Gianluca Mirizzi, il Verdicchio e la sua utopia tramutata in Ergo

La parola Marche nel suo significato etimologico è da legare all’idea del confine, della delimitazione, probabilmente di origine tedesca. Area dell’Italia centrale prevalentemente collinare, cinque le cime più alte e due le catene appenniniche. Le coste sono basse e sabbiose. Numerosi i porti. L’unico lago della regione è il Pilato tra il Monte Vettore e i Monti Sibillini. Affascinante il parco del Conero nei cui sentieri è possibile scorgere svolazzanti farfalle come l’Aricia Agestis, poiane, falchetti, trovare qua e là rarissime orchidee. Polmone di biodiversità, dovrebbe essere un orgoglio per l’intero Stivale. Il clima varia da continentale nelle aree interne a mite sulle coste. La neve ricopre dolcemente le vette durante l’inverno, le precipitazioni non sono frequentissime. Diffusa la coltivazione di cereali, ortaggi e legumi. Si allevano soprattutto avicoli e conigli. Presenti piccole e medie imprese. Il turismo è fiorente nei vari settori balneare, religioso per la presenza della Basilica della Santa Casa a Loreto e artistico. La regione, però, ha molto di più da offrire e soprattutto da lasciar assaporare. Il settore enologico è in continuo fermento. Differenti i calici scarlatti come il Rosso Conero, Rosso Piceno, Vernaccia di Serrapetrona e la Lacrima di Morro d’Alba, ma tra i più interessanti il bianco Verdicchio, bevuto e premiato negli ultimi anni. Presenti anche Trebbiano Toscano, Bianchello, Maceratino, Pecorino e Passerina. Diverse le fonti storiche che testimoniano la presenza della vite fin dall’antichità. Lo stazionamento degli Etruschi, gli scritti di Plinio il Vecchio, ma sempre in modo alternato. Cereali e grappoli dovevano essere la base per la sussistenza di un tempo.
Dagli studi genetici che si sono affrontati si è scoperta una strettissima parentela tra il Verdicchio e alcune uve venete come Trebbiano di Soave e Trebbiano di Lugana per cui si crede che sia stato portato nella regione dai Veneti intorno al 1400. Altri ancora, invece, lo accostano al Trebbiano Toscano. Enigma di non facile risoluzione. Fatto certo? L’uva generosa di pruina ha trovato nelle Marche il suo habitat ideale. Non basta solo conoscere la storia ma aguzzare l’ingegno. Nel 1953 fu organizzato un concorso per la realizzazione di una bottiglia. A vincerlo fu l’architetto Antonio Maiocchi che si ispirò alle anfore etrusche. Il contenitore per la sua forma rese il prezioso nettare riconoscibile, per cui famoso in tutto il mondo.
Due le zone consone alla coltivazione: Jesi (Ancona) e Matelica (Macerata), entrambe si fregiano Docg nella versione Riserva. Castelli di Jesi Verdicchio Riserva e Verdicchio di Matelica Riserva. Nella prima area c’è la presenza dei venti, del mare Adriatico; nella seconda, più interna, l’influenza del marino e della brezza è limitata. I vigneti hanno diverse esposizioni e direzioni. A Matelica le alture sono più elevate e più accentuate le escursioni termiche. Il calice di Jesi risulta iodato, minerale; quello di Matelica un po’ più strutturato per i suoli maggiormente pesanti. Mandorla, limone e sambuco, in genere, sono i sentori che lo contraddistinguono.
Quest’anno l’azienda Montecappone e la Doc Verdicchio dei Castelli di Jesi compiono 50 anni. Un traguardo importante per entrambe. Fondata nel 1968 da Recildo Bomprezzi con altri due soci marchigiani e dal 1997 di intera proprietà della famiglia Mirizzi-Bomprezzi, oggi la Montecappone produce in quasi 35 ettari di vigneti siti sulle colline e sui Castelli di Jesi.


Nel 2015 Gianluca Mirizzi ha creato l’omonima azienda, firmando una personalissima linea di vini e di oli che si sintetizza in Ergo, un Cru di Verdicchio più tradizionale, colmo di colori, come si produceva anticamente. Gianluca non ha ancora compiuto cinquant’anni. Nato e cresciuto per la prima parte della sua esistenza nella Capitale, si laurea in Economia. Uomo di gusto, sottile nella sua ironia, morigerato nei comportamenti, ricorda ancora i sacrifici del nonno e la sua caparbietà nel voler realizzare un’azienda tutta propria da poter lasciare agli eredi, ammira la sua lungimiranza, il voler osare in una regione che ancora non aveva percepito la sua potenzialità. Rammenta la modernità della madre, una delle prime sommelier donne. Anche lui, come i suoi predecessori, affronta la vita come una sfida. Tra le bottiglie emerge Utopia, (Verdicchio 100%), per un primo momento si potrebbe confondere con un Riesling, la ginestra, la salvia, l’agrumato si sposano senza scavalcarsi e un finale leggermente ammandorlato lascia il palato soddisfatto. Altro calice da sorseggiare è proprio Ergo generato da uve biologiche. Entrambi i nomi sono dei giochi raffinati che dimostrano come Gianluca sembri scherzare con il nettare di Bacco ma che in realtà ha un progetto ben definito che pian piano si sta realizzando. “Quando nonno Recildo iniziò questa avventura, voleva creare una merce diversa, che si differenziasse dagli altri, ma che potesse rappresentare il territorio nella sua complessità e nelle sue innumerevoli sfumature. Negli ultimi anni i produttori di uve della regione dimostrano maggiore consapevolezza di cosa si possa realizzare. Questo non può essere che un aspetto positivo e proficuo per tutti. I nostri paesaggi vagheggiano le Langhe, le colline sembrano smeraldi incastonati tra fazzoletti di terra variopinti. Il mese che sprigiona il massimo splendore è maggio. Il Verdicchio è un’uva che richiede attenzione. Ha un grappolo mediamente grande, il colore verdastro, la pruina rende i chicchi ancora più chiari. Delicata, tende ad ammalarsi facilmente per cui va raccolta con cura. Necessita della giusta quantità di luce e ha un potenziale aromatico non comune, sempre in continua evoluzione.”
Quando si raccontano i territori, i vini, i paesaggi si narrano le persone. Se la vite e l’uomo hanno coabitato per secoli significa che entrambi si amano e necessitano l’uno dell’altra proprio come due amanti.
Lo scrittore piemontese Mario Soldati sosteneva: “Il vino, specialmente in Italia, è la poesia della terra.” Noi siamo copiosi di artisti!

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