
27 Settembre 2023
Favole in cucina: Cappuccetto Rosso e il Lupo
La nostra Signora delle favole ci racconta la sua rivisitazione di Cappuccetto Rosso e il Lupo, naturalmente in chiave golosa e gastronomica...
Pubblicazione: 26 Dicembre 2016
Lista degli argomenti
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La pasta fresca, semplicissimo miscuglio di farina e acqua (oppure uova), è di sicuro una delle colonne portanti dell’alimentazione italiana. Ma c’è di più. L’impastare è anche uno dei gesti che più ci riconcilia col mondo e che porta via pensieri, stress e fatica: dare forma a due ingredienti di per sé inconsistenti per farne qualcosa di buono, magari da condividere con le persone che amiamo. Anche (e soprattutto) nell’ambito della vita frenetica che noi tutti oggi conduciamo, l’idea di prenderci del tempo -e non poi così tanto- per fare la pasta in casa può essere foriera di quel giusto riappropriarsi di una serenità accantonata e di una convivialità desiderata. Anche perché, naturalmente, ognuno di noi a casa propria ha la ricetta della pasta fresca “quella vera”.
Ma cos’è esattamente la pasta fresca?
Una legge del 1967 la definisce come il risultato di una serie di operazioni tecniche applicata a una miscela di farina di grano tenero o semola di grano duro con acqua o altra sostanza più o meno liquida, in particolare le uova. Si definisce “fresca” poiché contiene fino al 30% di umidità.
Gli storici dell’alimentazione concordano nel ritenere che una poltiglia di sfarinato e acqua sia alla base dell’alimentazione umana a livello mondiale. Tuttavia, la pasta fresca così come noi la conosciamo (impasto, formatura e bollitura) è nata e si è sviluppata autonomamente lungo due filoni: quello asiatico e quello mediterraneo.
Concentrandoci sul nostro versante, la pasta ha preso forma dalla puls, la polenta, che si è dapprima evoluta in gnocco per poi assumere strada facendo le varie forme che oggi conosciamo. Il termine “pasta” potrebbe derivare dal greco πάστα, che indica un impasto di “farina con salsa”. Oltre all’influsso greco-romano, occorre citare il filone arabo: il primo ha infatti dato vita alla lagana, la pasta in sfoglia, il secondo alla tria, la pasta secca e di forma allungata.
Le prime tracce storiche di una certa importanza possono essere ricondotte alla tomba etrusca “dei Rilievi” rinvenuta a Cerveteri, dove sono raffigurati utensili molto simili a quelli che ancora oggi utilizziamo per formare la pasta: rotelle, mattarelli e coltelli che ne indicherebbero un uso già diffuso presso gli Etruschi. Probabilmente trattavasi di pasta a base di farro, il cereale più antico utilizzato in Europa.
Ai tempi dell’Antica Roma, Apicio parla diffusamente delle “lagane” nel suo “De Re Coquinaria“; ma si concentra sui condimenti, come a lasciar intendere che la loro preparazione fosse talmente consueta da non necessitare di troppe spiegazioni.
Nel Medioevo compare per la prima volta la bollitura della pasta, poiché precedentemente il metodo principale era la cottura in forno, dove la sfoglia assorbiva direttamente i liquidi che costituivano il condimento.
Dopo un lungo oblio dovuto alle carestie successive all’anno mille, ritroviamo la pasta duecento anni dopo nel Napoletano sotto forma di “maccheroni”, ovvero pasta lunga trafilata. Una particolarità da segnalare riguarda proprio il termine “maccheroni”: ebbene, fino alla metà dell’Ottocento, con questo termine ci si riferiva praticamente a tutti i formati di pasta presenti sul territorio. L’etimologia deriva dal latino “maccare” (schiacciare), la stessa che ha generato il termine macco, che altro non è infatti che una sorta di polenta a base di fave. A Napoli, invece, il termine “maccheroni” indicava esclusivamente la pasta lunga trafilata.
Un grande contributo alla canonizzazione della pasta deriva sicuramente dal lavoro di Mastro Martino e del suo “Libro De Arte Coquinaria”, dove si trovano indicazioni precise per la formatura di vermicelli, maccaroni e simil-tagliatelle, in un momento che poi segnerà il passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale.
La pasta così come la conosciamo oggi non è nata come cibo popolare bensì come cibo da benestanti: affinché divenisse più accessibile anche alle classi meno abbienti, che si sfamavano a zuppe e polente, c’è voluto tutto il Cinquecento, momento storico in cui cominciano a diffondersi le corporazioni di pastai a Roma, Napoli, Palermo e Milano, dopo le più antiche già createsi a Genova e Savona.
Un altro punto cruciale nella storia della pasta fresca è il passaggio dalla cottura lunga a quella “al dente”: artefice ne fu Giovanni Del Turco, che nel ‘600 consiglia di mantenere la pasta più turgida, tant’è che comincia a diffondersi l’uso della pasta non più come contorno di altri piatti (spesso a base di carne) ma come pietanza vera e propria.
Per quanto riguarda l’impasto, si nota come la pasta fresca a base di farina di grano tenero (triticum aestivum o vulgaris) e uova sia più diffusa al Nord, tenda a calare al centro (dove è alternata a impasti di farina e acqua con la comparsa del grano duro) e quasi scompaia al Sud, dove si predilige un impasto di grano duro (triticum durum) e acqua. Il motivo è essenzialmente climatico: nel Settentrione si ha una maggior coltivazione di grani teneri mentre nel Meridione il terroir è ideale per la coltivazione del grano duro, che porta con sé la conseguenza di avere meno varietà di pasta fresca a vantaggio della pasta essiccata.
Per quanto riguarda il grano tenero, la più indicata per la pasta fresca è certamente la farina di tipo 0, che contiene anche la parte esterna del chicco di grano ed è quindi più proteica e adatta all’assorbimento dei liquidi delle uova. Naturalmente si possono utilizzare anche farine meno raffinate, come le tipo 1, tipo 2 ed integrale, ma si dovrebbe “tagliarle” con una parte di tipo 0 per riequilibrarne le caratteristiche tecniche.
Il grano duro è utilizzato per la pasta sotto forma di semola (grana grossa, colore giallo) o semola rimacinata (grana più fine, colore meno intenso). L’impasto che si ottiene, mescolandole con l’acqua, è compatto, duttile e intensamente profumato.
La creatività e la disponibilità di prodotti differenti ci porta ormai a utilizzare per la pasta anche altri tipi di farina: dal farro ai legumi, dalle castagne al riso. Le possibilità sono moltissime, ma la regola d’oro prevede di mescolarle sempre ad una percentuale di farina di grano tenero.
Riguardo alle proporzioni fra liquidi e farine, l’esperienza e la “mano” sono l’unità di misura migliore per ottenere un risultato pienamente soddisfacente, poiché la capacità della farina di assorbire liquidi può variare di giorno in giorno, in base all’umidità presente nell’aria. Il procedimento è simile sia per la pasta all’uovo che per quella fatta di farina e acqua. In breve:
1) si setaccia la farina “a fontana” per favorirne l’ossigenazione, ma anche per eliminare eventuali impurità;
2) si pratica un foro al centro della fontana e vi si versano poco a poco i liquidi, incorporando la farina un po’ alla volta con una forchetta;
3) si procede fino ad esaurimento dei liquidi e della farina formando una palla che andrà lavorata con decisione, utilizzando i palmi delle mani e i polsi;
4) si lascia riposare l’impasto, coperto con una ciotola; il riposo sarà solitamente più lungo per gli impasti a base di grano duro per consentire alla maglia glutinica di distendersi, ammorbidendo il tutto per agevolare la fase successiva;
5) si reimpasta brevemente e si procede con la sfogliatura o la formatura, a seconda della ricetta prescelta.
Per ottenere un’ottima pasta, oltre a buone farine occorre utilizzare anche ottime uova: il consiglio è quello di scegliere quelle di galline allevate all’aperto. Attenzione: la dicitura “allevate a terra” si riferisce a galline allevate all’interno di capannoni, al chiuso, ma poste a terra anziché in gabbia. All’aperto, invece, significa proprio in libertà, e c’è una bella differenza.
Le famose fettuccine “paglia e fieno”, tanto in voga qualche anno fa, ci suggeriscono che la sfoglia della pasta all’uovo può anche essere colorata, per semplice vezzo ma anche -o soprattutto- per darle un gusto diverso e particolare. Nasce così la pasta al nero di seppia, o agli spinaci, alle carote, al caffè e chi più ne ha più ne metta. La regola fissa dev’essere quella di utilizzare ingredienti naturali e di bilanciare l’impasto in base alla consistenza del colorante prescelto: se questo sarà in polvere, dovremo regolarci nella quantità complessiva di farina da utilizzare; se viceversa il nostro ingrediente colorante sarà umido, staremo attenti alla quantità di uova, aggiungendone un po’ alla volta. Utilizzando verdure fresche, sarà comunque opportuno ripassarle in padella per asciugarle il più possibile, e inserirle nell’impasto solo una volta raffreddate.
Un rapido excursus da Nord a Sud ci mostra la grande varietà di formati di pasta fresca che esiste lungo la nostra penisola: spesso capita anche che lo stesso tipo di pasta assuma nomi diversi da regione a regione o addirittura da zona a zona, all’interno di una singola regione. Per inciso, tra le tante cose che dobbiamo a Pellegrino Artusi c’è proprio la precisa classificazione dei formati di pasta regionali.
NORD
Partendo dalle regioni del Nord, troviamo i Pizzoccheri in Lombardia, e più precisamente in Valtellina, che hanno la particolarità di essere preparati con circa 2/3 di farina di grano saraceno; poi abbiamo le Bardele e una notevole quantità di paste ripiene che in questo articolo non affrontiamo. In Trentino abbondano gli Gnocchetti di grano saraceno e gli Spatzle, fatti di farina e spinaci. In Veneto spiccano i Bigoli, arcinoti quelli “in salsa” (condimento a base di cipolla e acciughe); in Friuli abbiamo i Blecs di farine miste; in Piemonte i Maltagliati, i Fescheirol e i Tajarin. In Valle d’Aosta le Fettuccine di castagne e gli Gnocchi valdostani (di grano tenero e acqua); in Liguria, infine, troviamo i Mandrilli de Sea (grano duro, grano tenero e uova), i Battolli di farina di castagne, i Corzetti (che oltre all’acqua prevedono anche il vino nell’impasto), le Picagge e le Trofie.
CENTRO
L’Emilia Romagna è decisamente la capitale della pasta all’uovo. Oltre alle arcinote paste ripiene troviamo gli Stricchetti, i Pisarei (fatti di farina, pane secco e acqua), naturalmente le Lasagne, i Bazzott, i Passatelli, le Tagliatelle e i Maltagliati. In Toscana si gustano i Pici (grano tenero, grano duro e acqua), le lasagne Bastarde (grano tenero, farina di castagne e acqua), le Pappardelle e i Testaroli. In Umbria abbiamo le Ciriole (pasta lunga di grano tenero, acqua e sale), gli Umbricelli (simili alle Ciriole), gli Strangozzi, i Penchi (tra le più antiche varietà di lasagnette conosciute in Italia). Nelle Marche spiccano i Vincisgrassi (sottilissime sfoglie col Vin santo o il Marsala nell’impasto), i Maccheroncini di Campofilone, i Tacconi (farina di fave, grano tenero e uova) e le Pincinelle. Nel Lazio comincia a farsi ancor più strada il grano duro con gli Strozzapreti, i Frascarelli, i Maccheroni al Ferro, le Fregnacce, i Tonnarelli (grano duro, uova e olio) e gli Gnocchi alla romana (semolino, latte e uova). In Abruzzo troviamo i Maccheroni alla Chitarra (grano duro e uova) e Li Pappicci (mais, grano duro e acqua); nel Molise i Cavatelli (grano duro e acqua), i Frascatelli, i Fusilli (grano duro, grano tenero e acqua), le Lasagne in brodo (grano duro, grano tenero, uova e acqua).
SUD E ISOLE
In Campania, patria indiscussa della pasta secca, tra i formati principali di pasta fresca non ripiena troviamo i Triilli (grano duro, uova e acqua), la Lasagna napoletana (grano tenero, acqua e olio) e i ricchissimi Scialatielli (grano duro, uova, pecorino, latte e olio); in Basilicata ci sono le Lagane (grano duro, acqua e olio), le Tapparelle, i Minuich (antichissima pasta bucata col ferretto). La Puglia conta invece le famose Orecchiette, i Minchiareddi d’orgiu (con farina i orzo) e i Fusilli al ferretto; in Calabria abbiamo i Maccaruni (grano duro e uova), la Stroncatura (con farina integrale o mista), le Laganelle e altre paste fatte al ferretto, come i Fileja. In Sardegna, regione che ha preservato magnificamente le proprie tradizioni, citiamo le Lorighittas (pasta di semola intrecciata a mano ad anello), i Malloreddus (gnocchetti di grano duro, in alcune zone impastati con zafferano), la Fregula (grano duro e acqua impastati in una ciotola a formare palline molto più grandi di un couscous). Concludiamo con la Sicilia, altra terra fertile per il grano duro usato soprattutto per la pasta secca, dove prevalgono i Busiati e i Maccaruna ennisi (entrambi fatti al ferretto).
Fonti:
Roberta Schira, Il Libro della Pasta Fresca e Ripiena
Alessandra Gennaro, Dietro la Lasagna
www.taccuinistorici.it
Partecipano come contributors:
Tiziana Bontempi, Tagliatelle fatte in casa con menta e limone in un mare di vongole
Donatella Bartolomei, I frascarelli marchigiani
Silvia Leoncini, Quadrotti di Pasta Fresca Ripiena
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Ecco il mio contributo, cara Sara.
http://lamascaincucina.it/quadrotti-pasta-fresca-ripiena-riciclo/