La cucina di collina

Pubblicazione: 02/05/2016

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Settimana Nazionale della cucina di collina

Ambasciatrice Sonia Nieri Turini per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Questa è la settimana della cucina di collina, uno dei luoghi che tengo stretti nel mio cuore, ecco perché sono orgogliosa di esserne ambasciatrice. Trovo davvero irresistibile il fascino di queste distese operose in qualsiasi stagione dell’anno, modellate da una straordinaria sinergia fra la mano della natura e il lavoro dell’uomo. L’estate con le sue distese di grano, l’autunno con le vigne, l’inverno con gli ulivi e la raccolta dell’olio e infine la primavera, un tripudio di germogli e di fiori, fanno parte di un ciclo che, con le sue sfumature di colori ogni anno rapisce la mente e il cuore.

La cucina della collina è una delle più interessanti e meno note della nostra penisola e per parlarne sarò affiancata anche da quattro “colleghe”, interpreti con me di una pagina della nostra cultura gastronomica di grande importanza, per offrirne un panorama quanto più vasto e completo; vi invito dunque a seguire anche i contributi di Sara Sguerri, Antonella Marconi, Fausta Lavagna e Gabriella Pravato (link a fondo pagina), e di tutti coloro che contribuiranno durante la settimana.

La collina è un rilievo la cui zona altimetrica è meno elevata della montagna. La distinzione tra montagna e collina non è netta e può avere interpretazioni soggettive, tuttavia una definizione diffusa è quella secondo cui i territori possano essere considerati collinari dai 200 ai 600 metri s.l.m. Le colline possono essere raggruppate tra loro, o allineate ad una zona pianeggiante, o ancora, trovarsi lungo i fianchi delle montagne; vengono classificate in base alla loro origine geologica.

Abbiamo le colline moreniche, che derivano dall’accumulo dei detriti portati dai ghiacciai; in Italia sono le colline del Canavese in Piemonte e quelle della Brianza in Lombardia. Le colline vulcaniche sono originate dall’eruzione di vulcani spenti che con il passare degli anni sono stati erosi e si sono coperti di vegetazione; i Colli Euganei, nel Veneto, ne sono un esempio. Le colline strutturali sono invece derivate dall’erosione di montagne più alte a causa degli agenti atmosferici: le colline del Chianti ad esempio. Infine le colline tettoniche, nate dal raggrinzimento della crosta terrestre e dal sollevamento del fondale marino in seguito a grandi movimenti tellurici e spostamenti tettonici; le Langhe in Piemonte e le Murge in Puglia sono colline tettoniche.

A seconda della loro origine, le colline hanno un substrato geologico che ne determina il tipo di vegetazione e che, insieme al clima della zona, darà luogo a paesaggi caratterizzati da specifica vegetazione, flora e fauna. E’ proprio da questa sinergia di fattori, che prendono vita, ad esempio, i nostri boschi di castagno, così tipici in Toscana. Oppure le dolcissime colline marchigiane, tanto preziose per il grano che storicamente vi si coltiva.

Così come in altre zone d’Italia, la vita in collina nel corso dei secoli non è mai stata un diritto acquisito, ma il frutto di una lotta per la sopravvivenza: nel corso dei secoli, spinti dalla necessità di difendersi, ora dagli attacchi degli invasori, ora dalle minacce delle calamità naturali, i popoli si sono spinti in alto dalle pianure. Qui hanno imparato ad avviare coltivazioni più favorevoli alle mutate condizioni climatiche, quali appunto la vite e l’ulivo, destinate a diventare un tratto distintivo del paesaggio collinare oltre che dell’attività dei suoi abitanti: l’olio extravergine di oliva ed il vino sono fra le eccellenze di cui il nostro Paese va giustamente fiero e costituiscono oltretutto la spina dorsale di buona parte della cucina collinare.

Sempre la necessità di sopravvivere, fece che sì che si creassero gruppi di famiglie, destinate poi a trasformarsi in villaggi prima e paesi poi, che impararono l’autosufficienza grazie allo sfruttamento delle risorse del territorio: alberi e piante come il castagno, il rovo, il noce e molti altri che con i loro frutti hanno riempito le nostre dispense; legname pregiato, con cui costruire mobili e poi case; animali come la volpe, il capriolo, la lepre e il fagiano, insieme ad altri contributi essenziali della cucina collinare.

Successivamente si svilupparono i primi allevamenti di bovini, ovini e suini e infine prese campo la coltivazione dei cereali, in particolare del grano. Fu proprio il pane a costituire un ulteriore impulso alla vita associativa, grazie alla presenza dei forni comuni, accesi in giorni prestabiliti e disciplinati da turni di cottura: le massaie qui portavano a cuocere i loro pani che sarebbero poi durati per una settimana intera e a noi piace pensare che in queste attese si scambiassero anche ricette, per ingannare il tempo e dar vita così ad una vera e propria tradizione.

La mia famiglia e quella di mio marito hanno entrambe origine da questi meravigliosi luoghi che sono le colline, descritte dal loro più grande cantore, Cesare Pavese, come “il luogo del lavoro, della fatica, della miseria contadina… sono anche il tema del ricordo e della nostalgia per chi le ha vissute (vedi nota 1). La nostra storia recente ci parla di storie di Resistenza, consumatasi in questi scenari (voglio ricordare a questo proposito l’eccidio dei Martiri di Figline di Prato), ma anche di momenti di gioia e di allegria che si rinnovano ad ogni stagione, come le tavolate della vendemmia o le veglie al riparo dai freddi pungenti dell’inverno mentre si aspettano i turni al frantoio, in un rinnovarsi di gesti e di antiche consuetudini, che ci parlano di una profonda unione fra l’uomo e la terra e fra gli uomini fra di loro, lungo una storia capace ancora oggi di emozionare e commuovere.

Veniamo ora alla ricetta. Quella che vi propongo è una ricetta di famiglia: da figlia di cacciatore quale sono stata, per noi era facile avere in tavola cacciagione e l’apertura della caccia alla lepre ha sempre avuto per me un significato tutto speciale, per la sua vicinanza con la data del mio compleanno, che festeggiavamo sempre la domenica successiva. Questo dunque era il primo piatto della “mia” festa, e ancora oggi ha il potere di riportarmi all’infanzia. E’ un classico della cucina collinare, che esiste in numerose varianti, a cui aggiungo quella di casa mia.

PAPPARDELLE SULLA LEPRE

Ingredienti:

1 lepre intera già pulita
4 coste di sedano abbastanza grandi
3 carote medie
3 cipolle grandi
1 rametto di alloro fresco
1 rametto di rosmarino fresco
1 rametto di salvia fresca
1 cucchiano di bacche di pepe
1 cucchiaino di bacche di ginepro
1 litro di buon vino toscano
due tubetti di doppio concentrato di pomodoro
sale e pepe qb
olio extravergine qb

MARINATURA (da fare la sera prima)

Pulire bene la lepre e tagliarla in quattro parti; pulire una carota, una cipolla, due coste di sedano e tagliarle in grossi pezzi. Mettere tutto in una ciotola capiente con le bacche di pepe e di ginepro, aggiungendo un pizzico di sale. Coprire tutto con il vino, sigillare la ciotola con della pellicola e mettere in frigo per una notte, o comunque per almeno mezza giornata.

Passato il tempo della marinatura, scolare la lepre dal liquido (tenendone da parte un bicchiere) e lavarla bene sotto l’acqua corrente. Asciugarla tamponandola con carta assorbente da cucina e tagliarla a pezzi piccoli: aggiungerli al soffritto, appena le verdure iniziano ad ammorbidirsi.

Tritare le restanti verdure e fare un soffritto in un tegame grande. Rosolarvi quindi i pezzi di carne facendo in modo che si insaporiscano da ogni lato; regolare il sale e il pepe e sfumare con il bicchiere della marinatura tenuta da parte.

Aggiungere poi il concentrato di pomodoro e mescolare bene. Versare acqua o brodo vegetale quanto ne basta per coprire il tutto a filo, far levare il bollore e mantenerlo a fuoco moderato per circa due ore (deve fremere e non bollire). E’ importante la lentezza della cottura, che deve ammorbidire la polpa fino quasi a che si stacchi da sola. Spegnere e lasciare intiepidire.

Quando la carne è intiepidita da poterla maneggiare, spolpare ciascun pezzo con pazienza, raccogliento tutta la polpa in un’ampia ciotola. Chi possiede un tritacarne potrà usarlo per passare il tutto; chi non lo possiede triterà la carne al coltello sopra un tagliere -come faceva mia madre- per ridurre il tutto a piccolissimi ed omogenei pezzettini.

Rimettere la carne così tritata,nel tegame col suo sugo e continuare la cottura per altri 30 minuti circa (al bisogno aggiungere qualche cucchiaio di brodo).

Nel frattempo cuocere la pasta, rigorosamente pappardelle, scolare e condire con il sugo di lepre. Servire il piatto caldissimo con una spolverata di Parmigiano.

Fonti:
http://www.schededigeografia.net/paesaggi/colline.htm

https://storiageografia.wordpress.com/2014/01/20/le-colline-che-cosa-sono-come-si-formano-e-come-si-trasformano/

https://it.wikipedia.org/wiki/Collina

Nota (1) – La luna e i falò, Cesare Pavese

Partecipano come contributors:
Sara Sguerri, La Torta Lucchese di Verdure (Erbi) co’ Becchi
Antonella Marconi, Il pane e i forni delle Valli di Lanzo tra usanze, storia e tradizione
Fausta Lavagna, agliata monferrina e rubatà… andiamo in collina!
Gabriella Pravato, La collina è… timballini d’orzo con asparagi selvatici

3 commenti

  1. La collina come non ci si pensa quasi mai….invece quanta storia, vita, tradizioni e ricordi! E’ stato un piacere camminare con te, virtualmente, su queste colline. Brava e grazie.

  2. Bellissimo articolo Sonia, che condivido in ogni parola poiché, anche io, nata sulle colline marchigiane ! Purtroppo non ho avuto mai il piacere di assaggiare un piatto con la lepre , di conigli a casa mia né “giravano” parecchi….ma lepri, purtroppo, nessuna ! Un abbraccio!

  3. Splendido post Sonia, intriso di ricordi personali che, un pochino, sento anche miei. La ricetta poi, non ne parliamo… Adoro!! Ps. pappardelle “sulla” lepre… Quel “sulla” è troppo nostro 😀
    Un bacione e ancora complimenti cara ambasciatrice, onorata di esserci! 🙂

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