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Il ricettario ufficiale di Netflix
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Pubblicazione: 31/10/2016
Lista degli argomenti
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Ambasciatrici Susanna Canetti e Alessandra Gennaro per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar
Banchettare sulle tombe e offrire cibo ai defunti è una delle pratiche spirituali più antiche. Fin dalla notte dei tempi, in diverse parti del mondo, si è andata sviluppando una stretta relazione fra morte e cibo; le motivazioni per cui il cibo ha assunto grande importanza in tale contesto variano da cultura a cultura. Sulla base di ciò si potrebbe quindi affermare che i morti mangino pure loro, ed essendo anime si nutrano dello spirito del cibo, non certo della sua materia. Tra Romani, Greci, Etruschi e in tutto il bacino del Mediterraneo, esisteva un linguaggio alimentare specifico, fatto di riti ancestrali.
Il banchetto funebre non era solo un rituale religioso, ma in primo luogo una tradizione, volta ad onorare i morti, come se fossero ancora in vita. Il cibo veniva preparato con amore, così che il defunto si sentisse ancora benvoluto e parte integrante della famiglia.
Presso l’antica Roma, il cibo dei morti era costituito dalle fave; si credeva che tali piante, avendo il fusto privo di noduli, fungessero da collegamento tra la terra e l’oltretomba, inoltre i suoi fiori bianchi con sfumature violacee avevano una caratteristica macchia nera, che ricordava la lettera greca theta, iniziale della parola greca thànatos, che significa morte.
A partire dal X secolo, le fave divennero cibo di precetto nei monasteri, durante le veglie di preghiera per la commemorazione dei defunti. Per la stessa ricorrenza vennero usate come cibo da distribuire ai poveri, o da cuocere insieme ai ceci e lasciare a disposizione dei passanti agli angoli delle strade.
In Grecia, invece, il cibo dei morti era rappresentato dalla melagrana. Secondo la mitologia greca Persefone, rapita da Ade, fu condannata a rimanere negli Inferi per aver mangiato proprio questo frutto, considerato cibo dei defunti.
Fra i cristiani ortodossi, un cibo in particolare è associato alla morte: la koliva, ovvero grano bollito condito con miele, zucchero e semi di melagrana, preparato in occasione della commemorazione dei defunti. Il grano simboleggia la morte e la resurrezione del defunto, come scritto anche in questo versetto del Vangelo: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Giovanni:12:24)”. La metafora della vita umana, paragonata alla vita della pianta, è un palese tentativo di negare che la morte dell’uomo possa essere definitiva.
Ognissanti e la commemorazione dei defunti sono due feste fondamentali nel calendario liturgico dell’Occidente cristiano, ma non tutti sanno che sono un retaggio di culti pagani celtici, dai quali deriva anche la festa americana di Halloween. Halloween ha origini rintracciabili in Irlanda, quando la verde Erin era dominata dai Celti, popolo di pastori la cui vita era scandita dai ritmi dell’allevamento del bestiame. Alla fine della stagione estiva i pastori riportavano a valle le loro greggi, per prepararsi all’arrivo dell’inverno e quindi all’inizio del nuovo anno. Ecco perché per i Celti l’anno nuovo iniziava il 1° di novembre, e non il 1° di gennaio. Il passaggio dall’estate all’inverno, e dal vecchio al nuovo anno veniva celebrato con lunghi festeggiamenti, una specie di capodanno chiamato Samhain, che significa fine dell’estate. La morte era il tema principale della festa, in sintonia con ciò che stava avvenendo in natura: durante la stagione invernale la vita sembra tacere, mentre in realtà si rinnova sottoterra, dove tradizionalmente riposano i morti. Il grano è appena stato seminato, è “sceso negli inferi”, nel cuore della terra, e comincia il suo lento cammino verso la futura rinascita. I Celti credevano che alla vigilia di Samhain, il 31 Ottobre, gli spiriti dei morti potessero unirsi al mondo dei viventi, errando indisturbati sulla terra. Successivamente, attraverso le conquiste romane, Cristiani e Celti vennero a contatto ed iniziò l’opera di evangelizzazione delle Isole Britanniche, durante la quale la Chiesa tentò di sradicare i culti pagani, ma non sempre vi riuscì. Samhain non fu completamente cancellata, ma fu in qualche modo cristianizzata, tramite l’istituzione del giorno di Ognissanti il 1° Novembre e, più tardi, della commemorazione dei defunti il 2 Novembre. Halloween -parola che deriva dalla forma contratta di All Hallow’s Eve, e che significa vigilia di tutti i Santi- si è invece diffusa in tutta America, quando, in seguito alla terribile carestia che investì l’Irlanda verso la metà del XIX secolo, molte persone decisero di abbandonare l’isola per tentare fortuna negli Stati Uniti, mantenendo vive le tradizioni ed i costumi della loro patria. Questa festa ben presto si propagò in tutto il popolo americano, diventando quasi una festa nazionale.
In Italia, la sera della vigilia dei morti (tra il 1° e il 2 novembre) si attuavano una serie di comportamenti e rituali collegati al cibo, che manifestavano il rapporto che i vivi cercavano di riallacciare con i defunti. Mangiare determinati cibi, banchettare sulle tombe, o lasciare la tavola imbandita per gli spiriti, permette di ristabilire quel legame che la morte aveva spezzato. Il cibo, con il suo valore conviviale, familiare e sociale, rende l’azione del mangiare tanto importante quanto il pregare, ma con un significato ancora più profondo.
Il cibo dei morti poteva essere consumato o meno dai vivi. Nel primo caso stabiliva con i morti un legame biunivoco: mangiato dai vivi li nutriva entrando nel loro corpo, ma nutriva anche i morti, salvando le loro anime. Nel secondo caso veniva riservato ai morti, nella certezza che questi tornassero nelle loro case per consumare il cibo preparato loro dai parenti. Da qui l’usanza, in varie regioni italiane, di imbandire una tavola completa la sera precedente il 2 novembre, lasciandola così per tutta la notte. Nelle regioni italiane dove la tradizione si è mantenuta più viva, è ancora presente la credenza che i morti passino in processione per le città o nei paesi, e quindi i parenti si adoperano a preparare del cibo che viene lasciato sul davanzale delle finestre. In Campania e in Lombardia, un tempo, era abitudine lasciare in cucina un secchio o un vaso d’acqua per dissetare i defunti. In Piemonte si aggiungeva un posto a tavola, per i morti che sarebbero arrivati in visita. In Puglia ed in Toscana la tavola veniva apparecchiata appositamente, mentre in Sardegna non veniva sparecchiata per consentire ai defunti di rifocillarsi durante la notte. In Basilicata e Calabria, presso le comunità albanesi, si usava andare al cimitero di sera, e lì allestire un banchetto sulla tomba dei propri cari ed invitare tutti i passanti a prendere parte. In Sicilia la commemorazione dei defunti era, ed è ancora oggi, una vera e propria festa dedicata ai bambini, con doni, frutta e dolci portati in regalo dagli spiriti dei parenti. La questua invece, era una delle usanze più diffuse in tutta Italia, in particolare in Sardegna: i bambini, prima di cena, andavano a bussare alle porte delle case dicendo “Morti, morti!”, e ricevevano in cambio dolci o frutta.
Quello che caratterizza molti dei cibi preparati in tutta Italia per celebrare i defunti, è sicuramente l’abbondanza di zuccheri. Facendo una ricerca tra le preparazioni tipiche delle varie regioni o città, spiccano su tutte i dolci. Dolci che, il più delle volte, ricordano per la loro forma o consistenza il tema della morte. Come le fave dei morti, deliziosi pasticcini alle mandorle, dalla forma ovale e leggermente schiacciata, o le ossa di morto, biscotti secchi dalla forma allungata, a volte ricoperti di glassa, cioccolato o zuccherini colorati. A Napoli troviamo i torroni dei morti, detti anche morticelli, con un morbido ripieno, ricoperti di cioccolato e spolverati con granella di nocciole o pistacchi. In Romagna non può mancare la piada dei morti, una bomba ipercalorica a base di uvetta, noci, mandorle, pinoli e miele. La Sicilia, invece, ci regala un trittico sorprendente: la frutta Martorana, riproduzioni di frutta realizzate con farina di mandorle e zucchero, le dita di apostolo, delle superbe crespelle arrotolate e ripiene di ricotta, e i pupi di zucchero, statuette di zucchero colorate che rappresentano paladini o figure maschili e femminili. In Puglia, nella zona di Foggia, è presente il grano dei morti o colva, una preparazione particolare a base di chicchi di grano, lessato e condito con mosto cotto, semi di melagrana, cioccolato, noci e canditi, Infine, in Sardegna, si preparano dei dolcetti chiamati pabassinas (o pabassinos), che devono il loro nome alla pabassa, cioè all’uvetta passa presente nel loro impasto, oltre alla sapa, la frutta secca ed il miele. Nella parte meridionale dell’isola vengono aromatizzati con cannella e vaniglia, mentre nella parte settentrionale prevalgono le scorze di arancio e di limone, insieme ai semi di finocchio selvatico.
Nonostante i dolci rivestano un ruolo dominante, non sono però gli unici protagonisti delle feste legate ai defunti. Non dobbiamo infatti dimenticare l’importanza e la diffusione delle zuppe a base di fave e di ceci. Non si tratta di una specifica ricetta, ma di tante varianti; in alcune è d’uso aggiungere anche la zucca. Una ricetta molto antica di origine piemontese, è quella della zuppa canavesana, a base di cavolo verza con pancetta (o salsiccia) bagnata con brodo di carne, servita con crostoni di pane abbrustolito.
Il cibo, ancora una volta, ci rivela la sua importanza dal punto di vista storico, culturale, sociale ed affettivo, non essendo mai fine a sé stesso. In questo contesto il cibo si carica di un significato simbolico, e assume un ruolo fondamentale. Come scrive l’antropologo Ottavio Cavalcanti “La tavola è dunque il luogo non unico, ma privilegiato, dove siderali distanze temporaneamente si annullano; il colloquio si intensifica o riprende; lo scandalo della morte è riassorbito e scongiurato; rapporti familiari e amicali si rinsaldano”.
FAVE DEI MORTI di Pellegrino Artusi
realizzazione di Alessandra Gennaro – An Old Fashioned Lady
200 gr mandorle dolci
100 gr farina 0
100 gr di zucchero
30 gr di burro
1 uovo intero
odore (scorza di limone, cannella o acqua di fiori d’arancio)
rosolio/acquavite q.b.
Sbucciamo le mandorle e pestiamole collo zucchero alla grossezza di mezzo chicco di riso. Mettiamole in mezzo alla farina insieme cogli altri ingredienti e formiamone una pasta alquanto morbida con quel tanto di rosolio o acquavite che occorre. Riduciamola quindi a piccole pastine, in forma di una grossa fava, che risulteranno in numero di 60-70. Disponiamole in una teglia di rame unta prima col lardo o col burro e spolverizzata di farina (per me una teglia normale ricoperta di carta da forno). Doriamole coll’uovo. Cuociamole al forno osservando che essendo piccole cuociono presto (12-15 minuti).
Fonti:
http://www.riflessioni.it/paganesimo/il-cibo-nel-culto-dei-morti.htm
http://www.ilgiornaledelcibo.it/festa-dei-morti-dolci-regionali/
http://www.irlandando.it/halloween/storia/
http://www.evoluzioneculturale.it/2012/10/31/di-halloween-ognissanti-e-di-cio-che-ci-mette-nel-piatto/
http://www.evoluzioneculturale.it/2013/11/01/le-fave-dei-morti-e-il-simbolismo-alimentare-della-festa-dei-defunti/
Partecipano come contributors:
Irene Prandi, La minestra dj’ ànime (La minestra dei defunti)
Patrizia Laquale, La kolba: il grano dei morti
Giuliana Fabris, Pan dei morti e altre storie
Cristina Galliti, Il pane dei morti milanese in una personale versione
Cristina Tiddia, Ossa di morto ricetta sarda
MariaTeresa Cutrone, La piada dei morti a modo mio
Daniela Ceravolo, Le Ossa dei Morti, Dolci Tipici Siciliani
Susanna Canetti, Ossa dei Morti di Parma
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splendido articolo, grazie!!
Bellissimo articolo. 🙂
Lascio il mio contributo per la settimana in corso:
Le ossa dei morti, dolci tipici siciliani (biscotti di pasta garofanata)
http://www.laforchettasullatlante.it/recipe/le-ossa-dei-morti-dolci-tipici-siciliani-biscotti-pasta-garofanata/
In ritardo ma ecco anche il mio contributo, che non poteva mancare
http://www.afroditaskitchen.it/ossa-dei-morti-di-parma-per-il-calendario-del-cibo-italiano/