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Il ricettario ufficiale di Netflix
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Pubblicazione: 11/09/2017
Le Residenze Reali sono un articolato sistema di palazzi, tenute, castelli, palazzine di caccia, ville, giardini e santuari voluto dalla dinastia sabauda nei dintorni di Torino, allora capitale del regno. Un tempo testimonianza della ricchezza e della potenza di Casa Savoia, oggi sono patrimonio mondiale Unesco; luoghi visitati ogni anno da moltissime persone da tutto il mondo.
Tra le numerose Residenze che fanno parte di quella che, secondo la celebre definizione di Amedeo di Castellamonte del 1674, è la cosiddetta corona di delitie, ho scelto di raccontarvi della Palazzina di Caccia di Stupinigi; un esempio rappresentativo del legame tra Casa Savoia e il suo loisir favorito: la caccia.
Giovane di ventinove anni (…) inclinava alla magnificenza e all’etichetta appariscente, amava i ricchi addobbamenti e le cacce amorose; sicchè la reggia e la città si rallegrarono di feste, di cavalcate, di giocondità inusitate.
In queste righe si descrive Carlo Emanuele III, il quale, dopo essere salito al trono per l’abdicazione del padre, decise di ampliare la palazzina di Stupinigi per trasformarla in una “piccola” reggia. Il nuovo Re era un amante delle lunghe giornate di caccia nei boschi, quindi fece modificare la Palazzina per poter ospitare almeno parte della propria corte. Il che accadeva non senza lamentazioni a causa della distanza da Torino: la Palazzina era allora a due ore di cammino dalla città, o a mezz’ora di carrozza. Il luogo per la costruzione della Palazzina era stato scelto dall’architetto Filippo Juvarra (1678 – 1736) proprio per la straordinaria ricchezza della fauna locale: nei boschi circostanti abbondavano gli ambitissimi cervi – un cervo domina addirittura la cupola della palazzina – ma anche lepri, fagiani, starne, pernici.
Così, pur se utilizzata di frequente anche per ricevimenti, o per incontri politici di carattere riservato, la residenza di Stupinigi gravitava essenzialmente intorno all’attività stagionale dell’arte venatoria, esercitata con grande passione da quasi tutti i sovrani di Casa Savoia; da Carlo Emanuele III sino a Vittorio Emanuele II, detto Padre della Patria, ma ancor più sovente Re cacciatore. La caccia ad animali di grossa taglia era all’epoca appannaggio dei nobili, una sorta di status symbol che dimostrava rango e ricchezza. Per questo le scene di caccia sono anche il tema dei decori che adornano la stessa Palazzina, come le Storie di Diana affrescate sui soffitti delle camere reali da Carlo van Loo, i paracamini del salone centrale, o le celebri scene di Giovanni Crivelli della Sala degli Scudieri.
L’età dell’oro della Palazzina durò circa vent’anni sul finire del ‘700. In quel periodo si tenevano ben due battute di caccia a settimana. Alle battute partecipavano ospiti, nobili della corte, personale specializzato, le vivandiere, le mute di cani: un piccolo esercito di circa duecento persone a piedi e a cavallo. All’alba i valet de limiers uscivano per identificare la zona boschiva dove si trovava la selvaggina. Il Re in persona poi, raccolte le informazioni dai valet, stabiliva in quale area avrebbe avuto luogo la caccia e la comunicava agli altri cacciatori durante una sostanziosa colazione a base di canapes, pani e fritture dolci.
Quindi cominciava la battuta vera e propria, che poteva tranquillamente occupare tutta la giornata, e che, immancabilmente, culminava nella solenne uccisione del cervo, cui seguiva sul posto la curée, ossia lo sventramento della bestia, e l’assegnazione di interiora e spalle ai cani della muta. Non di rado il sovrano consumava una tazza di sangue caldo dell’animale appena ucciso, rito simbolico per assumerne l’indomita fierezza. Il cervo appena sventrato era immediatamente trasportato nelle dispense sotterranee della Palazzina; qui la cavità addominale era riempita di stracci e l’animale era avvolto interamente nella tela fine. Solo così la bestia poteva essere portata nei locali vicini alla ghiacciaia per la frollatura: due giorni in estate e sei in inverno.
Ambita preda delle faticose giornate nei boschi, il cervo era giocoforza una delle portate favorite sulla tavola della corte, anche perché in età barocca alle sue carni veniva attribuito uno straordinario potere rinvigorente e afrodisiaco. Gli animali erano solitamente cotti interi – arrostiti, allo spiedo o brasati – per poi essere porzionati direttamente in sala. Nel ‘700, infatti, nella brigata di sala era fondamentale la figura del trinciante, un addetto capace di sezionare le carni cotte con precisione chirurgica e trasferirle sui piatti da portata dando loro una gradevole disposizione estetica.
Con alterne fortune a seconda delle simpatie dei sovrani, la vocazione di Stupinigi fu sempre quella di luogo di svago e divertimento a brevissima distanza dalla città di Torino; si trova infatti ad appena 10 km. Tappa fondamentale dell’educazione del gentiluomo cortigiano, complesso rituale istituzionalizzato, o maniera per distinguersi anche a tavola, l’arte venatoria rappresentava in questi secoli un momento essenziale della vita dell’alta aristocrazia sabauda.
Le giornate di caccia si alternavano a sfarzosi banchetti e a più rustiche feste campestri. Proprio in queste occasioni la Corte occupava le tavolate disposte nella piazza d’armi all’ombra di tendoni nel cortile posteriore dell’edificio principale. Mentre al centro delle tavolate si esibivano musici e giocolieri, i partecipanti al bucolico convivio consumavano piatti freddi quali sandwich, jambon a la gelée, aspic, bocconi di carne braisée e infine piccola pasticceria. Dopo il pasto si faceva volentieri qualche puntata al biribisso, un gioco da tavolo all’epoca molto in voga, in cui i partecipanti scommettevano su una delle settanta caselle del tabellone; per fare un paragone moderno potremmo parlare di una sorta di bingo, dove la ricchezza delle vincite era proporzionale alla generosità delle reali casse.
Di tutt’altro genere era invece l’atmosfera dei ricevimenti allestiti nella Palazzina per le occasioni ufficiali. In base al numero degli ospiti e alla solennità delle occasioni si adattavano gli spazi. Non a caso il ‘700 è detto anche il secolo del posticcio: strutture architettoniche e banchetti venivano creati e montati per l’occasione, dando luogo ad ambienti immaginifici, parte di un complesso “macchinario dei festeggiamenti”. Per esempio nel 1773 per il matrimonio di Maria Teresa di Savoia con Carlo X, futuro re di Francia, il salone centrale della Palazzina venne completamente trasformato; mentre dal giardino – arricchito di archi, piedistalli e colonne mobili – si potevano osservare giochi pirotecnici e lo straordinario spettacolo di miriadi di torce che illuminavano il percorso tra Stupinigi e Torino.
La magia luminosa della piccola reggia si spegnerà con l’avvento del Governo francese portato dalla Rivoluzione in Piemonte, che soppresse l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro – la palazzina era stata costruita sui terreni della prima donazione di Emanuele Filiberto all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro risalente al 1573 – cedendo la dimora a un privato cittadino. I venti della Rivoluzione fecero tramontare definitivamente l’epoca delle grandi battute di caccia, anche se la selvaggina da pelo e da piuma continuò a esercitare il suo fascino indiscusso sulle tavole sabaude. Non a caso è ben presente nei numerosi ricettari piemontesi del tempo – da Chapusot al celeberrimo Vialardi – e compare in quasi tutti i menù novecenteschi di casa Savoia conservati all’Archivio di Stato della città di Torino.
Pur utilizzata come residenza imperiale di Napoleone in Italia e tornata successivamente di proprietà dei Savoia, Stupinigi non tornò mai alle glorie settecentesche. La Palazzina fu utilizzata per ferie estive, per la celebrazione dei matrimoni della casata, ma sempre meno per la caccia. La fauna dei boschi circostanti già dopo la Restaurazione era incredibilmente ridotta – anche a causa dei bracconieri – tanto che i cervi non venivano più uccisi, ma, se possibile, solo feriti e condotti nella manageria, dove, curati a dovere, erano poi liberati nei boschi per diventare di nuovo prede durante le battute successive. Per questo scopo nel 1820 venne fatto costruire anche un serraglio dei cervi, che presto divenne una specie di esotico zoo per altri animali, come il celebre elefante Fritz – donato al re Carlo Felice dal Viceré d’Egitto – un leone, numerosi mufloni sardi, struzzi e uccelli rari, tanto da essere indicato tra le “cose curiose” nelle prime guide turistiche dedicate a Torino.
Nel 2017, per celebrare il 20° anniversario dell’inserimento delle Residenze piemontesi nella Lista del patrimonio Mondiale dell’Unesco, le visite alle dimore sabaude possono essere programmate seguendo un calendario dedicato ai sensi. Nel bimestre settembre-ottobre in tutte le residenze sarà possibile seguire un percorso di visita inconsueto e unico dedicato al senso del gusto. L’iniziativa si chiama Reali sensi e mira a far scoprire le abitudini alimentari dei reali, come venivano allestiti i banchetti, ma anche come venivano coltivate o prodotte le materie prime utilizzate. Qui si trova il programma dettagliato di questa bella iniziativa.
Fonti:
http://www.residenzereali.it/index.php/it/
https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Emanuele_III_di_Savoia
https://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Juvarra
https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzina_di_caccia_di_Stupinigi
http://www.ordinemauriziano.it/palazzina-di-caccia-stupinigi
Autrice Beatrice Di Tullio del blog Betulla.
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