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Pubblicazione: 29 Maggio 2018
I cereali in Calabria: storia e coltivazione
La storia dei popoli che nei secoli hanno abitato la Calabria e le altre regioni del Meridione d’Italia è indissolubilmente legata alla storia dell’agricoltura e delle coltivazioni in quei territori. Un posto di rilievo spetta ai cereali, destinati alla preparazione di molte varietà di cibi e alle offerte votive.
Lavori nei campi in Calabria: i canti popolari della tradizione
I canti popolari testimoniano il gioioso rito della mietitura in terra di Calabria: un rito atteso e vissuto intensamente da intere comunità, una festa per tutti. Il lavoro dei campi svolto collettivamente si esprime attraverso la musica; il canto allevia la fatica e mette allegria, divenendo un formidabile strumento di comunicazione e socializzazione.
Oggi questi stornelli non avrebbero ragione di esistere: le mietitrebbiatrici hanno sostituito le falci dei contadini, tutto è diventato più semplice e veloce. Ma ci piace scoprire lo spaccato di una società arcaica legata alla Madre Terra e ai cicli naturali. Ci piace ascoltare le storie di uomini e luoghi indissolubilmente legati da un comune destino. Ci piace far rivivere i canti in feste e sagre che ancora scandiscono il calendario stagionale; tradizioni secolari che riemergono con la forza e la tenacia proprie della cultura contadina.
L’agricoltura: un atto culturale di antichissima origine
Siamo abituati a immaginare l’agricoltura e l’allevamento come qualcosa di strettamente collegato alla “natura”, ma non è proprio così. I processi produttivi del cibo sono il frutto di un’evoluzione ancora in essere, il cui primo passo fu la domesticazione delle piante selvatiche: un atto “culturale” che l’uomo seppe poi indirizzare, gestire e sostituire gradatamente alle precedenti attività predatorie. La domesticazione dei cereali selvatici ha inciso nella storia dell’uomo in maniera straordinaria: con i cereali nasce l’agricoltura, una delle più grandi “invenzioni” della storia. Dalla Mezzaluna fertile (regione del Medio Oriente che si estende dal Mar Rosso fino al Golfo Persico) l’agricoltura si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, permettendo alle tribù italiche di divenire stanziali e abbandonare il nomadismo. Anche nel territorio che corrisponde all’attuale Calabria, abitato prima dai Greci e dai Bretti e poi dai Romani, avvenne questo profondo cambiamento culturale.
La storia della Calabria si modella su quella dell’agricoltura
Ai tempi della Magna Grecia e dei Bretti (o Bruzi) i cereali, insieme a legumi e frutta, costituivano la base dell’alimentazione in Calabria. La loro importanza è testimoniata dalle raffigurazioni votive nei pinakes (tavolette di legno o terracotta) e nelle arule (piccoli altari domestici). I cereali erano infatti destinati alla preparazione di molte varietà di cibi e anche alle offerte votive. I ritrovamenti archeologici comprendono macine e altri strumenti di lavoro, oltre a una ricca iconografia di scene di coltivazione e lavorazione dei cereali. Molti questi reperti si possono ammirare presso il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
Con i Romani la produzione cerealicola prese ulteriore vigore, sovrapponendosi alle tradizioni già consolidate dei popoli locali, che consumavano minestre di cereali e pani di farro. In età romana il pane faceva parte degli alimenti regolati dall’annona (l’insieme dei prodotti agricoli considerati essenziali, di cui si controllava produzione e distribuzione) e dunque era considerato indispensabile per il sostentamento del popolo.
Alla nascita dell’agricoltura sono legati antichi miti
Nelle più antiche società stanziali i cereali sono protagonisti dei miti sulla fertilità e dei riti propiziatori che accompagnano i cicli delle stagioni. Nella mitologia della Grecia antica Persefone, figlia di Demetra, è rapita da Ade, dio degli Inferi e viene restituita alla madre solo alla condizione che ella torni per un terzo dell’anno sotto terra. Con questo mito si raffigura il ciclo vegetativo delle messi, dal seme alla raccolta del grano. Il pane stesso simboleggia la cultura, l’elevarsi dell’uomo sopra lo stato animale e la conquista della civiltà. Nei poemi di Omero gli uomini sono definiti “mangiatori di pane”; nell’epopea di Gilgamesh (un ciclo epico di ambientazione sumerica che risale a circa 4500 anni fa) è una donna a far conoscere all’uomo “selvatico” il pane e l’amore. In molte antiche culture la figura femminile è fondamentale, è la custode del sapere alimentare e dei processi di selezione e lavorazione dei cereali, collegati soprattutto alla produzione dei cibi fermentati come pane e birra, oltre che vino e formaggi.
Dal Medioevo all’età moderna seguendo l’evoluzione dell’agricoltura
Nel Medioevo la tradizione agricola greco-romana fu fatta propria dai barbari, grazie anche al potente collante della fede cristiana, che aveva scelto il pane come simbolo liturgico. Dal X secolo la crescita demografica innescò un processo di estensione delle terre coltivate a scapito di quelle boschive. Nonostante la bassa produttività, le coltivazioni cerealicole rappresentavano da un lato una delle poche strategie contro la carestia – l’importanza dei cereali nell’alimentazione è legata soprattutto alla conservabilità – dall’altro un’ottima opportunità da parte dei grandi possidenti di trarre profitto dai terreni. All’espansione agraria si accompagnò la crescita dei mercati nelle aree urbane e, proprio in funzione dei mercati e dei consumi urbani, si sviluppò la coltivazione del frumento, prodotto di pregio cui si contrapponevano i cereali della dieta rurale come segale, orzo, miglio e farro, utilizzati per zuppe, polente, focacce e pane scuro.
In duemila anni di storia poco o nulla cambiò, almeno fino a un secolo fa. I contadini, la parte più numerosa della popolazione, continuarono a lavorare la terra secondo contratti stipulati con i latifondisti; quando il sistema decadde e le piccole proprietà passarono in mano a chi le lavorava direttamente, queste finirono per spezzettarsi e non essere così sufficienti al sostentamento della famiglia. Il nemico di oggi è invece la globalizzazione, che ha fatto crollare i prezzi da un lato e, dall’altro, ha imposto nuovi incroci e sementi molto più redditizie, che però necessitano di massicci trattamenti diserbanti.
Salvare un mulino grazie al crowdfunding: una bella storia in Calabria
Stefano Caccavari, un intraprendente trentenne di San Floro, in provincia di Catanzaro, è riuscito a realizzare un sogno: grazie al ha raccolto in soli tre mesi mezzo milione di euro, con donazioni da tutto il mondo, a favore del suo progetto Mulinum. Stefano è andato ben oltre l’obiettivo di salvare l’ultimo mulino a pietra della Calabria, in quella zona che era chiamata la “valle dei mulini”: ha creato una società per farne uno nuovo e più grande recuperando così la filiera dei grani antichi e tradizionali calabresi.
Il suo mulino comunitario, mulino social lo chiamano, è un edificio biosostenibile con macine a pietra naturale e una ruota idraulica. Oltre alla trasformazione del grano in farina, a San Floro c’è un forno dove si producono pane, pizze e biscotti: una filiera corta che parte dalla materia prima locale per arrivare al prodotto finito. Un modo per evitare che il prodotto locale venga svenduto e deprezzato e per creare posti di lavoro, permettendo così ai giovani di rimanere a lavorare nel proprio territorio.
In Calabria si coltivano molte varietà di grano duro di antica origine
In Calabria si coltivano ancora molte varietà di grano duro di antica origine e altre più moderne. Oltre alla varietà Senatore Cappelli, che fu sviluppata poco più di un secolo fa dall’agronomo e genetista Nazareno Strampelli partendo da un grano antico chiamato Rieti, ricordiamo le varietà di grano duro Saragolla – una varietà molto antica, simile al Khorasan, caratterizzata da chicchi molto grandi – l’Etrusco (Triticum Turanicum Turgidum, il vero Khorasan); il Perciasacchi (grano duro o farro lungo, dal nome si intuisce la caratteristica di “rompere i sacchi” e uscire fuori); il Russello (detto anche Ruscio o Russieddru perché la spiga tende al rosso); il Timilia (o Tumminìa, o Marzuolo, con caratteristiche sfumature nere nel chicco); il Simeto.
La varietà Maiorca è invece un grano tenero, da cui si ricava una farina adatta per dolci e per le ostie. Il Carosella, probabilmente già coltivato dagli antichi Romani, è invece una varietà semiselvatica che unisce alcune caratteristiche del grano tenero con altre del grano duro. Il Jermanu (o Jermano o Jurmano) è invece la segale.
Bibliografia e sitografia:
Le notizie relative al progetto Mulinum sono tratte da Il Fatto Quotidiano
https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/14/ho-salvato-lultimo-mulino-a-pietra-della-calabria-con-500mila-euro-raccolti-su-facebook-per-fare-grano-di-qualita/3018499/
Credits foto: Foto d’apertura
https://levocidellanotte.forumfree.it/?t=48461673
http://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-LOM60-0012683/
http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2010/07/i-canti-della-mietitura-del-mio-paese-e.html
http://www.famedisud.it/mulinum-nasce-in-calabria-limpresa-agroalimentare-piu-social-del-pianeta-conversazione-con-stefano-caccavari/
https://www.avvenire.it/economia/pagine/mulinum-srl-stefano-caccavari
https://agronotizie.imagelinenetwork.com/vivaismo-e-sementi/2018/01/11/progetto-mulinum-i-mulini-nati-grazie-a-facebook/56971
https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/14/ho-salvato-lultimo-mulino-a-pietra-della-calabria-con-500mila-euro-raccolti-su-facebook-per-fare-grano-di-qualita/3018499/
Autrice Maria Teresa Cutrone del blog De gustibus Itinera
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