Professione food writer

Professione food writer

Il food writer è colui che racconta e scrive di cibo: questa sarebbe la traduzione in italiano del termine inglese. Però questa definizione non riesce a coglierne la complessità, le molteplici sfumature, e in italiano non esiste un corrispettivo adeguato.

Siamo circondati da immagini di cibo, tutti conversano di cibo, ne parliamo prima, durante e dopo che siamo stati a tavola, nei nostri viaggi è una parte importante dei nostri ricordi, però, già c’è un però: saperlo raccontare è un’altra storia.

Il cibo non è solo sussistenza e piacere per il palato ma rappresenta valori, significati e simboli, è conoscenza e patrimonio culturale.

Cosa fa il food writer?

Il food writer non si limita a scrivere una ricetta e di cibo sul web attraverso siti e blog o su riviste, ma è soprattutto colui che si dedica alla stesura di storie e ricette accattivanti, ha la capacità di raccontare, condividere esperienze e trasmettere emozioni.

Il food writer deve avere capacità narrative e storytelling, tecniche con le quali deve saper coinvolgere i lettori ed evocare sensi ed emozioni attraverso le parole.

Lo storytelling, ci dicono Cristiano Carrero e Luca Conti, non significa postare sui social network, ma “vuol dire inserire una componente funzionale e simbolica all’interno dei racconti”, quindi una narrazione coinvolgente in grado di suscitare emozioni nel lettore usando un linguaggio comprensibile.

Scrivere di enogastronomia significa raccontare la storia che c’è dietro ogni piatto, il territorio da cui proviene, le persone che lo hanno prodotto e le tradizioni che lo hanno influenzato. Significa anche scrivere ricette seducenti, racconti di viaggi nel mondo del gusto, e nella memoria.

Nell’articolo di Gioia Barbieri, “Professione food blogger“,  avevamo visto come il food writer è una delle specializzazioni che troviamo all’interno della categoria food blogger.

Ma vediamo nel dettaglio quali sono i requisiti e cosa serve per essere food writer.

Le competenze del food writer

Per essere un buon food writer si dà per scontato che si sappia scrivere, ma questo non basta: è necessario, abbiamo detto, saper raccontare e in modo accurato, pertinente, creativo, coinvolgente, evocativo, emozionale e perché no anche etico.

Attraverso il testo, un testo di qualità, dobbiamo essere in grado di dare informazioni con uno stile e un tono capaci di colpire l’attenzione del pubblico e di essere ricordati, di lasciare il segno.

La tecnica narrativa per il food writing racchiude in sé più generi letterari per celebrare la passione e il piacere della tavola.

Oltre alla scrittura creativa e alla passione per il cibo possono fare la differenza tra i vari food writers anche il saper cucinare e fotografare.

Possiamo notare come il food writing, negli ultimi anni, sia diventato un vero e proprio genere di scrittura che non è più solo relegato alla critica o al giornalismo enogastronomico, ma è entrato in un sistema molto più ampio e in continua evoluzione come il web, i social media, la comunicazione aziendale, il turismo e il blogging.

Quindi il food writing è un genere di scrittura che viene impiegato in diverse situazioni e applicazioni e assume forme diverse in base agli ambiti e agli obiettivi. Ci sono differenze importanti tra un giornalista che scrive di gastronomia, un cuoco, un conduttore televisivo e un food writer.

Food writer

Alla base ci dovrebbe essere una sana curiosità, un gusto e uno stile assolutamente personale che fanno la differenza e caratterizzano.

Questo si applica anche ai ricettari che non sono solo un elenco di ingredienti e procedure, ma usano un linguaggio conosciuto, donano esperienze sensoriali, hanno il potere di far sognare, proprio come succede con i romanzi, risvegliano emozioni e profumi di ricordi.

Difficilmente chi acquista un libro di ricette lo fa per cucinare tutte le ricette, le scelte sono altre: il piacere di sfogliarlo e risvegliare l’immaginazione e le emozioni.

Fabrizio Mangoni scrive che le ricette di cucina sono uno “scrigno” di letteratura, e il successo dei libri di ricette è dovuto all’uso di un linguaggio conosciuto: ricette, foto e illustrazioni aiutano a “sognare”, proprio come un romanzo, e il racconto dentro il testo di una ricetta ha per protagonista la Storia, ma vista da un altro punto di vista, la cucina.

Il cibo è cultura e può essere letto con le diverse chiavi filosofiche, antropologiche, storiche, e sociologiche. Il food writer è un po’ come un archeologo, va a cercare le fonti e, come i cantastorie, crea un racconto, un racconto che parli dell’uomo, che parli di noi.

Il food writer quindi deve saper scrivere, raccontare e descrivere usando tutti i sensi per ricreare l’esperienza emozionale e sensoriale.

Quando nasce il food writing?

Non sappiamo esattamente quando il food writing sia nato e dove. Potremmo ripercorrere la storia e andare indietro nella linea temporale fino ad Apicius e il suo “De Re Coquinaria”, risalire a Jean-Anthelme Brillat-Savarin con “La Fisiologia del Gusto” dove l’ultimo dei suoi principi recita “dimmi quello che mangi e ti dirò chi sei”… “il piacere della tavola è di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i paesi, di tutti i giorni, può associarsi agli altri piaceri e rimane per ultimo a consolarci della loro perdita”. Anche Alexandre Dumas usa il cibo come particolare punto di vista per raccontare una storia con il “Grande Dizionario di Cucina”.

Ma il food writing, come lo intendiamo noi, è del Novecento e nasce in lingua inglese, i due nomi più illustri sono l’americana M.F.K. Fisher e l’inglese Elizabeth David. Loro hanno portato la scrittura di cibo allo status di letteratura. Il potere delle loro parole regala immagini vivide e degne di un quadro, nei loro libri non ci sono foto, non ne avevano bisogno.

Dopo di loro ci furono altri nomi che portarono avanti questo stile narrativo.

In Italia le cose sono andate un po’ diversamente, in quanto il cibo viene dato un po’ per scontato e non è mai stato considerato un genere letterario. I ricettari, il sapere culinario, viene tramandato quasi su base orale, o nei ricettari di famiglia scritti in bella grafia, o nel convivio delle preparazioni collettive domenicali.

Possiamo ricordare come esempio di food writer Ada Boni in arte Petronilla e Clara Sereni.

Per fortuna le cose da qualche anno stanno cambiando grazie ai blogger che hanno deciso di andare oltre la ricetta come elenco di ingredienti e procedimenti ma hanno scelto il cibo come chiave di lettura di una storia, portando così l’attenzione al food writing e alla scrittura di cibo.

Clelia D’Onofrio sulla rivista Meridiani riporta quanto diceva il critico d’arte Federico Zeri in merito alla letteratura gastronomica:

“Io per cultura intendo anche la cucina, sono un appassionato raccoglitore di libri di ricette, il libro di ricette lo tengo non per fare quei piatti, ma perché sono una spia dei gusti locali e servono anche a capire le opere d’arte: c’è una specie di rapporto anche lì. I libri di ricette sono romanzi chiave come i gialli. I libri gialli io non li leggo per la trama ma per la descrizione degli ambienti… che spesso sono le più belle descrizioni del secolo Ventesimo”.

Abbiamo visto come il food writer sia una figura professionale che deve sapere usare la scrittura per raccontare e avere capacità di storyteller, deve adottare il tono di voce adeguato a seconda dello scopo che può spaziare dal giornalismo, alla comunicazione, alla letteratura, al turismo. Tutti questi generi hanno in comune la passione di comunicare e raccontare il cibo nelle sue molteplici sfaccettature.

 

Bibliografia

Dianne Jacob, Will write for food, Da Capo Press, 2005

Mariagrazia Villa, Professione food writer. Ricettario di scrittura con esercizi sodi, strapazzati e à la coque, Dario Flaccovio editore 2020

Cristiano Carrero e Luca Conti, Content Marketing. Promuovere, sedurre e vendere con i contenuti, Hoepli

Fabrizio Mangoni, Ricette narranti e storie di cuoche, Liguori editore, 2021

Clelia D’Onofrio, Meridiani, anno XI n.74, “Curiosità a tavola”

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