Il Trebbiano, a tavola con Dante

Il 25 marzo si festeggia da alcuni anni il Dantedì, giornata in cui il Sommo poeta iniziò il viaggio ultraterreno della Divina Commedia. L’anniversario di quest’anno è ancora più speciale, perché ricorrono i 700 anni dalla morte di Dante, avvenuta a Ravenna il 14 settembre del 1321. 

Sarà un anno ricco di eventi, iniziative e attività, che spazieranno in tantissimi ambiti. Turismo, viaggi, cucina, letture, documentari. Insomma ci sarà pane per i denti di tutti. 

Anche Aifb ha deciso di partecipare a questo evento così importante portando sulle pagine del suo sito la cucina al tempo di Dante, perché ci è sembrato un argomento molto interessante e che fa parte di quello che amiamo raccontare in associazione, il cibo.

Io vi racconterò di un vino che vanta una storia lunghissima nella nostra bella penisola, un vino che vede la sua coltivazione già prima dell’anno Mille; il Trebbiano.

Il Trebbiano è un vitigno a bacca bianca che ha viaggiato e attecchito in tutta l’Italia: lo trovate in Toscana, in Romagna, in Abruzzo, Lazio e in Umbria. È l’uva bianca più coltivata nella nostra penisola, con più di 60 mila ettari vitati, e viene sfruttata intensivamente anche in Francia per produrre il mosto base della distillazione del Cognac sotto il nome di Ugni Blac, dopo essere stata importata probabilmente nel cinquecento.

In Italia è molto utilizzato in assemblaggio con altre uve, in quanto in purezza fornisce vini acidi, leggeri e privi di un’aromaticità di livello che possa risultare al di sopra dei semplici vini da tavola commerciali per il consumo quotidiano. 

Da solo forma 7 diverse DOC (Trebbiano d’Abruzzo, Trebbiano di Romagna, Trebbiano di Aprilia, Colli Piacentini Trebbianino Val Trebbia, Trebbiano di Arborea, Trebbiano di Capriano del Colle, e l’ultima in ordine cronologico, il Trebbiano Spoletino). La sua vasta diffusione è dovuta alla capacità di adattarsi alle più diverse tipologie di terreno e condizioni climatiche, alla grande produttività ed alle caratteristiche del vino che ne deriva, generalmente gradevole e corretto, facilmente commerciabile. Infatti è sufficientemente neutro per essere impiegato in unione con altri vini dalla personalità più spiccata, senza sopraffarli anche se utilizzato in percentuali elevate.

La storia del Trebbiano

È un vino che vanta una storia veramente lunga, si parla di lui già in documenti risalenti al Trecento. Pier De Crescenzi scriveva: “C’è un’altra specie di uva, detta Tribiana, che è bianca con acini tondi, piccoli ed abbondanti, che in giovane età non dà frutto ma crescendo diventa feconda”.

Andrea Bacci, enologo e medico di Papa Sisto V, nella sua opera “De naturali vinorum historia” (1596) racconta della presenza in Abruzzo di un vino ottenuto da uve Trebulanum sin dal XVI secolo.

Il Gallesio, nella sua Pomona Italiana (1831), pur descrivendo solo il Trebbiano fiorentino, ricorda che in Italia esistono numerosi e differenti Trebbiani e cita anche “quello che forma il fondo delle vigne della Romagna”.

La moltitudine dei Trebbiani traspare molto bene anche nell’Ampelografia del conte di Rovasenda, che ci dice: “Dal Tortonese, anzi dall’Alessandrino scendendo sino alle ultime Romagne s’incontrano uve coltivate sotto il nome di Trebbiano che non sono certamente tutte identiche fra di loro” e tra gli altri cita il Trebbiano della fiamma e il Trebbiano dell’occhio, tipici dell’area di Cesena.

Interessante anche quanto si legge, in merito alle uve del Circondario di Forlì, sul fascicolo X del Bullettino Ampelografico: “Il trebbiano è l’eccellente fra i vini bianchi; ad esso accennava fin dal secolo decimoterzo l’agronomo illustre di Bologna Piero de’ Crescenzi. Due sottovarietà ben distinte di trebbiano si coltivano in Romagna; l’una più amante del colle è detta trebbiano montanaro a Forlì, a Civitella, a Predappio, a Bertinoro, a Terra del Sole; mentre si chiama trebbiano gentile a Meldola. L’altra sottovarietà dicesi trebbiano della fiamma a Forlì, a Predappio, a Cesena, a Faenza, e somiglia al pagadebit di Fermo, derivando il suo nome, secondo l’egregio Caldesi, dal colore della buccia giallo-rossastra, o più cupamente tinta in rosso-mattone” (fonte Ministero d’agricoltura, industria e commercio, 1879). 

Ill-trebbiano-tavola-storica

È molto probabile quindi, che il sommo poeta abbia bevuto proprio questo vino, così largamente diffuso in tutto il territorio e da così tanto tempo.

Nel Purgatorio (XX, 77-78) c’è un verso che omaggia il vino. Forse nessuna cosa più dei versi danteschi può farci comprendere come la forza del vino possa apparire una metafora della potenza dello stesso spirito che si nasconde nella natura. Nella Divina Commedia Dante, per spiegare il mistero della nascita dell’anima umana, evoca proprio la trasformazione dell’uva in vino.

«Guarda il calor del sol che si fa vino, Giunto a l’omor che della vite cola»

Purgatorio – canto XXV (76-78)

Il Trebbiano di Spagna

Io sono modenese e qui nella mia terra il Trebbiano è una presenza molto importante. Infatti nella tradizione modenese l’Aceto Balsamico nasce da diverse uve tipiche, su tutte l’uva regina dell’acetaia è il Trebbiano, reputata la migliore varietà per questo nobile impiego. In tutta onestà entrano a pieno titolo anche tutti i lambruschi e le altre uve autoctone rosse della zona, tuttavia secondo i documenti più antichi, la “ricetta del balsamico” non prescinde mai dalla presenza in percentuale significativa del trebbiano.

A questo primato nel tempo si è tentato più volte di dare giustificazione in alcune caratteristiche intrinseche dell’uva, prima fra tutte la raccolta tardiva che favorisce una naturale concentrazione zuccherina. Tuttavia è ragionevole ritrovare dietro talune scelte il segno indiscutibile del passare del tempo, e l’indiscussa influenza che modi e abitudini dell’uomo hanno avuto nel selezionare il Trebbiano. 

Nel XIV secolo il Trebbiano inizia a diffondersi in tutta l’Italia centrale, compresa l’Emilia. Notizie di diversi Trebbiani coltivati nel territorio di Modena si hanno già a partire dal XV secolo, mentre del XVI, precisamente del 15 giugno 1542, è una lettera indirizzata all’Aretino dalla moglie di un capitano di ventura, tal Camillo Caula da Modena, che lo ringrazia delle parole che il grande poeta toscano aveva riservato al marito inviandogli «un botticello di Trebbiano».

Ancora un Caula, stavolta Niccolò, non milite ma botanico, nel 1752 annota due Trebbiani, la Trebbiana o Terbiana – che definiva, guarda caso, corsi e ricorsi storici, «la regina delle uve» – e la Trebbianina o Trebbianella.

Nel 1839 di nuovo un botanico, Giorgio Gallesio, visitando l’Emilia parla distintamente della Terbiana e della Terbianella nelle terre dell’Aggazzotti, quel Francesco Aggazzotti giurista, politico, agronomo ed enologo che nel 1867 descrive tre Trebbiani: Trebbiana, Trebbianina comune, Trebbiana di Spagna. Quell’Aggazzotti, soprattutto, la cui lettera autografa del 1862 illustra il metodo di produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena.

Infine, il dialetto è sempre una cartina al tornasole: frequenti sono le occorrenze di “Óva terbiân” (Trebbiano bianco), “Óva terbianch” (Trebbiano comune bianco) e, appunto, “Óva terbiân ėd Módna” (Trebbiano Modenese).

Il Trebbiano Modenese è coltivato soprattutto nelle aree collinari e pedecollinari della provincia omonima, dove occupa circa il 4% della superficie vitata ed entra nei vini DOC Modena o di Modena, e negli IGT Bianco di Castelfranco Emilia, Emilia o dell’Emilia.

Il vino di Trebbiano Modenese ha un buon tenore alcolico, una bella acidità e un elevato contenuto di polifenoli, che gli conferiscono una bella struttura. Presenta un colore giallo paglierino intenso e brillante, aromi floreali e fruttati, freschi anche a maturazione avanzata, molto persistenti al gusto, ma mai invadenti.

Per queste sue caratteristiche qualitative il Trebbiano Modenese si presta particolarmente sia per tagli con altri vitigni bianchi di maggior spessore, sia per essere vinificato in purezza per ottenere vini fermi secchi, frizzanti o spumanti, sia per fare brandy o basi alcoliche per altri distillati.

Voglio pensare che se Dante fosse giunto a Modena avrebbe assaggiato il nostro Trebbiano di Spagna e il nostro oro nero di Modena, anche se avrebbe dovuto aspettare almeno un paio di secoli con l’arrivo degli Estensi a Modena per poterlo assaggiare.

Lo duca mio, che mi potea vedere 
far sì com’om che dal sonno si slega, 
disse: «Che hai che non ti puoi tenere, 

ma se’ venuto più che mezza lega 
velando li occhi e con le gambe avvolte, 

a guisa di cui vino o sonno piega?».     

Purgatorio – canto XV (118-123)

Potete scoprire il Cammino di Dante e viaggiare con Aifb.

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