucchero, lo strutto e l’acqua leggermente salata, versata poco a poco.
Lavorare un poco la pasta e raccoglierla in una terrina, coprirla con un canovaccio e lasciarla riposare per mezz’ora.
Nel frattempo, in una pentola dalle dimensioni adeguate, portare ad ebollizione l’acqua e, mescolando con un cucchiaio di legno, versare a pioggia il semolino e condirlo con un pizzico di sale; sempre mescolando, cuocere 5 minuti quindi versarlo su un vassoio leggermente inumidito e lasciarlo raffreddare.
Nella planetaria con frusta a filo, velocità 2 – 3, lavorare la ricotta con lo zucchero, aggiungere l’uovo e il semolino; impastare bene per amalgamare i composti, unire gli aromi e alla fine, a mano con la spatola, i canditi ridotti a pezzetti piccolissimi.
Dalla pasta formare 12 palline delle stesse dimensioni e stendere ogni pallina formando un ovale. Sulla metà di ogni ovale distribuire abbondante ripieno, formando delle semisfere di crema di semolino, ripiegare la pasta pigiando i bordi per chiudere, cercando di mantenere la sfericità della sfogliatella senza schiacciare il ripieno; rifilare leggermente la pasta in eccesso, ripiegare i bordi al di sotto della sfogliatella, sistemarle delicatamente su una teglia protetta da carta da forno.
Spennellarle con il tuorlo d’uovo sbattuto, cuocerle in forno statico già a temperatura a 180° per circa 20 minuti, avendo cura di sistemare la placca sul secondo ripiano dall’alto del forno, più giù rischiano di bruciarsi nella parte inferiore.
Sfornare, raffreddare su una gratella e spolverizzare di zucchero a velo.
Ricetta tratta da La cucina regionale italiana, Ada Boni, Newton, 1995
*Sia la ricetta di Ada Boni che quella di Mario Scaturchio, consultabile su quicampania.it non accennano all’aroma millefiori, che però è inequivocabilmente presente nel ripieno della sfogliatella.
Il video sulla formatura delle sfogliatelle frolle
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Complimenti Anna per l’articolo ricco di aneddoti e di particolari alcuni dei quali non conoscevo e per queste sfogliatelle davvero belle.
Grazie Serena per il bellissimo contributo!
Che meraviglia Anna!
Tiziana
Ma grazie Tiziana, sei gentilissima!