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Pubblicazione: 08/03/2019
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La cucina italiana è la cucina dei ‘mille campanili’: ogni località ha il proprio piatto tipico e la stessa pietanza può essere preparata in modo diverso da città a città, da paese a paese. Prendiamo ad esempio la pasta alimentare, un alimento tipico italiano salvaguardato e protetto dalle contraffazioni dal Governo Italiano e dalla CEE: ha mille varianti locali, regionali e artigianali.
C’è un comune italiano, però, in cui la pasta ha ottenuto nel 2013 il riconoscimento dell’Igp – Indicazione Geografica Protetta. Si tratta di Gragnano, centro alle porte di Napoli conosciuto a livello europeo come la “città della pasta” per la produzione e l’esportazione di pasta secca, soprattutto maccheroni. Il riconoscimento dell’Igp per la produzione della pasta ha fatto di questo comune di poco meno di 30.000 abitanti un vero e proprio ambasciatore della Dieta Mediterranea nel mondo.
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Nel I sec. a.C., Apicio inserì nel suo De re coquinaria alcune informazioni molto importanti riguardo la pasta secca. Nel libro IV suggeriva, infatti, di preparare una minestra rompendo nel brodo le tractae e nel libro VIII proponeva di infittire il sugo sminuzzandole al suo interno. Le tractae erano sfoglie di pasta ottenute lavorando un impasto di farina in modo che risultasse ben schiacciato e pressato. Il fatto che le tractae fossero frantumabili in piccoli pezzi fa dedurre che fossero secche.
È però solo tra il IX e l’XI secolo d.C. che gli arabi introdussero in Sicilia l’uso dell’essiccazione della pasta. La documentazione più antica attestante l’industria dei vermicelli sull’isola fin dal XII secolo ci viene dal geografo arabo Al-Idrisi che ha raccontato di Trabia, luogo incantevole ricco di corsi d’acqua e di mulini, in cui si fabbricava un cibo fatto di farina a forma di fili in quantità tali da rifornire, oltre i paesi della Calabria, quelli dei territori mussulmani e cristiani.
Grazie alla lunga conservabilità e alla facilità di trasporto, la pasta secca si diffuse in altre zone d’Italia e dal XII secolo anche in Liguria e Toscana vennero avviate la produzione e il commercio di formati di pasta per i monasteri e le classi più abbienti.
Fino al Seicento la pasta era un alimento poco diffuso ma, a seguito della carestia che colpì il Regno di Napoli, divenne un alimento fondamentale per la sopravvivenza della popolazione.
In quel periodo a Gragnano, lungo il corso del Vernotico, erano già attivi circa trenta mulini dedicati alla molitura del grano, in parte prodotto in zona, in parte proveniente dalla Puglia via terra e dalla Sicilia via mare.
Attività parallela di questi mulini divenne la fabbricazione della pasta, favorita dalle particolari condizioni climatiche che permettevano l’essiccazione lenta e dalla qualità delle acque sorgive, che conferiscono tutt’ora un gusto particolare all’impasto.
Per tutto il Settecento la fabbricazione della pasta avvenne a livello artigianale e coinvolse alcune famiglie, come i Quiroga e gli Scola. Verso la metà del secolo il settore dell’industria tessile a Gragnano entrò in crisi e chiuse definitivamente nel 1783 per una morìa dei bachi da seta. Da allora i gragnanesi si dedicarono pressoché esclusivamente alla manifattura della pasta. Alla fine del secolo, avvenne il passaggio dalla bottega all’opificio, che prevedeva torchi più grandi, ampi locali per l’asciugatura della pasta e l’impiego di un numero maggiore di addetti.
All’inizio dell’Ottocento la città di Gragnano era già celebre per la qualità dei maccheroni e contava ben settanta pastifici.
La produzione della pasta secca subì solo due battute d’arresto: la prima nel 1799 in occasione della rivoluzione partenopea e la seconda il 21 gennaio del 1841, a causa di una frana che bloccò le strade che collegavano il mercato del grano ai mulini.
Attorno al 1850, l’economia di Gragnano si reggeva quasi esclusivamente sui circa cento pastifici esistenti che davano lavoro al 75% della popolazione attiva e dove si producevano circa mille quintali di pasta al giorno.
In seguito alla nascita del Regno d’Italia, i pastifici accrebbero l’esportazione dei loro prodotti al Nord e lavorarono a pieno ritmo anche durante il primo conflitto mondiale.
Nel 1935 Benito Mussolini decretò la produzione autarchica e l’impossibilità di importare il grano estero inferse un duro colpo alle industrie gragnanesi. Gli effetti della Seconda Guerra Mondiale e la concorrenza di numerose industrie sorte sul territorio nazionale costrinsero poi molti pastifici a chiudere i battenti.
Attualmente a Gragnano sono presenti decine di pastifici, molti dei quali sono confluiti nel Consorzio “Gragnano Città della Pasta”, fondato nel 2003 con l’obiettivo di difendere e rilanciare la tradizione di Gragnano.
Credits immagine: Lovefood Art from Pexels
I tipi di pasta prodotti a Gragnano sono classificati sulla base delle dimensioni, della superficie e della tecnica e degli strumenti di produzione.
In base alle dimensioni, si distingue tra pasta lunga – linguine, spaghetti, vermicelli, bucatini, mafaldine, ziti lunghi, candele lunghe ecc… – e pasta corta – paccheri, mezzi paccheri, calamari, penne, mezze penne e via dicendo.
In base al tipo di superficie, le paste si dividono in lisce e rigate, adatte a ricette che prevedano condimenti e sughi. La ruvidezza della superficie che aiuta il sugo ad attaccarsi e rende la pasta più gradevole al palato è la caratteristica più apprezzata, al pari della tenuta in cottura.
Infine, sulla base della tecnica e degli strumenti di produzione è suddivisa in pasta fatta a mano, trafilata al bronzo, laminata, da forno, a nido.
La pasta di Gragnano ha alcune particolarità che la rendono unica al mondo e che sono protette e tutelate dal marchio Igp. Il primo è il caratteristico sapore a cui concorre l’uso dell’acqua delle sorgenti Forma e Imbuto, poco calcarea e fondamentale per la qualità del prodotto finale. Il secondo è la perfetta tenuta di cottura, dovuta all’utilizzo di semola di grano duro ricco di proteine e glutine. Gli altri requisiti del marchio sono l’estrusione dell’impasto attraverso trafile in bronzo, l’essiccazione a una temperatura compresa tra i 40° e gli 80° C, il raffreddamento entro 24 ore e il confezionamento in loco, in modo che il prodotto si conservi alla perfezione.
La pasta di Gragnano richiede la cottura in acqua bollente per un tempo che varia da 8 a 13 minuti a seconda del formato e di passaggi supplementari, come il ‘salto’ in padella o la cosiddetta ‘risottatura’, una tecnica che prevede di cucinare la pasta in parte in acqua bollente e in parte nel sugo di condimento per ottenere un primo piatto dalla consistenza morbida e cremosa.
Come suggerisce il nome, la tecnica è la medesima utilizzata per realizzare il risotto. La prima fase consiste nella cottura tradizionale della pasta in acqua salata bollente per la metà del tempo previsto sulla confezione. Se, ad esempio, sulla confezione è indicato che la pasta cuoce in 12 minuti, occorre cuocerla in acqua salata bollente per 6 minuti. Fatto questo si passa alla seconda fase che consiste nel proseguire la cottura della pasta nel sugo, fino a raggiungere la consistenza ‘al dente’. Per fare ciò occorre aggiungere alla pasta un po’ di acqua di cottura, a piccole dosi e gradatamente, senza esagerare. Durante questa seconda fase di cottura la pasta disperderà nel sugo parte dell’amido che naturalmente contiene e il risultato finale sarà un piatto più cremoso, avvolgente e legato.
Credits immagine di testata: Pixabay
Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Gragnano
https://it.wikipedia.org/wiki/Pasta_di_Gragnano
http://www.comune.gragnano.na.it/
https://www.consorziogragnanocittadellapasta.it/
APICIO, De re coquinaria, Libro IV e VIII
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