
27 Settembre 2023
Favole in cucina: Cappuccetto Rosso e il Lupo
La nostra Signora delle favole ci racconta la sua rivisitazione di Cappuccetto Rosso e il Lupo, naturalmente in chiave golosa e gastronomica...
Pubblicazione: 16 Agosto 2017
Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Così recita I pastori di Gabriele D’Annunzio, illustre poeta di Pescara profondamente legato alla sua terra. L’indizio è chiaro: pastorizia in Abruzzo fa rima con transumanza. Lo spostamento stagionale di uomini e greggi ha segnato profondamente la vita e la cultura della gente abruzzese: d’estate su per i verdi prati montani, d’inverno giù verso i più miti pascoli pugliesi.
Un tempo questi spostamenti si facevano a piedi, accompagnando le greggi lungo i tratturi – ampie piste dal fondo sterrato – fino al Tavoliere delle Puglie. Oggi si utilizzano forse meno poetici ma più pratici mezzi a motore, ma è ancora possibile individuare i percorsi dei cinque Regi Tratturi che percorrono le terre d’Abruzzo, recuperati grazie a numerose iniziative di valorizzazione delle ricchezze storiche, culturali, enogastronomiche, paesaggistiche e ambientali.
La storia della transumanza parla di uomini lontani da casa; di donne forti che, da sole, mandano avanti le famiglie; di inverni rigidi e duri e di fatica e di nostalgia per tutti quanti. Le incisioni lasciate sulle rocce dai pastori lungo i tratturi raccontano la vita solitaria e riflessiva cui erano costretti durante il viaggio andata e ritorno per la Puglia; una vita di povertà e di amori lontani, prigionieri di quella montagna vista spesso come un mostro: la malidetta, la discrata.
Una vita fatta di sacrifici e scandita dall’arte di arrangiarsi. Non a caso nascono in questo contesto gli arrosticini di pecora, che oggi sono tra i prodotti più noti e apprezzati della cucina d’Abruzzo, ma che furono inventati dai pastori per consumare la carne delle pecore vecchie, morte di fatica, o perché ferite o, comunque, abbattute perché non più produttive. Si preparavano nei rari momenti sociali, quando ci si ritrovava ai crocevia lungo il percorso, o anche nei contesti più tipici della pastorizia stanziale. Immaginiamo i pastori scaldarsi al fuoco, scambiarsi due parole, gustare insieme questi semplici spiedini di carne in un raro momento di compagnia nella solitudine dei pascoli.
Gli arrosticini si preparano, oggi come allora, infilzando piccoli pezzi di carne di pecora su uno spiedino di legno (un bastoncino lavorato) inframmezzati da tocchetti di grasso; si cuociono sulle braci ardenti e si mangiano sfilando i pezzetti di carne uno a uno. In dialetto pescarese si chiamano lë rruštéllë o rruštòllë e sembrano trovare origine, nei primi anni del ‘900, nella zona di Villa Celiera (Pescara), sulla fascia pedemontana del versante orientale del Gran Sasso. Da lì si sono diffusi dapprima nella Piana del Voltigno e poi in tutta la regione fino all’aquilano, dove sono rimasti pressoché sconosciuti fino a pochi decenni fa. Il dato curioso è che la loro diffusione pare essere avvenuta prima nei ristoranti e nelle trattorie e solo in seguito nell’ambito domestico.
La fama degli arrosticini ha valicato già da tempo i confini regionali: se proviamo a cercare on-line “sagra degli arrosticini” i risultati rimandano a numerose manifestazioni sparse un po’ in tutta Italia. Bisogna sottolineare però che gli arrosticini originali sono rigorosamente di carne di pecora, sebbene si possano trovare anche a base di castrato. Persino la grande distribuzione sembra cavalcare l’onda del successo di questi particolari spiedini, proponendoli preparati addirittura con tacchino o pollo. Si tratta per lo più di prodotti semi-industriali che nulla hanno a che vedere con i “veri arrosticini”, dei quali mantengono soltanto la forma.
La carne di pecora in Abruzzo è ancora utilizzata poiché la pastorizia, sebbene non più praticata con i metodi tradizionali, sta vivendo una nuova stagione positiva come attività economica remunerativa. Nell’ultimo decennio vi si stanno dedicando anche molti giovani, preparati e freschi di studi: gli oltre duecentomila capi ovicaprini (fonte) censiti nel 2017 fanno dell’Abruzzo la regione col maggior numero di capi per abitante dell’Italia peninsulare; solo Sardegna e Sicilia, infatti, annoverano consistenze maggiori.
La vita che si svolgeva lungo le vie della transumanza oggi è scomparsa; restano le solitarie tracce nelle chiesette di montagna, negli stazzi, nei ruderi degli ovili improvvisati, negli abbeveratoi. Resta la malinconia delle iscrizioni sulle rocce ma – per nostra fortuna – anche l’allegria degli arrosticini, consumati in compagnia allora come adesso.
Fonti:
– http://www.tastefromabruzzo.com/i-segreti-dei-pastori-dabruzzo-la-transumanza-sulle-vie-del-tratturo-magno/
– http://abruzzonascosto.blogspot.it/2011/07/abruzzo-pastori-pecore-e-transumanza.html
– Il “mistero” degli arrosticini
– http://www.leviedeitratturi.com/i-tratturi/
Credits immagini:
Roccia incisa: https://edoardomicati.blogspot.it/p/grotte-e-incisioni-pastorali.html
Mappa dei tratturi: http://www.leviedeitratturi.com/i-tratturi/
Arrosticini: http://turismo.provincia.teramo.it/enogastronomia/prodotti-tipici/arrosticini-di-pecora/
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